Castellammare di Stabia :Il terremoto del 23 novembre 1980 fece 24 vittime. Il ricordo di Giuseppe Zingone
Tratto dal sito : www.liberoricercatore.it
Sono trascorsi più di trent’anni da quel sisma che ebbe il suo epicentro in Irpinia e che con questo nome è passato alla storia, ma che sconvolse anche la nostra Castellammare.
Era Domenica, ed il terremoto ci colse così… mentre stavamo giocando, i miei nove anni sparirono in un attimo, altri non ebbero più modo di contare i propri, è bastata una scossa ed il boato che squarciava la terra, portò con sé decine di vite che intrapresero insieme un unico cammino.
Per molti miei coetanei quella sera ebbe termine la spensieratezza, la gioia e i giorni divennero grigi.
Ci scoprimmo improvvisamente adulti, Richter e Mercalli divennero i nostri compagni di gioco; come la consapevolezza dell’assestamento e l’immancabile paura che ci perseguitò per molto tempo, e che spesso riemerge nelle mie notti insonni.
Molte parole nuove come: scosse telluriche, sussultorio e ondulatorio, sisma, magnitudo, container, baraccopoli andarono ad arricchire il nostro vocabolario.
Lo studio, in attesa delle dovute verifiche si fermò, la Scuola Media Statale Alfredo Panzini, sotto la reggenza del Preside De Simone, unica nel Centro Antico di Castellammare portò “i propri banchi in tasca” spostandosi all’Ex Ufficio Sanitario (via Amato) zona Ferrovia.
Alcune partite dei Mondiali dell’Ottantadue le vedemmo a scuola, per i turni pomeridiani, e solo nel 1983 quando frequentavo la seconda media, riacquistammo la nostra nuova sede, nei pressi della Fontana di San Giacomo, dove si trova ancora oggi. Tornando ai fatti, con i miei genitori e le mie sorelle, abitando in via san Bartolomeo, potemmo rifugiarci immediatamente nell’area portuale allora non chiusa, né da muri né da cancelli, i marinai della Capitaneria si adoperarono in tutti i modi per soccorrerci.
Lo spazio aperto fatto di stelle e una porzione di cielo, ci parve nell’immediato un luogo sicuro, ricordo anche un fatto singolare i sacerdoti che impartivano il rito della Riconciliazione, assolvendoci con la formula comunitaria, forse perché si pensava ad una situazione ancora in evoluzione, che per fortuna non sopravvenne.
Il centro storico, rigurgitò fuori, tutti i suoi abitanti lasciando le case fino ad un attimo prima, calde e ridondanti di vita, ora semi-abbandonate e silenti.
Adesso che lo scrivo posso dire che già il giorno dopo, il Centro antico si ritrovò più vuoto, ed andò nel post-terremoto ad affollare la periferia nord della città, tra essi molti figli che persero le proprie origini antiche, fatte di vicoli e piazze, di vita di strada.
Altri nuclei familiari si accamparono e si ritrovarono in Villa Comunale, in un’ora inusuale e senza l’abito della Domenica, quasi smarriti.
La solidarietà traboccante delle prime ore si trasformò nel corso degli anni in un ripiegamento egoistico ed indifferente del cittadino stabiese su sé stesso.
Dopo un lungo peregrinare, nostro padre decise di ritornare cautamente a casa; quelle poche ore furono interminabili, ma gli antichi caseggiati addossati orgogliosamente l’uno a l’altro, si rivelarono più solidi di quello che la loro veneranda età dimostrava.
Le lesioni, le crepe, i cedimenti, ci palesarono poi, quanto gli stessi edifici avessero sofferto il sisma, le loro cure nel dopo terremoto furono i ponteggi, le siringhe di cemento armato e le putrelle in ferro, mentre le arcate e le rampe delle scale furono temporaneamente puntellate con pali di legno.
Quanti loro malgrado si scoprirono eroi? Ma non furono mai decorati…
Esemplare la storia di Don Michele D’Auria, sacerdote ed alpino, il quale fin dove lo sorressero le forze, scavò per ore a mani nude nel tentativo di trovare persone ancora in vita.
Il giorno dopo con mio padre andammo a contare i danni, i crolli, le vittime; i figli maschi devono vederle queste cose, quanto sia pedagogico non saprei dire. Ho visto cercare tracce di una vita normale, ma sparita, sulle macerie della propria casa, oggi penso che rimanere in vita fosse già segno di Resurrezione.
Con il terremoto arrivò anche la fine della bella pavimentazione della Villa Comunale fatta di anfore e cavallucci marini, infatti vista la impraticabilità di Corso Garibaldi, per i crolli avvenuti, i soccorsi passavano di lì, come i vagoni ferroviari degli aiuti, che abitarono il nostro lungomare per molto tempo.
