CASTELLAMMARE | «Bimbi di Scanzano e Santa Caterina
insieme a giocare». La sfida dei volontari
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di
ALESSANDRA STAIANO
I bambini di Scanzano e Santa Caterina insieme a giocare su
un campo di pallone. Sfida o sogno, comunque lo si voglia chiamare, è quello a
cui lavorano quotidianamente i volontari della polisportiva Centro Storico
Stabia. Gente che incontra tutti giorni bambini e ragazzi, etichettati “a
rischio”, come il 12enne sorpreso l’altro giorno dai carabinieri con un chilo
di marijuana nello zaino. E dedica loro tempo. Il bene più prezioso.
«I ragazzi di questi quartieri si sentono perdenti in tutto- spiega uno dei
promotori dell’associazione che preferisce rimanere nell’anonimato perché fa
parte di quella categoria di volontari che rifugge qualsiasi visibilità- Su un
campo di calcio sono alla pari con agli altri.
Il testo
continua dopo l'immagine.
A volte,
addirittura, vincenti. Capiscono che il rispetto delle regole, quelle in campo
e quelle dello spogliatoio, fa ottenere risultati. E’ una lezione che, piano
piano, portano anche in altri ambiti. E’ l’insegnamento di San Giovanni Bosco:
imparare giocando. Il gioco è un diritto inalienabile di ogni bambino del
mondo». Non era un caso, insomma, che fino a qualche anno fa l’oratorio dei
Salesiani era in Salita Santa Croce a metà strada tra i due quartieri
storicamente in guerra di camorra: i D’Alessandro in collina, quelli di Santa
Caterina nel centro antico. «Da noi venivano i ragazzi di su e quelli di giù.
La nostra sfida è farli tornare a giocare insieme. Magari se da grandi si
trovano uno di fronte all’altro con una pistola in mano, si guardano negli
occhi e si riconoscono». Da qualche anno l’istituto salesiano è stato
acquistato da una fondazione privata, è rimasta solo una piccola parte dedicata
alle attività sociali e ai ragazzi. Da circa un anno, un altro oratorio è nato
in piazza Giovanni XXIII, alle spalle dell’ex scuola Panzini: messo a posto il
campetto di calcio, ora i più piccoli hanno uno spazio dove giocare. Sono più
di cento. L’altra struttura che fa fare sport ai ragazzi di quartieri
difficili si trova all’altro capo della città: al campo Spinelli
dell’Annunziatella dove opera la onlus Sporting Carmine. «Se ne salvi uno su
dieci è un delinquente mancato»- racconta chi ha seguito tante storie negli
anni. Come quella di un ragazzo con padre e fratello, entrambi pusher, che
entravano e uscivano di galera. Lui ha fatto una scelta diversa: si è messo a
lavorare in un bar, 70 euro appena a settimana, ma lui non molla. «Il momento
più difficile è proprio quello in cui non sono più bambini. A 17, 18 anni,
magari la tua ragazza è incinta, di sicuro la tua famiglia non ti passa più
nulla. Hai bisogno di soldi, ma è sempre più difficile trovare una
collocazione. Serve lavoro, non corsi di formazione. E’ a quel punto che
dovrebbero intervenire le istituzioni che, in realtà, avrebbero il compito di
farlo sempre. Ma non lo fanno. La scuola non è fatta su misura di questi
ragazzi».
Se chiedi qual’è la difficoltà maggiore in questo lavoro, la risposta è di
quelle che spiazzano: «Trovare persone disponibili a dare il proprio tempo. A
Castellammare questa forma di altruismo si è completamente esaurita, eppure il
tempo meglio speso è quello dedicato agli altri. Magari trovi qualcuno, sempre
di meno, che dà dei soldi. Non basta. I ragazzi migliorano solo se si sentono
amati. A volta ci capita anche che se diciamo a un bambino “Ti voglio bene”
quello ci guardi con sospetto. Non ci è abituato. Pensa “se non me lo dice mia
mamma o mio padre, perché me lo dici tu?”. Quando hai un dolore troppo
grande, cerchi di rimuoverlo e ti crei una realtà parallela. E allora nelle
famiglie di questi ragazzi tutti i “carcerati” sono ingiustamente detenuti,
dire che tuo padre o tua madre ha sbagliato corrisponde a rinnegarli. Spiegare
che non è così, che riconoscere l’errore dei tuoi genitori non significa non
amarli, non è semplice. Questi ragazzi, magari, sono scostumati, dicono le
parolacce, non è facile stare con loro, però, il bene lo chiedono. Se glielo
dai, in qualche forma lo ricambiano». Cosa dire al ragazzino sorpreso con un
chilo di droga nello zaino? «Vieni da noi a giocare a pallone, vieni a fare il
bambino di 12 anni».
11/09/2014
La mia realtà negli anni del dopoguerra 1945
Da ragazzo giocavamo a pallone sul tratto di autostrada detta CIRCUNVALLAZIONE, compreso tra la California e il ponte sul rivolo che scende da Montecoppola.
Le auto erano poche e passavano di tanto in tanto. Quando ne avvertivamo il rumore da buoni scanzanesi ci scansavamo e poi ritornavamo a giocare.
I problemi da risolvere erano quattro:
1) primo procurarsi la palla o il pallone che era posseduta da uno o due di noi
2) il recupero del pallone che poteva finire nel rivolo che arriva alla Caperrina o quando finiva in discesa e bisognava rincorrerlo;
3) fare attenzione alle macchine;
4) evitare l’arrivo dei vigili che di tanto in tanto arrivavano anche a Scanzano chiamati da qualcuno che non ci sopportava.
Eravamo di estrazione sociali diverse ma nessuno se ne preoccupava. Quelli più grandi li evitavamo abitualmente e loro evitavano noi ragazzi che ancora non fumavano e non avevamo altre fantasie per la testa.
Alcuni già lavoravano e se qualcuno era figlio di genitori che erano ospiti abituali delle patrie galere non gliene fregava niente a nessuno.
I reati di allora erano il contrabbando di generi alimentari che finì qualche hanno dopo la fine della guerra e quelle delle sigarette.
Non pagare il dazio sulle merci per il quale era previsto e atti di violenza che venivano castigati dai guappi fino a quando riuscirono ad affermare il loro status o arrestati nel giro di qualche giorno.
Non c’erano altri problemi fino a quando qualcuno incominciò a molestare le donne e a commettere qualche sopruso di troppo con la copertura di una fantomatica mano nera che non fu mai rintracciata e arrestata.
L’uso delle droghe non era ancora diffuso come oggi; se esisteva pur giravano tra i professionisti e in alcuni circoli dove non eravamo ammessi.
I campi per giocare a pallone erano quello del San Marco e quello dei Salesiani. Non ho ricordi di aree parrocchiali destinate a questi bisogni se non quella di Don Vetrò, dove si formarono molti giocatori stabiesi di qualche rilievo.
Più tardi sentììparlare di un campo a Rovigliano in territorio torrese e di tornei che richiamavamìno
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