A Castellammare di
Stabia
Fervore di fede sulla
collina di San Cataldo
per il santuario della
Madonna della Libera.
Si rende necessario il
concorso dei fedeli per l'ampliamento del tempio
e la sistemazione della
strada di accesso
Castellamare. dì Stabia, 22
Il piccolo
tempio di Santa Maria della Libera, che ha sede sulla fertile collina di San
Cataldo, di fronte all'incantevole golfo partenopeo, è insufficiente a
contenere l'enorme afflusso di gente che vi giunge in devoti pellegrinaggi,
provenienti da tutti i paesi vesuviani o in occasione di speciali funzioni
liturgiche.
Per esempio,
quest'anno, nella notte di Natale, intere famiglie
salivano per la strada stretta a
tortuosa che porta al Santuario per ascoltare la Santa Messa di mezzanotte.
L'ora notturna e l'atmosfera natalizia rendevano il luogo ancora più
suggestivo; gli alberi di ulivo proiettavano la loro ombra scura verso il
ciclo, dove le stelle brillavano più lucenti che mai tra nuvole bianche e
scure, che, spinte da una leggera brezza vagavano disordinatamente come un
immenso gregge in cerca del suo pastore. In lontananza le luci delle case
sembravano anch'esse tremule stelle, cadute sulla terra, in una notte di
grazia.
A mezzanotte,
il piccolo tempio, di stile neoclassico, e il cortile antistante, erano gremiti
da una folla devota e commossa, e parecchie persone, visto che era impossibile
assistere alla S. Messa, a malincuore
riprendevano la via del ritorno.
E’ pur vero, come tempo fa fu affermato dal comitato
«pro Santuario della Libera», che ragioni di misticismo e di tradizione
vogliono che il tempio conservi, anche nella devozione immensa che lo circonda,
il carattere di un Eremo di alta montagna, ma bisogna tener presente che i
fedeli che si recano al Santuario, attratti dalla speranza di essere liberati
da mali fisici e spirituali, crescono ogni giorno di più e che molti, specialmente in occasione di
pellegrinaggi provenienti da Terzigno, Portici, Resina, San Giorgio a Cremano,
Torre Annunziata, Torre del Greco, sono costretti a sostare nel piccolo
cortile, poiché la chiesetta non riesce a contenere che un centinaio di
persone. Ampliare il Santuario non vuol dire trasformarlo in un immenso tempio,
cosa d'altronde impossibile, poiché sorge in una zona estremamente montagnosa,
ma utilizzare sapientemente quel poco di spazio che ancora può essere sfruttato
per ingrandirlo di qualche metro quadrato.
Altro grave
problema che da anni non viene risolto, è quello della viabilità: un primo
lotto di lavori è stato recentemente eseguito, ma l'ultimo tratto che porta al
Santuario è ancora costituito da una mulattiera ciottolosa e disagiata. Sarebbe
utile che le imprese cittadine di materiali da costruzione e anche quelle dei
paesi vesuviani, unissero i loro sforzi per offrire gratuitamente quantitativi
di materiali, per iniziare sia i lavori di ampliamento del Tempio che per
migliorare la strada di accesso.
Il Santuario
della Madonna della Libera oltre ad essere un nido di fede, è anche una culla
d'arte, poiché il trittico dipinto sulla concavità della roccia è fattura di un
vero artista. La Madonna, con in braccio il Bambino, ha alla sua destra S.
Giovanni Evangelista, secondo la tradizione iconografica paleo-cristiana,
mentre alla sua sinistra vi è un santo, in paramenti vescovili come quelli
usati nei primi secoli del Cristianesimo. Padre Ludovico da Saviano, dopo
approfonditi studi, ha identificato in quel santo, San Cirillo Alessandrino, il
famoso Patriarca di Alessandria che si battè energicamente contro le eresie di
Nestorio, che negava in Gesù Cristo una persona unica e non considerava Maria
come Madre di Dio, ma solo come Madre del Cristo-uomo. La meravigliosa
policromia del quadro, l'armonia delle masse, una pittura così satura di
contenuto psicologico testimoniano l'esperienza tecnica e la sensibilità
artistica dello sconosciuto e valente pittore che seppe fondere arte e fede
cosi intimamente ed efficacemente da creare un vero capolavoro, il quale da
anni parla un muto linguaggio di speranza ai cuori sofferenti.
Tra le varie
ipotesi che sono state formulate per dare una spiegazione logica sia al titolo
del dipinto, sia alla sua singolare posizione, la più accreditata è l'ipotesi
iconoclasta.
Durante il
secolo VII salì sul trono d'Oriente Leone l'Isaurico, che proibì ai cattolici
di adorare le sacre immagini. Tutti coloro che non ubbidivano ai suoi ordini o
si rifiutavano di consegnare le statue e i quadri sacri erano accusati di
idolatria, perseguitati e uccisi. Anche a Stabia i soldati dell'imperatore
seminavano il terrore fra la popolazione, distruggendo e bruciando le
abitazioni dei Cattolici e imbrattando di calce anche opere di inestimabile
valore artistico.
Gli Stabiesi
furono costretti ad abbandonare la città in massa e si rifugiarono sul monte
San Cataldo dove vissero per giorni e settimane interminabili, nel terrore di
qualche assalto da parte delle orde bizantine e nello squallore più cupo di una
vita randagia.
Fu allora che
un ignoto pittore dipinse sulla vita roccia del monte San Cataldo la dolce
immagine della Vergine, che venne chiamata dagli stessi Stabiesi «Santa Maria
della Libera», e che, con la dolcezza
del suo sguardo, infuse in quegli uomini cosi perseguitati il coraggio
necessario per sopportare tutte quelle avversità.
Poi la
persecuzione cessò e gli Stabiesi ritornarono in città, ricostruirono le loro
case e, insieme agli orrori della persecuzione, dimenticarono anche la Vergine
dipinta sulla roccia, che rimase esposta alla furia dei venti, delle acque e di
ogni sorta di intemperie. Qualche secolo dopo la sacra immagine fu trovata da
alcuni contadini, che edificarono in quel luogo una piccola e rudimentale
cappella che fin dall’inizio fu meta di molti pellegrinaggi, specialmente parte
dei comuni della penisola sorrentina, che, data la loro vicinanza al mare,
erano continuamente minacciati dalle invasioni saracene.
Entro la fine
dell'anno 1993 con una solenne funzione, sul capo di Santa Maria della Libera
sarà posta una splendida corona d'oro, simbolo della immensa devozione dei
fedeli per questa sacra immagine della Vergine, che da ben quindici secoli
guarda e consola, dalla ripida parete rocciosa, con occhi dolci e pensosi,
tutti coloro che si rivolgono a lei e che ispirò a don Ferdinando Palmini
quella dolce ode che dice: “...ma soli - o popolo di Stabia, la Regina - a
salutare e i mali - va al suo trono a deporre. -Oh! come lieto— si sentirà lo
spirito allora quando - il volto nero, il volto mansueto, - ti fermerai
mirando”.
Anna lozzino
ROMA : Anno
CII - Numero 21 - Martedì 22 gennaio 1963 - pag. 5
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