Dopo il bel tempo le giornate di pioggia ci portarono tanto e tanto fango e la ripresa ci scivolava dalle mani.
C’è una foto che nel tempo ho fatto mia, ed è tratta dal libro 76 immagini del terremoto a Castellammare, edito da STABIA Press 1981, opera di A. Colonna e L. Diogene, non sono io, ma mi rivedo in quel bambino che con passo veloce cerca di sfuggire alla devastazione che lo attornia mentre attraversa le vie cittadine stringendo la mano del padre.
di Giuseppe Zingone
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Commento di Gioacchino Ruocco
Abitavo già nella casa dove ancora risiedo. Mentre guardavo la televisione vidi oscillare il lampadario della stanza da letto dove mi trovavo.
Di terremoto ne avevo sopportato già un altro a Settimo Torinese menre ero a letto per malattia. Erano giorni che non mi reggevo in piedi. Improvvisamente sentì un urlo che mi fece preoccupare più della spalliera del letto che sbatteva contro la parete.
Era mia moglie a gridare che aveva subito due terremoti mentre era a Castellammare prima di sposarci e trasferirci a Torino. Scappò con i figli e non la smetteva di suonare il citofono invitandomi a scendere. Mi alzai dal letto controvoglia, indossai il cappotto sopra il pigiama perchè tremavo dal freddo e scesi di sotto per le scale.
Appena arrivato sulla strada mi trovai difronte mia moglie con i bambini e un amico che mi chiese dove stavo amdando. Gli dissi del terremoto e lui mi guardò con un'aria di sufficienza. Sei proprio un Napoli! Ma torna su! e se ne andò. Tornammo a casa nel pomeriggio. Il terrore a mia moglie non era ancora passato, io invece ero tutto sudato dal capo ai piedi e avevo bisogni di cambiarmi gli abiti. Dormi per due giorni senza rendermene conto. Se ne aacorse mia moglie che avvertì Aragno, il nostro medico di famiglia che sentenziò che stavo finalmente bene. I miei polmoni si erano liberati dal catarro e non avvertiva rantoli.
Nel 1980 dopo aver telefonato ai sioceri e ai miei familiari che mi assicuraro che stavano bene e le loro case non avevano subito danni, tornammo nuovamente in caso per apprendere dalla televisione della catastrofe avvenuto da Napoli in giù. Fu ancora la televisione a proporre le immagini dei carri ferroviari sul lungo mare che offrivano un riparo per sopravvivere a quelli che la casa l'avevano persa e non sapevano dove andare.
Ostia Lido 28/11/2015
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Commento di Gioacchino Ruocco
Abitavo già nella casa dove ancora risiedo. Mentre guardavo la televisione vidi oscillare il lampadario della stanza da letto dove mi trovavo.
Di terremoto ne avevo sopportato già un altro a Settimo Torinese menre ero a letto per malattia. Erano giorni che non mi reggevo in piedi. Improvvisamente sentì un urlo che mi fece preoccupare più della spalliera del letto che sbatteva contro la parete.
Era mia moglie a gridare che aveva subito due terremoti mentre era a Castellammare prima di sposarci e trasferirci a Torino. Scappò con i figli e non la smetteva di suonare il citofono invitandomi a scendere. Mi alzai dal letto controvoglia, indossai il cappotto sopra il pigiama perchè tremavo dal freddo e scesi di sotto per le scale.
Appena arrivato sulla strada mi trovai difronte mia moglie con i bambini e un amico che mi chiese dove stavo amdando. Gli dissi del terremoto e lui mi guardò con un'aria di sufficienza. Sei proprio un Napoli! Ma torna su! e se ne andò. Tornammo a casa nel pomeriggio. Il terrore a mia moglie non era ancora passato, io invece ero tutto sudato dal capo ai piedi e avevo bisogni di cambiarmi gli abiti. Dormi per due giorni senza rendermene conto. Se ne aacorse mia moglie che avvertì Aragno, il nostro medico di famiglia che sentenziò che stavo finalmente bene. I miei polmoni si erano liberati dal catarro e non avvertiva rantoli.
Nel 1980 dopo aver telefonato ai sioceri e ai miei familiari che mi assicuraro che stavano bene e le loro case non avevano subito danni, tornammo nuovamente in caso per apprendere dalla televisione della catastrofe avvenuto da Napoli in giù. Fu ancora la televisione a proporre le immagini dei carri ferroviari sul lungo mare che offrivano un riparo per sopravvivere a quelli che la casa l'avevano persa e non sapevano dove andare.
Ostia Lido 28/11/2015