Un invito ai probabili pronipoti e a quelli che hanno un po' di memoria ancora nel ricordare quelli più vicini a noi.
Chi ha qualche notizia la può aggiungere come commento al post o inviarla a "gioacchinoruocco@libero.it" o farala pubblicare su Stabiesi al 100% con l'incarico di farmela pervenire
Don Mimi Santoro: poeta e musicista di Via Nocera
C.mare di Stabia - Via Nocera nel 2009 |
Qualche tempo fa scoprendo su Internet un sito dedicato alla città di Castellammare di Stabia, dopo aver fatto il pari e il dispari, scrissi anch’io la mia letterina telematica al Responsabile chiedendogli di pubblicarla nella speranza di rintracciare notizie su don Mimì Santoro che avevo frequentato negli anni della mia adolescenza.
Nella lettera, prontamente pubblicata, avevo tracciato un identikit della persona e fornito le coordinate del negozio dove esercitava la sua attività assieme alla famiglia.
E’ passato qualche anno dal 20 febbraio del 2009, ma di don Mimì niente. I visitatori del sito, non hanno saputo fare il miracolo di aprire le loro menti per rintracciare il ricordo di quest’uomo che tutti gli stabiesi almeno una volta hanno incontrato, frequentato o visto passando davanti al suo negozio.
Abitava in via Nocera sul lato destro della strada a 50 metri dalla biforcazione con via Catello Fusco dove poi andò a stare un negozio che si chiamava Iozzino.
Il suo negozio vendeva un po' di tutto, ma principalmente spartiti di musica e raccolte di canzoni napoletane in edizioni Bideri.
Non era molto alto, forse arrivava appena a un metro e cinquanta centimetri, ma aveva una verve che lo poneva all'attenzione di buona parte della popolazione e dei giovani con i quali veniva a contatto.
Sapeva suonare il mandolino, scriveva la musica delle canzoni che componeva, scriveva poesie in italiano e napoletano e ne aveva sempre le tasche piene che costituivano il suo archivio provvisorio.
Raccontava che in tenera età era rimasto orfano di entrambi i genitori, che aveva vissuto presso un sarto che lo aveva accolto nella sua casa, che lo faceva dormire su un giaciglio posto sotto il bancone sul quale il sarto tagliava le stoffe che poi diventavano abiti per i clienti che li ordinavano.
Da bambino era stato compagno di giochi di Raffaele Viviani che prima di trasferirsi a Napoli con la propria famiglia frequentava la villa comunale dove il padre gestiva un teatrino all’aperto dal nome Arena Margherita, posto nelle prossimità della Banchina d’’o si’ Catiello.
Il racconto della sua infanzia non aveva mai fine, come anche gli altri racconti e tutte le chiacchiere che faceva tenendo banco sia con noi ragazzi sia con gli adulti che lo frequentavano.
Aveva acquisito negli anni una cultura che lasciava strabiliati. Citava l'Enciclopedia Treccani e tanti altri libri di moda in quegli anni e nella prima metà del novecento.Quando lo incominciai a frequentare eravamo nel 1955 e doveva avere più di sessant’anni.
Era piccolo di statura ma aveva sempre una postura che lo faceva sembrare più alto di tutti quelli che lo accompagnavano nelle sue passeggiate.
I disagi che aveva avuto fin dall'infanzia per essere rimasto orfano in tenera età, diventavano nei suoi racconti, una storia affascinante perché sapeva trasformare le disavventure in avvenimenti che finivano col divertire l'auditorio come se fossero state delle comiche, come le sue prime avventure amorose giovanili, ecc. ecc.
Lo persi di vista quando mi allontanai da Castellammare per il servizio militare e poi per il lavoro che mi portò prima a navigare, poi a Torino e successivamente a Roma dove ancora risiedo.
I miei ritorni, sempre troppo brevi, non mi consentirono di rintracciare sue notizie presso i parenti che abitavano nello stesso caseggiato del negozio o poco più avanti, fino a dimenticarlo per qualche tempo.
Pensavo che il sito molto seguito potesse fare il miracolo e contribuire al recupero della memoria di quest’uomo e qualche suo verso che spero non siano andati persi, o distrutti, assieme agli spartiti delle sue musiche. Spero che esista ancora qualche suo discendente orgoglioso della sua vita e con la voglia di farlo conoscere anche ai giovani di oggi pubblicando quello che resta.
C’è ggente ca sape
ma nun arape ‘a porta pe paura
ca ‘o scarafonre
le po’ magnà ‘a capa
o pecchè ormaie
é chiena 'e segatura.
Si s’affaccia
a chi ‘o vò sapé
fa na litanie ‘e dumande.
Ma vuie chi site ?
Pecche v’avesse dì ?
Ma po’ che ce facite ?
E aggio voglia ‘e dì
ch’era n’amico.
Me guarda e nun ce crede.
Doppo tantu tiempo,
ma che vulite ‘a me ?
Ma chi ve manno,
ma maie pe cumanno.
Passanno a ccà
m’è turnato a mmente
e nun ce ‘a faccio
a movere nu passo.
Me pare ca me tene
e nun me lassa
comme faceva
quann’era vivo ancora,
ma a fforza ‘e restà fora
nun ‘o penzaie cchiù
pe qualche tiempo.
Dint’’o capusanto
nun ‘o trovo.
Chi sa ll’osse
addò mò stanno
e chi cunserca ancora
chilli vierze
ca me faceva sentere passanno.
senza esaggerà
saranno cinquant’anne.
Caro don Mimì
si me sentite
dicitamelle Vuie
si preferite
nu sciore ‘ncopp’a tomba
o na poesia.
Veniteme ‘nzuonno
che ve costa ?
L’inferno, ‘o purgatorio
‘o paraviso.
Aggio capito
state cu Rafele
c’’o core dint’’o mmele.
Viate a vuie !
Hanno cagnato tutto!
Nun ce sta cchiù
‘a banchina ‘e si’ Catiello
e Rafiluccio vuosto
sta cu ‘e spalle a ‘o mare
rischianno e se piglià
na brunchitella.
Si ve riesce,
v’aspetto dint’’o suonno
ca po’ me raccuntate
chello ca vulite
ca io n’e tengo ancora
sti prurite.
Gioacchino Ruocco
Ostia Lido 04.08.019
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