Lo “spiacciafacenne” o in
italiano “sbriga faccende” credo che sia tra i mestieri più vecchi del mondo, improvvisato
sull’onda delle richieste d’aiuto che arrivavano dalla caverna a fianco.
Nel tempo era diventato
un’attività vera e propria. L’occasionalità delle prestazioni richieste dal
vicino impedito da una malattia o dall’impossibilità di muoversi per qualche
accidente improvviso o dalla pigrizia che a volte lo prendeva nell’assolvere
certi compiti quando incominciarono ad assumere carattere di continuità che lo
zucchero ed il caffè non riuscivano più a ricompensare e il mugugno che si andava
diffondendo avevano sicuramente suggerito a quello del vicolo a presso l’idea
di svolgere le attività che gli non avevano il tempo o non erano più in grado
di svolgere.
Dalle mie parti il caffè e lo
zucchero costituiscono ancora oggi i prodotti principe che si vede mettere in
mano quello che soccorre gli altri, ma con il caffè e lo zucchero ci si riempie
lo stomaco soltanto chi li vende.
Nel dopoguerra, tra le tante
imprese per sopravvivere, era ritornato ad essere un mestiere che ritornava utile
a chi non poteva o non voleva mettere in movimento le proprie gambe e ricorreva
ai vicini che che si prestavano quando si spostavano per assolvere le proprie.
Chi si adoperava in questi
frangenti arrivava certe volte addirittura ad anticipare anche il denaro per
l’acquisto del prodotto che era stato incaricato di procurare: veniva rimborsato
alla consegna della merce, abitudine presa dopo qualche dissapore tra
committente e prestatore d’aiuto.
La cosa che rischiava di prendere
con rifiuti o con cattiverie gratuite che seguivano al posto di una ricompensa
neppure con un grazie si risolse
improvvisamente quando un vicino del vicolo appresso mise su un’attività per
sbrigare appunto le faccende che gli altri non erano in grado di svolgere o non
volevano svolgere in prima persona, come andare a rifornirsi di acqua della
Madonna, ritirare un pacco alla posta, portare un sacco di patate, una cassetta
di verdura, le scarpe dal calzolaio.
La voce si sparse in un
battibaleno accompagnata da tante considerazioni che un po’ facevano sorridere
e un po’ arrabbiare come se le cortesie fatte e ricevute fino a quel momento fossero state un obbligo da svolgere senza
recriminare e le ricompense non richieste fossero state un sopruso al quale si sottostava malvolentieri.
Nei primi mesi di attività il
tizio passò vicolo per vicolo per raccogliere gli ordinativi e le cose da
trasferire altrove, ma quando la cosa prese piede avvisò i clienti abituali di
passare per casa sua e di lasciare l’ordine e l’importo anticipato della
prestazione da svolgere.
Era un servizio comodo e il
prezzo non era esagerato e tutto si svolgeva nella massima tranquillità.La vendita di caffè e zucchero subì un calo improvviso con un certo
risentimento di chi li vendeva.
Qualche volta ci ricorse anche
mia madre che non faceva mai dei grandi acquisti, ma presa dall’entusiasmo si
lasciò andare anche lei acquistando più
pasta del dovuto che fu trasportata a casa
dallo spicciafacenne. Fummo tutti contenti dell’iniziativa e ci demmo da fare per trasferire i pacchi a
casa che era posta al primo piano.
Già grandicello e in condizioni
fisiche tali di reggere un peso per lunghi tratti di strada incominciai a soccorrerla
volentieri. Ogni tanto facevamo qualche sosta, durante la quale ci scappava
sempre una carezza e una buona parola, ma a casa arrivavo sempre stanco e
distrutto anche se il mio sorriso non
mancava mai per non darle un pena.
Non avevamo altro mezzo che le
braccia e le gambe. Quando invece si presentò l’occasione di questa persona, acquistava,
pagava e avvisava che sarebbe passato ‘o spicciafacenne a ritirare per cui a noi ragazzi restava
solamente il fastidio di portare la merce in casa quando veniva scaricata nel
cortile.
Col passare degli anni e con il
trasferimento al Rione San Marco e la scuola che mi teneva lontano da casa per
molte ore al giorno, la cosa sfuggì alla mia attenzione anche perché erano ritornati
alla ribalta i nuovi vicini di casa desiderosi di avere un contatto con quelli
della scala: avendo acquistato la macchina e il televisore si offrivano di
accomunarti alle loro iniziative. La cosa durò per un po’ e finì come era
iniziata stabilendo nuovi comportamenti nuove abitudini di vita e di rapporto.
La spesa era un fatto personale e
non la potevi affidare agli altri, le eccezionalità venivano sbrigate alla bene
e meglio dai componenti della famiglia quando le loro dimensioni non erano di
natura bibblica. Si rimpiangeva ‘o spicciafacenne quanno non se ne poteva più e
i nuovi mezzi di trasporto non permettevano di agevolare il trasferimento di
oggetti ingombranti come una lavatrice che andava invadendo tutte le case.
Il mestiere aveva, così, degli
alti e bassi e chi lo praticava doveva ingaggiare una lotta con la clientela e
con le norme che incominciavano ad essere emanate. Chi aveva un’Ape cominciò a
lavorare per i negozi di elettrodomestici per trasportare la merce a casa del
cliente senza garantire il ritiro del vecchio che finiva per essere affidato a spese
proprie al titolare dell’Ape che pretendeva il suo per rifarsi del meno che gli
dava il negoziante.
Oggi potrebbe tornare di moda
scaturendo tra le pieghe dell’assistenza domiciliare, da tutte quelle esigenze
che l’anziano non è in grado di assolvere da solo per tutte le problematiche
che assillano il vivere di oggi nelle zone più popolari della città dove quelli
più abbienti provvedono già con le badanti o con l’utilizzo del taxi per il
trasferimento, ma una persona che vive da sola ha bisogno di qualcuno che la
sorregge in termini umanitari e di conforto sociale come è previsto nelle case
di riposo per anziani.
Lo “spiacciafacenne” non può
sostituire certo gli operatori socio assistenziali, ma potrebbe fare anche
questo dando un volto nuovo alla sua figura che da quando è nata riesce ad
essere sempre utile o indispensabile.
La miseria che s’approssima
potrebbe essere un’altra spinta alla sua risorgenza al suo rirorno sulla scena
sociale.
G. Ruocco