La riffa era un piccolo gioco come quello del lotto. Permetteva di vincere qualche premio che po- teva variare dal cibo all’abbigliamento, dall’uovo di Pasqua o dai prodotti per il cenone natalizio o di capodanno o alla Befana importante per i figli dei clienti e a chi la conduceva di acquisire un po' di soldi per la propria sopravvivenza fatto salvo il capitale impegnato da riutilizzare per la successiva.
Chi la proponeva lo faceva in
prossimità di feste, di momenti economici un po’ difficili, in prossimità del
periodo degli sposalizi o delle comunioni o quando i prodotti messi in palio
avevano prezzi che non potevano essere abbordati se non per piccole quantità.
Era l’arriffatore a
proporre il premio ed era sempre qualcosa che finiva con l’interessare di più
le donne che gli uomini.
Girava per il
quartiere dove era conosciuta e stimata per la sua serietà nel condurre la
riffa dalla quale escludeva i parenti per non dare adito in caso di vincita a
chiacchiere che avrebbero compromesso le proposte future.
Il vincitore restava
sempre contento per la qualità dei prodotti che vinceva. Venivano acquistati
presso negozi rinomati per i prodotti che vendevano.
Il costo del numero
era rapportato al valore dell’oggetto o dei prodotti che costituivano il
premio, per cui le riffe che costavano di meno offrivano un premio che consisteva in un decimo o in un
quinto dei soldi raccolti.
L’arriffatore che dava
poco in cambio dei soldi raccolti aveva vita breve per cui erano le donne, per
il loro equilibrio morale e la loro fermezza nel condurlo le più adatte per questo
mestiere che veniva abbinato o all’estrazione settimanale del lotto o, se si
trattava di prodotti freschi, come verdura, carne, pesce, veniva effettuata nel luogo indicato non
appena i novanta numeri erano stati esauriti.
Certe volte erano gli
stessi partecipanti alla lotteria a suggerire le cose da mettere in palio per
cui si poteva vincere dell’olio extravergine di oliva o dell’ottimo vino
prodotto in zona, un abito un scialle, un oggetto d’oro che doveva essere molto
appariscente più che pesante.
I numeri venivano
tirati fuori dallo stesso Panariello utilizzato per giocare a tombola. L’arriffatrice
con una voce squillante,e anche in questa era una maestra, dopo aver girato e
rigirato il Panariello e aver fatto vedere che nelle mani non aveva numeri già
estratti dopo aver pronunciato la frase di rito: ‘amano è libbera e ‘o nummero è
fore, rovesciava sulla mano sinistra il numero che diventava il primo estratto
che recitava a voce alta da farsi sentire da quasi tutto il vicinato tanto la
sua voce era robusta, ferma e squillante e assegnava il premio più importante a
chi lo possedeva..
Quando il primo premio
era un po’ fiacco venivano aggiunti altri premi fin dove era possibile spendere
senza rinunciare al proprio guadagno e l’estrazione proseguiva fino ad
esaurirli.
Quando i vincitori
erano presenti i premi venivano consegnati subito altrimenti si provvedeva a farli
avvisare per procedere alla consegna. Mai un premio veniva dimenticato anche se
il valore non raggiungeva quello del primo.
I prodotti erano tutti
di buona qualità in particolar modo quelli alimentari e quelli che erano
destinati a durare nel tempo.
Quando l’arriffatore
usciva dal proprio quartiere al cliente veniva dato un biglietto mentre sulla
matrice era annotato il nome e cognome in quanto di maria e concettina,
annarella ecc. ce ne erano tante e non si poteva questionare per una cosa seria
ma stupida a un contempo.
Nel dopoguerra c’erano
donne che procuravano alla famiglia un guadagno consistente che permetteva di
vivere degnamente per una buona parte dell’anno fino a quando si poteva
ricorrere ad altri mestieri anch’essi ambulanti e stagionali senza quel fascino
che la riffa portava con sé.
Gioacchino Ruocco
Gioacchino Ruocco
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