Gaio Plinio Secondo
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Gaio Plinio Secondo
Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (Como, 23 – Stabia, 25 agosto 79[1]), è stato uno scrittore romano.
Era proprio del suo stile descrivere le cose dal vivo, ed egli è
per noi un vero cronista dell'epoca. Morì infatti tra le esalazioni sulfuree
dell'eruzione vulcanica del Vesuvio che
distrusseStabia, Ercolano e Pompei, mentre cercava di osservare il fenomeno vulcanico
più da vicino. Per questo venne riconosciuto come primo vulcanologo della
storia. In suo onore viene usato il termine di eruzione pliniana per definire una forte eruzione esplosiva, simile appunto a quella del
Vesuvio in cui perse la vita.
La Naturalis historia,
che conta 37 volumi, è il solo lavoro di Plinio il Vecchio che si sia
conservato. Quest'opera è stata il testo di riferimento in materia di conoscenze
scientifiche e tecniche per tutto il Rinascimento e
anche oltre. Plinio vi ha infatti registrato tutto il sapere della sua epoca su
argomenti molto diversi, quali le scienze naturali, l'astronomia, l'antropologia, la psicologia o
la metallurgia.
Biografia
Plinio il Vecchio nacque sotto il consolato di Gaio Asinio Pollione e di Gaio
Antistio Vetere fra il
23 e 24 d.C. Discusso è il luogo della sua nascita: Verona per
alcuni, Como (Novocomum) per altri. A sostegno
della tesi veronese ci sono dei manoscritti in cui è possibile leggere Plinius Veronensis e il fatto che Plinio stesso, nella
sua prefazione, citi Gaio Valerio Catullo come proprio conterraneus (e Catullo era di Verona). Ad
avvalorare l'idea di Como come luogo di nascita, si osserva invece che Eusebio di Cesarea,
nella sua cronaca, unisce in nome di Plinio con l'epiteto di Novocomensis. Eusebio e gli
autori successivi hanno però a lungo confuso Plinio, l'autore della Naturalis Historia, e Plinio il
giovane, suo nipote, l'autore delle lettere e del Panegirico di Traiano. L'argomentazione più considerevole a
favore di Como sono le iscrizioni presenti in questa città, nelle quali il nome
di Plinio ritorna spesso.
Plinio il Vecchio riveste cariche quali Ufficiale di cavalleria (eques) in Germania,
grazie a sua madre, compagna di Gaio Cecilio di Novum Comum, senatore eprocuratore in Gallia e Spagna. Prima del 35 suo padre lo portò a Roma, dove affidò la sua istruzione ad uno dei
suoi amici, il poeta e generale Publio Pomponio
Secondo. Plinio vi acquisì il gusto di apprendere. Due secoli dopo
la morte dei Gracchi, il giovane ammirò alcuni dei loro
manoscritti conservati nella biblioteca del suo tutore e dedicò loro più tardi
una biografia.
Plinio cita i grammatici e retori Quinto Remmio
Palemone ed Arellio Fusco nella sua Naturalis historia[2] e
fu certamente loro seguace. A Roma studiò botanica: l'arte topiaria di Antonio Castore e vede le vecchie
piante di loto che un tempo erano appartenute a Marco Licinio Crasso.
Poté anche contemplare la vasta struttura costruita da Nerone della Domus Aurea[3] ed
assistette probabilmente al trionfo di Claudio sui Britanni nel 44.[4] Sotto
l'influenza di Lucio Anneo Seneca,
diventa uno studente appassionato di filosofia e
di retorica ed
inizia ad esercitare la professione di avvocato. Plinio ricoprì cariche civili
sotto Vespasiano e Tito.
Comandante della flotta tirrenica di stanza a Miseno (Praefectus
classis Misenis), morì durante l'eruzione del
Vesuvio che distrusse Pompei, Ercolano e Stabia.
Plinio il Giovane,
suo nipote, che lo rappresenta come un uomo dedito allo studio ed alla lettura,
intento ad osservare i fenomeni naturali ed a prendere continuamente appunti,
dedicando poco tempo al sonno ed alle distrazioni.
Il racconto della sua morte, contenuto in una lettera del nipote
Plinio il Giovane, ha contribuito all'immagine di Plinio come protomartire della scienza
sperimentale (definizione di Italo Calvino), anche se, sempre secondo il
resoconto del nipote, si espose al pericolo anche per recare soccorso ad alcuni
cittadini in fuga dall'eruzione. Il presunto teschio di Plinio il Vecchio è
conservato nella sala Flajani del Museo
storico nazionale dell'arte sanitaria a Roma.
