per il santuario della Madonna della Libera.
Si rende necessario il concorso dei fedeli per l'ampliamento del tempio
e la sistemazione della strada di accesso
CASTELL. DÌ STABIA, 22 - gen. - 1963
Il piccolo tempio di Santa Maria della Libera, che ha sede sulla fertile collina di San Cataldo, di fronte all'incantevole golfo partenopeo, è insufficiente a contenere l'enorme afflusso di gente che vi giunge in devoti pellegrinaggi, provenienti da tutti i paesi vesuviani o in occasione di speciali funzioni liturgiche.
Per esempio, quest'anno, nella notte di Natale, intere famiglie
salivano per la strada stretta a tortuosa che porta al Santuario per ascoltare la Santa Messa di mezzanotte. L'ora notturna e l'atmosfera natalizia rendevano il luogo ancora più suggestivo; gli alberi di ulivo proiettavano la loro ombra scura verso il ciclo, dove le stelle brillavano più lucenti che mai tra nuvole bianche e scure, che, spinte da una leggera brezza vagavano disordinatamente come un immenso gregge in cerca del suo pastore. In lontananza le luci delle case sembravano anch'esse tremule stelle, cadute sulla terra, in una notte di grazia.
A mezzanotte, il piccolo tempio, di stile neoclassico, e il cortile antistante, erano gremiti da una folla devota e commossa, e parecchie persone, visto che era impossibile assistere alla S. Messa, a malincuore riprendevano la via del ritorno.
E’ pur vero, come tempo fa fu affermato dal comitato «pro Santuario della Libera», che ragioni di misticismo e di tradizione vogliono che il tempio conservi, anche nella devozione immensa che lo circonda, il carattere di un Eremo di alta montagna, ma bisogna tener presente che i fedeli che si recano al Santuario, attratti dalla speranza di essere liberati da mali fisici e spirituali, crescono ogni giorno di più e che molti, specialmente in occasione di pellegrinaggi provenienti da Terzigno, Portici, Resina, San Giorgio a Cremano, Torre Annunziata, Torre del Greco, sono costretti a sostare nel piccolo cortile, poiché la chiesetta non riesce a contenere che un centinaio di persone. Ampliare il Santuario non vuol dire trasformarlo in un immenso tempio, cosa d'altronde impossibile, poiché sorge in una zona estremamente montagnosa, ma utilizzare sapientemente quel poco di spazio che ancora può essere sfruttato per ingrandirlo di qualche metro quadrato.
Altro grave problema che da anni non viene risolto, è quello della viabilità: un primo lotto di lavori è stato recentemente eseguito, ma l'ultimo tratto che porta al Santuario è ancora costituito da una mulattiera ciottolosa e disagiata. Sarebbe utile che le imprese cittadine di materiali da costruzione e anche quelle dei paesi vesuviani, unissero i loro sforzi per offrire gratuitamente quantitativi di materiali, per iniziare sia i lavori di ampliamento del Tempio che per migliorare la strada di accesso.
Il Santuario della Madonna della Libera oltre ad essere un nido di fede, è anche una culla d'arte, poiché il trittico dipinto sulla concavità della roccia è fattura di un vero artista. La Madonna, con in braccio il Bambino, ha alla sua destra S. Giovanni Evangelista, secondo la tradizione iconografica paleo-cristiana, mentre alla sua sinistra vi è un santo, in paramenti vescovili come quelli usati nei primi secoli del Cristianesimo. Padre Ludovico da Saviano, dopo approfonditi studi, ha identificato in quel santo, San Cirillo Alessandrino, il famoso Patriarca di Alessandria che si battè energicamente contro le eresie di Nestorio, che negava in Gesù Cristo una persona unica e non considerava Maria come Madre di Dio, ma solo come Madre del Cristo-uomo. La meravigliosa policromia del quadro, l'armonia delle masse, una pittura così satura di contenuto psicologico testimoniano l'esperienza tecnica e la sensibilità artistica dello sconosciuto e valente pittore che seppe fondere arte e fede cosi intimamente ed efficacemente da creare un vero capolavoro, il quale da anni parla un muto linguaggio di speranza ai cuori sofferenti.
Tra le varie ipotesi che sono state formulate per dare una spiegazione logica sia al titolo del dipinto, sia alla sua singolare posizione, la più accreditata è l'ipotesi iconoclasta.
Durante il secolo VII salì sul trono d'Oriente Leone l'Isaurico, che proibì ai cattolici di adorare le sacre immagini. Tutti coloro che non ubbidivano ai suoi ordini o si rifiutavano di consegnare le statue e i quadri sacri erano accusati di idolatria, perseguitati e uccisi. Anche a Stabia i soldati dell'imperatore seminavano il terrore fra la popolazione, distruggendo e bruciando le abitazioni dei Cattolici e imbrattando di calce anche opere di inestimabile valore artistico.
Gli Stabiesi furono costretti ad abbandonare la città in massa e si rifugiarono sul monte San Cataldo dove vissero per giorni e settimane interminabili, nel terrore di qualche assalto da parte delle orde bizantine e nello squallore più cupo di una vita randagia.
Fu allora che un ignoto pittore dipinse sulla vita roccia del monte San Cataldo la dolce immagine della Vergine, che venne chiamata dagli stessi Stabiesi «Santa Maria della Libera», e che, con la dolcezza del suo sguardo, infuse in quegli uomini cosi perseguitati il coraggio necessario per sopportare tutte quelle avversità.
Poi la persecuzione cessò e gli Stabiesi ritornarono in città, ricostruirono le loro case e, insieme agli orrori della persecuzione, dimenticarono anche la Vergine dipinta sulla roccia, che rimase esposta alla furia dei venti, delle acque e di ogni sorta di intemperie. Qualche secolo dopo la sacra immagine fu trovata da alcuni contadini, che edificarono in quel luogo una piccola e rudimentale cappella che fin dall’inizio fu meta di molti pellegrinaggi, specialmente parte dei comuni della penisola sorrentina, che, data la loro vicinanza al mare, erano continuamente minacciati dalle invasioni saracene.
Entro la fine dell'anno 1993 con una solenne funzione, sul capo di Santa Maria della Libera sarà posta una splendida corona d'oro, simbolo della immensa devozione dei fedeli per questa sacra immagine della Vergine, che da ben quindici secoli guarda e consola, dalla ripida parete rocciosa, con occhi dolci e pensosi, tutti coloro che si rivolgono a lei e che ispirò a don Ferdinando Palmini quella dolce ode che dice: “...ma soli - o popolo di Stabia, la Regina - a salutare e i mali - va al suo trono a deporre. -Oh! come lieto— si sentirà lo spirito allora quando - il volto nero, il volto mansueto, - ti fermerai mirando”.
Anna lozzino
ROMA : Anno CII - Numero 21 - Martedì 22 gennaio 1963 - pag. 5
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