lunedì 20 giugno 2016

Peppe Orazzo, maestro di violino e compositore




G. Ruocco (poeta), Peppe Orazzo (musicista) ,
 Ferdinando Di Somma (cantante) 1956


Conobbi Peppe Orazzo quando Antonio gli recapitò il testo di “Mare napulitano”, una poesia con ritornello che poteva sembrare anche una canzone come quelle degli autori storici che all’epoca mi passavano per le mani che aveva prelevato dalla tasca della mia giacca, a mia insaputa. Pensavo di averla persa ma non era così.

Qualche giorno più tardi, mentre attraversavo il rione Starza dove la famiglia Orazzo abitava, Peppe mi si avvicinò e mi chiese se ero io l’autore dei versi che lui stava cantando: li aveva musicati e il motivetto non era male come non erano male i miei versi.

Ridendo e scherzando familiarizzammo all’istante e diventai per Peppe ed Antonio come uno di famiglia come successe a Peppe con la mia quando lo presentai a mio padre e mia madre.

I cinque anni di studio passarono senza accorgermene. Con Antonio, fuori della scuola, mi frequentavo giusto il necessario, con Peppe invece iniziò una collaborazione che durò finché rimasi a Castellammare di Stabia. Scrivevamo canzoni, ma non so per quale motivo pur vivendo a contatto con il maestro Mazzucchi, autore con Di Capua  di ‘O sole mio e del direttore della Ricordi di Napoli presso il quale Peppe andava a lezione di violino, non ci prendemmo mai carico di un nostro debutto in quel mondo che tanto mi tentava  e sicuramente mi avrebbe regalato una vita diversa tenuto conto che ridendo e scherzando avevamo scritto un centinaio di pezzi di buon livello e continuo a scriverne inventandomi anche la parte melodica che avvenne la prima volta quando Peppe rifiutò un mio testo che si discostava dai suoi gusti. La sera tardi, dopo averlo lasciato nella villa comunale assieme ad altri per la delusione del rifiuto, mi trovai a cantare i miei versi che continuai a cantare fino a casa per non dimenticare il motivetto che si era manifestato spontaneamente.

Con Peppe partecipavo anche al gruppo filodrammatico della parrocchia della Starza riscuotendo un buon successo per il mio modo di interpretare alcuni tipi napoletani ed in particolare Pulcinella. I soldi incassati ci permettevano qualche pizza e qualche pacchetto di sigarette che avevo cominciato a fumare fuori casa.

Mi portai appresso questa esperienza anche presso il Centro sociale INA CASA dove c’era un altro gruppo di recitazione e degli amici che suonavano la chitarra. Senza abbandonare Peppe che presentai anche a mi a moglie quando mi sposai invitandolo continuamente a Lettere dove mia moglie aveva una piccola proprietà con un fazzoletto di terreno coltivato, cenando e cantando e bevendo qualche bicchiere di vino di Lettere molto noto e apprezzato.

Scrissi molti testi su richiesta dei componenti della compagnia che era composta da Ferdinando, Guido ed un altro che emigrò in Argentina e una ragazza pianista di cui non tardai ad innamorarmi. Il suo nome era Marinella che incontravo a casa sua quando Peppe andava a fare le prove di quello che la domenica suonavano in chiesa durante i matrimoni.

Dopo il diploma partì per il servizio militare che non cercai di schivare.  Allontanandomi per la distanza che ci separava, ma quando arrivai a Napoli per gli ultimi otto mesi ripresi a frequentare la compagnia e tutti quelli che mi stimavano.

La distanza tra Torino e Castellammare non mi permisero quella frequentazione che invece diventa necessaria fra due creativi.

Peppe, nei mi ritorni, non sempre era disponibile ed io non sempre riuscivo a staccarmi da mia moglie e dai primi due figli.

Il rapporto pur non esaurendosi del tutto era terminato fattivamente. Le occasioni diventarono poche e l’assenza di un progetto fece smorsare il mio entusiasmo che ancora oggi non vuole finire. Peppe invece continuò ad accontentarsi delle esibizioni domenicali nelle chiese pur avendo fatto parte dell’Orchestra filarmonica che era nata a Castellammare di stabia alla fine degli anni cinquanta.
Dopo la sua morte ho cercato di avere la copia degli spartiti delle musiche composte per cantare i miei versi ma niente da fare.

Qualcuno mi ha risposto che la vedova, la seconda moglie, aveva buttato tutte le scartoffie di Peppe.

Allora dico, nel ricordarlo, pace all’anima sua. Era un valente violinista e aveva una capacità di scrittura sulla carta che alla prova risultava sempre corrispondente a quello che cantavamo divertendoci e giocando manco fossimo stati dei ragazzini. 

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