Carriera
militare
Prestò servizio in Germania nel 47 agli ordini di Gneo Domizio
Corbulone, partecipando alla sottomissione dei Cauci ed alla costruzione del canale tra il Reno e la Mosa. Da giovane comandante di un corpo di
cavalleria (praefectus alae), redasse nel corso degli stazionamenti
invernali all'estero una prova sull'arte del lancio del giavellotto a cavallo (de
iaculatione equestri). In Gallia ed in Spagna annotò
il significato di un certo numero di parole celtiche. Notò le località
associate alle campagne militari di Germanico;
sui luoghi delle vittorie di Druso, sognò che il vincitore lo pregava di
trasmettere alla posterità le sue imprese (Plin. Ep., III, 5,4).
Accompagnò probabilmente Pomponio, amico di suo padre, in
spedizione contro i Catti nel 50.
Ricerche
Sotto Nerone, vive soprattutto a Roma. Cita la carta d'Armenia e
gli accessi del mar Caspio che
fu ceduto a Roma dal personale di Corbulo in 59 (VI, 40). Assiste anche alla
costruzione della Domus Aurea di
Nerone dopo il grande incendio del 64 (XXXVI, 111). Nel frattempo, completa i
venti libri della sua Storia
delle guerre germaniche, solo lavoro di riferimento citato nei primi sei
libri degli annali di Tacito (I,
69). Questo lavoro è probabilmente una delle principali fonti di informazioni
sul germanico. All'inizio del V secolo, Simmaco ebbe
una piccola speranza di trovarne una copia (Epp., XIV, 8). Plinio dedica molto
tempo ad argomenti relativamente più sicuri, come la grammatica e la retorica.
Al
servizio di Roma
Sotto il regno del suo amico Vespasiano, torna al servizio di Roma come
procuratore nella Gallia Narbonense (70) e nella Spagna romana (73). Visita anche Gallia Belgica (74). Durante il suo soggiorno in
Spagna, si dedica all'agricoltura e alle miniere del paese, oltre a visitare l'Africa.[5] Al
suo ritorno in Italia, accetta un incarico di Vespasiano, che
lo consulta alle albe prima di partecipare alle sue occupazioni ufficiali. Alla
fine del suo mandato, dedica la maggior parte del suo tempo ai suoi studi
(Plin. Ep., III, 5,9).
Completa una storia del suo tempo in 31 libri, che tratta del
regno di Nerone fino a quello di Vespasiano (N.H., Praef. 20). Quest'opera è
citata da Tacito,[6] ed
influenza Gaio Svetonio
Tranquillo e Plutarco. Porta a termine il suo grande
lavoro: la Naturalis historia,
un'opera a carattere enciclopedico nella quale Plinio raccoglie una grande
parte dello scibile della sua epoca, lavoro progettato sotto la direzione di
Nerone. Le informazioni che raccoglie riempiono non meno di 160 volumi
nell'anno 73, quando Larcio
Licino, il legato pretore di Spagna Tarraconense prova invano a comperarli con una
somma notevole. Dedica una sua opera aTito Flavio nel 77.
