Conobbi Peppe Orazzo quando Antonio gli recapitò il testo di “Mare
napulitano”, una poesia con ritornello che poteva sembrare anche una canzone
come quelle degli autori storici che all’epoca mi passavano per le mani che
aveva prelevato dalla tasca della mia giacca, a mia insaputa. Pensavo di averla
persa ma non era così.
Qualche giorno più tardi, mentre attraversavo il rione Starza dove la famiglia
Orazzo abitava, Peppe mi si avvicinò e mi chiese se ero io l’autore dei versi
che lui stava cantando: li aveva musicati e il motivetto non era male come non
erano male i miei versi.
Ridendo e scherzando familiarizzammo all’istante e diventai per Peppe ed
Antonio come uno di famiglia come successe a Peppe con la mia quando lo
presentai a mio padre e mia madre.
I cinque anni di studio passarono senza accorgermene. Con Antonio, fuori
della scuola, mi frequentavo giusto il necessario, con Peppe invece iniziò una
collaborazione che durò finché rimasi a Castellammare di Stabia. Scrivevamo
canzoni, ma non so per quale motivo pur vivendo a contatto con il maestro
Mazzucchi, autore con Di Capua di ‘O sole mio e del direttore della
Ricordi di Napoli presso il quale Peppe andava a lezione di violino, non ci
prendemmo mai carico di un nostro debutto in quel mondo che tanto mi
tentava e sicuramente mi avrebbe
regalato una vita diversa tenuto conto che ridendo e scherzando avevamo scritto
un centinaio di pezzi di buon livello e continuo a scriverne inventandomi anche
la parte melodica che avvenne la prima volta quando Peppe rifiutò un mio testo
che si discostava dai suoi gusti. La sera tardi, dopo averlo lasciato nella
villa comunale assieme ad altri per la delusione del rifiuto, mi trovai a
cantare i miei versi che continuai a cantare fino a casa per non dimenticare il motivetto che si era manifestato spontaneamente.
Con Peppe partecipavo anche al gruppo filodrammatico della parrocchia della
Starza riscuotendo un buon successo per il mio modo di interpretare alcuni tipi
napoletani ed in particolare Pulcinella. I soldi incassati ci permettevano
qualche pizza e qualche pacchetto di sigarette che avevo cominciato a fumare
fuori casa.
Mi portai appresso questa esperienza anche presso il Centro sociale INA
CASA dove c’era un altro gruppo di recitazione e degli amici che suonavano la
chitarra. Senza abbandonare Peppe che presentai anche a mi a moglie quando mi
sposai invitandolo continuamente a Lettere dove mia moglie aveva una piccola
proprietà con un fazzoletto di terreno coltivato, cenando e cantando e bevendo
qualche bicchiere di vino di Lettere molto noto e apprezzato.
Scrissi molti testi su richiesta dei componenti della compagnia che era
composta da Ferdinando, Guido ed un altro che emigrò in Argentina e una ragazza
pianista di cui non tardai ad innamorarmi. Il suo nome era Marinella che
incontravo a casa sua quando Peppe andava a fare le prove di quello che la
domenica suonavano in chiesa durante i matrimoni.
Dopo il diploma partì per il servizio militare che non cercai di schivare. Allontanandomi per la distanza che ci
separava, ma quando arrivai a Napoli per gli ultimi otto mesi ripresi a
frequentare la compagnia e tutti quelli che mi stimavano.
La distanza tra Torino e Castellammare non mi permisero quella
frequentazione che invece diventa necessaria fra due creativi.
Peppe, nei mi ritorni, non sempre era disponibile ed io non sempre riuscivo
a staccarmi da mia moglie e dai primi due figli.
Il rapporto pur non esaurendosi del tutto era terminato fattivamente. Le
occasioni diventarono poche e l’assenza di un progetto fece smorsare il mio
entusiasmo che ancora oggi non vuole finire. Peppe invece continuò ad
accontentarsi delle esibizioni domenicali nelle chiese pur avendo fatto parte
dell’Orchestra filarmonica che era nata a Castellammare di stabia alla fine
degli anni cinquanta.
Dopo la sua morte ho cercato di avere la copia degli spartiti delle musiche
composte per cantare i miei versi ma niente da fare.
Qualcuno mi ha risposto che la vedova, la seconda moglie, aveva buttato
tutte le scartoffie di Peppe.
Allora dico, nel ricordarlo, pace all’anima sua. Era un valente violinista
e aveva una capacità di scrittura sulla carta che alla prova risultava sempre
corrispondente a quello che cantavamo divertendoci e giocando manco fossimo
stati dei ragazzini.
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