In occasione dell'eruzione del
Vesuvio del 79 che
seppellì Pompei ed Ercolano, si trovava a Miseno come praefectus
classis Misenis. Volendo osservare il fenomeno il più vicino
possibile e volendo aiutare a alcuni suoi amici in difficoltà sulle spiagge
della baia di Napoli, parte con le sue galee,
che attraversano la baia fino a Stabiae (oggi Castellammare di
Stabia) dove muore, probabilmente soffocato dalle esalazioni
vulcaniche, a 56 anni. L'eruzione è stata descritta dal suo nipote Plinio il giovane il cui nome è stato preso in
considerazione nella vecchia vulcanologia: eruzione
pliniana. Il resoconto delle sue ultime ore è riferito in una lettera
interessante che Plinio il giovane indirizza, 27 anni dopo l'accaduto, a Tacito.[7] Invia
anche, ad un altro corrispondente, una relazione sugli scritti ed il modo di
vita di suo zio:[8]
« Iniziava
a lavorare ben prima dell'alba… Non leggeva nulla senza fare riassunti;
diceva anche che non esisteva nessun libro tanto inutile, cioè da non
contenere qualche valore. Al paese, solo l'ora del bagno lo asteneva da
studiare. In viaggio, era privo d'altri obblighi, si dedicava soltanto allo
studio. In breve, considerava perso il tempo che non era dedicato allo
studio. »
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Era occupato su i suoi manoscritti per venti ore su ventiquattro,
non risparmiandosi neppure nel tempo più caldo. Talora lo si trovava impegnato
all'una del mattino a leggere e scrivere a lume di candela. Dopo aver fatto
visita a corte tornava a lavorare sino a mezzogiorno quando interrompeva per
una breve pausa per un pranzo molto leggero al cui termine si riposava
prendendo il sole mentre un segretario gli faceva ad alta voce l'ultima lettura
della giornata. Dopo un bagno freddo, seguito da un breve riposo e da una
merenda ricominciava a lavorare, quasi che fosse all'inizio del giorno, sino all'ora
della cena.[9]
Il solo frutto del suo instancabile lavoro che persiste al giorno
d'oggi è la sua Naturalis
Historia che fu utilizzata
come riferimento durante numerosi secoli da innumerevoli allievi.
Opere
L'elenco delle opere di Plinio ci è fornito dal suo stesso nipote:
De iaculatione equestri, libro sull'arte di
tirare stando a cavallo, frutto della sua esperienza di ufficiale di
cavalleria.
De vita Pomponii Secundi, due libri sulla vita di
Pomponio Secondo, poeta tragico a cui era legato da amicizia.
Bella Germaniae, venti libri sulle guerre di Germania,
che servirono a Tacito per i suoi Annales.
Studiosus, tre libri sulla formazione dell'oratore
tramite lo studio dell'eloquenza.
Dubius sermo, otto libri sui problemi di lingua e
grammatica che presentavano oscillazioni ed incertezze nell'uso, tenute in gran
conto dai grammatici posteriori.
A fine Aufidii Bassi, trentuno libri di
storia che riprendevano la narrazione dove aveva concluso Aufidio Basso, ovvero dalla morte
dell'imperatore Claudio.
Naturalis historia, trentasette libri che
formavano un'opera enciclopedica di larghissimo respiro, l'unica rimastaci per
intero.
La Naturalis historia
La Naturalis historia fu pubblicata nell'anno 77;
già nel titolo l'opera si presenta come ricerca a carattere enciclopedico sui
fenomeni naturali: il termine historia conserva il suo significato greco di indagine, e va notato che la
formula ha dato la denominazione alle scienze biologiche, cioè alla storia naturale nel senso moderno della locuzione.
Il primo libro fu completato dal nipote Plinio il Giovane dopo la
morte dello zio, contiene la dedica a Tito, il sommario dei libri successivi ed
un elenco delle fonti per ciascun libro. Partendo dal lavoro di Lucrezio, l'autore vuole far conoscere
all'uomo i vari aspetti della natura, perché possa elevarsi dalla sua
condizione animale. L'informazione tratta svariati temi:
§
La descrizione dell'universo (II libro)
§
La geografia ed etnografia del
Bacino del Mar Mediterraneo (III-VI libro)
§
L'antropologia (VII libro)
§
La zoologia (VIII-XI
libro)
§
La botanica e
l'agricoltura (XII-XIX libro)
§
La medicina e
le piante medicinali (XX-XXVII libro)
§
La medicina ed i medicamenti ricavati dagli animali (XXVII-XXXII
libro)
§
La mineralogia (XXXIII-XXXVII
libro)
L'ultima parte, trattando della lavorazione dei metalli e delle
pietre, contiene anche una lunghissima digressione sulla storia dell'arte
dell'antichità, in particolare riguardo la statuaria, la pittura e
l'architettura (ma non mancano notizie relative ai mosaici e ad opere di altro
tipo).
In sostanza si tratta di un'opera che risente della fretta di chi
legge e registra tutto quanto va apprendendo; dello sforzo di mettere ordine
nell'immensa materia. Sebbene non si possa chiedere all'autore originalità ed
esattezza scientifica, si deve riconoscere l'altissimo valore antiquario e
documentario dell'opera, e l'enciclopedismo pratico dell'autore, spesso
soffermatosi in credenze superstiziose e gusto del fantastico. Non mancano,
inoltre informazioni errate o dati "gonfiati", ad esempio nella
descrizione del teatro di Pompeo e di quelli di Curione e Scauro[10].
Filosofia
Come molti letterati e persone di cultura della prima età
imperiale, Plinio segue lo stoicismo. È anche influenzato dall'epicureismo, dall'accademismo e dalla reviviscente scuola pitagorica. Ma la sua visione della
natura e degli dèi resta principalmente stoica. Secondo lui, c'è la debolezza
dell'umanità che chiude la divinità sotto forme umane falsate dai difetti e dai
vizi.[11] La
divinità è reale: è il cuore del mondo eterno, che dispensa la sua beneficenza
sulla Terra,
sul sole e le stelle.[12]
L'esistenza della divina provvidenza è dubbia,[13] ma
la credenza nella sua esistenza ed alla punizione dei reati è salubre;[14] la
virtù apparteneva alle divinità, cioè a quelli che somigliavano ad un dio
facendo il bene per l'umanità,[15] È
opera maligna informarsi sul futuro e forzare la natura ricorrendo alle arti
della magia,[16] ma
l'importanza dei prodigi e dei presagi non è trascurata.[17] La
visione che Plinio ha della vita è oscura: vede la razza umana immersa nella
rovina e nella miseria.[18]
Contro il lusso e la corruzione morale, si consegna a declamazioni
così frequenti (come quelle di Seneca) che finiscono per stancare il lettore. La sua
retorica fiorisce praticamente contro invenzioni utili (come l'arte della navigazione)
in l'attesa del buon senso e del gusto.[19] Con
lo spirito d'orgoglio nazionale romano,
forma l'ammirazione delle virtù che hanno condotto la repubblica alla sua dimensione.[20]
Egli non dimentica i fatti storici sfavorevoli a Roma[21] e,
anche se onora i membri eminenti delle case romane distinte, è libero dalla
parzialità eccessiva di Tito Livio per
l'aristocrazia. Le classi agricole ed i vecchi signori della classe equestre (Cincinnato, Curio Dentato, Serrano e Catone il Vecchio)
sono per lui i pilastri dello Stato romano e si deplora amaramente del declino
dell'agricoltura in Italia.[22] Inoltre,
preferisce seguire gli autori pre-augustiani; tuttavia vede il potere imperiale
come indispensabile al governo dello Stato e saluta il salutaris exortus di Vespasiano.[23]
Letteratura e scienze
Ricostruzione della
distruzione di Pompei
Alla fine dei suoi lunghi lavori letterari, il solo Romano ad
avere scelto come tema la totalità del mondo della natura, implora la
benedizione della madre universale su tutto il suo lavoro. In letteratura, attribuisce il più alto posto ad Omero ed a Cicerone (XVII, 37 sqq.) quindi
in secondo luogo Virgilio. È stato influenzato dalle ricerche
del re Giuba II diNumidia che
chiamava mio padrone.
Dedica un interesse profondo alla natura ed
alle scienze naturali. Nonostante la poca stima che
uno porta per questo genere di studio, egli si sforza sempre di essere al
servizio dei suoi concittadini (XXII, 15). La portata della sua opera è vasta e
completa, un'enciclopedia di tutte le conoscenze. A questo
scopo, studia tutto ciò che fa autorità in ciascuno di quest'argomenti e non si
astiene a citare estratti.
I suoi indices
auctorum sono, in alcuni
casi, le autorità che lui stesso ha consultato (benché ciò non sia esauriente)
e a volte questi nomi rappresentano gli autori principali sull'argomento, che
sono conosciuti soltanto di seconda mano. Riconosce sinceramente i suoi
obblighi a tutti i suoi predecessori in una frase che merita d'essere
proverbiale (Pref. 21, plenum
ingenni pudoris fateri per quos profeceris). Ma c'è la sua curiosità
scientifica per i fenomeni dell'eruzione del Vesuvio che
porta la sua instancabile vita di studio alla fine prematura. Ogni
testimonianza dei suoi difetti d'omissione è disarmata dal candore della sua
confessione nella sua prefazione: nec
dubitamus multa esse quae ed i nostri praeterierint; homines enim sumus ed
occupati officiis. Il suo stile denuncia un'influenza di Seneca.
Mira meno alla chiarezza che all'epigramma. È pieno d'antitesi, di questioni, d'esclamazioni, di tropi, di metafore, e d'altri manierismi
dell'età del denaro della letteratura latina(primi
due secoli). La forma ritmica ed artistica della frase è sacrificata da una
passione per l'enfasi che delizia con il riporto dell'argomentazione verso la
fine. La struttura della frase è molto spesso irregolare. Si nota anche un
utilizzo eccessivo dell'ablativo assoluto,
spesso messo in apposizione per esprimere l'opinione dell'autore su un
enunciato che precede immediatamente. Ad esempio: XXXV, 80, dixit... uno se praestare, quod
manum de tabula sciret tollere, memorabili praecepto nocere saepe nimiam
diligentiam.
Le sue fonti sono i trattati persi sulla scultura in bronzo e
sulla pittura dello scultore Senocrate d'Atene (III secolo a.C.). All'entrata principale della cattedrale di Como è possibile vedere statue di Plinio il
Vecchio e suo nipote Plinio il giovane in posizione seduta, e indossanti abiti
degli eruditi del XVI secolo. Gli aneddoti di Plinio il Vecchio
per quanto riguarda gli artisti greci hanno ispirato Giorgio Vasari sui temi degli affreschi che decorano
ancora oggi le pareti della sua vecchia casa ad Arezzo.
Gastronomia
Plinio è una miniera inesauribile di informazioni sui prodotti
alimentari e sui costumi Romani. Dopo Columella,
Plinio è, tra tutti gli autori latini, quello al quale dobbiamo maggiori
informazioni sulle varie specie di viti e di vini conosciuti.
Il libro XIV della Naturalis Historia è dedicata a questo tema;
conta 22 capitoli che trattano dell'argomento nei suoi minimi dettagli, dalle
varie specie di viti, la natura del suolo, il ruolo che gioca il clima,
il vino in generale, i vari vini d'Italia e d'oltremare conosciuti dai tempi
più arretrati, all'enumerazione dei più famosi consumatori della Grecia e di
Roma. Fornisce anche informazioni preziose sulle piante odorose, gli alberi da
frutto, il grano, l'agricoltura, il giardinaggio, le piante medicinali, le carni, pesci, selvaggina, l'apicoltura, la panetteria e le verdure.
Ornitologia
Il libro X è dedicato agli uccelli e
si apre con informazioni sullo struzzo. Plinio lo considera come il punto di
passaggio dagli uccelli ai mammiferi. Inserisce numerose specie e si
sofferma particolarmente sulle aquile e
altri rapaci come
gli sparvieri.
La fisiologia
Plinio il Vecchio fu uno studioso interdisciplinare e si occupò
anche di fisiologia e
di ricerche sui problemi di natura sessuale; infatti consigliò "l'uso di
pene di lerch intriso di olio o di quello di iena trattato con il miele",
per rafforzare la sessualità.
Storia dell'opera
Verso la metà del III secolo, un riassunto delle parti
geografiche delle opere di Plinio è realizzata da Solino ed
all'inizio del IV secolo, i passaggi medici sono riuniti
nella Medicina Plinii.
All'inizio del VIII secolo, Beda il Venerabile possiede un manoscritto di tutte le
opere. Nel IX secolo, Alcuino invia
a Carlo Magno una
copia dei primi libri (Epp. 103, Jaffé) e Dicuilo riunisce estratti delle
pagine di Plinio per la sua Mensura orbis terrae (C, 825). I lavori di Plinio
acquisiscono grande stima nel Medioevo. Il numero di manoscritti restanti è
d'circa 200, ma il più interessante e tra i più vecchi è quello di Bamberga, contenente soltanto i libri dal
XXXII al XXXVII. Roberto di Cricklade, superiore del St Frideswide a Oxford, indirizza al re Enrico II un Defloratio,
contenente nove volumi di selezioni prese da uno dei manoscritti di questa. Fra
i manoscritti più vecchi, il codex
Vesontinus, precedentemente conservato a Besançon (XI secolo), è oggi sparso in tre città: a
Roma, a Parigi, e l'ultimo a Leida (dove esiste anche una trascrizione
del manoscritto totale).
Curiosità
Plinio nei suoi trattati sulle Scienze Naturali, studia anche
pietre dure di altissimo valore: i diamanti. Posseduto o disegnato sulla
propria pelle, il diamante viene descritto come un talismano contro i veleni e
le malattie ed inoltre avrebbe il potere di tenere alla larga i brutti sogni e
gli spiriti maligni.
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