lunedì 30 gennaio 2012

La commedia che ho scritto... - da "L'Equilibrista... poesie dal quotidiano"




Ho soltanto un ricordo che ancora mi accompagna
di quando presi il treno e ti lasciai
e il giorno dopo da solo mi trovai in un’altra città.
Da quel momento io non fui più solo
anche se sotto ai piedi la strada era perversa,
insicura ogni giorno, senza un ritorno certo
fino a quando non ti avrei trovata all’altro capo del filo
sorridente o incerta come eri allora.

E io mi dicevo: - Alla buonora in attesa che il tempo si compisse
Con parole nuove da mettere a dimora nella memoria
Perché un sorriso ritornasse a splendere senza un equivoco sul mio volto,
con parole che avessero un senso che appena conoscevo.

Quante volte mi son chiesto di questo esilio mai desiderato
come dovesse avverarsi un sogno e il pudore ti chiede un’altra scena
su cui rappresentarlo.
E intanto è trascorsa una vita tra tanti inganni e poche meraviglie
da farsi bastare quando il tempo è brutto,
quando non ti riesce di fare un passo avanti
e resti indietro a commiserarti.

Qualche volta vorrei tornare indietro
per ritrovare il tempo che ho perduto
facendo altre cose per non darmi la zappa sopra ai piedi,
quando vedi e non vedi
e non hai il coraggio che ti fa capire
come stanno andando le cose.

La nebbia che arreda le città d’inverno
è solo una scusa.
Se tu eri delusa
anche tu hai fatto come me
venendomi appresso.

Oggi che il sole mi brucia
anche questo è un tempo sprecato
Se avessi bucato le ruote sarei più felice,
ma il pensiero mi dice che morirò di inedia.
La commedia che ho scritto
non trova un ingaggio
ed io il coraggio di averti fino a domani,
fin quando il mio tempo potrebbe durare.


Ostia Lido    30/01/2012      ore       18,30





La poesia è inserita nella raccolta “ L’Equilibrista …. 
pubblicata
su http://gentedistabia.blogspot.com

Se niente si crea e niente si distrugge da "L'equilibrista... poesie dal quotidiano"



Se niente si crea e niente si distrugge
allora un giorno questo mondo finirà
nello stesso modo come è iniziato.
Nel cielo resterà un buco nero
come nel mio pensiero
da quando mi hai lasciato
perché stanca di fare l’impossibile
per trasferirmi sopra il tuo pianeta.

Eppure mi disseto solo con due parole
senza passarti accanto facendo finta
di non averti vista
con un profumo che stordisce l’anima.
Raccontavi la storia di un altro uomo
mentre le regole del mondo stanno
in piedi da secoli e tutto si trasforma
in altro amore senza il rumore
che fanno gli astri precipitando a terra.

La casa ch’è diventata mille volte immensa
conserva un eco di una nebulosa
esplosa mille e mille anni fa.
Io sono ancora all’epoca glaciale
a quel linguaggio di mugugni e gesti
che hanno una storia sempre uguale.
La conoscenza  che non mi perdona
è ancora nelle viscere dell’essere.
Aver ragione non è il mio interesse.
Dal nulla dove tu mi hai scovato
mi guardo intorno ma non attraverso
che un breve spazio per ritornare
dentro di me nel nulla che ancor tace.



Gioacchino Ruocco


Ostia Lido          30/01/2012      ore 14,30


Inserita nella raccolta "L'EQUILIBRISTA...poesie del quotidiano"
iniziata il 13/09/2011




domenica 29 gennaio 2012

Politico parassita, quando ?


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE V PENALE
Sentenza 7 ottobre – 28 dicembre 2011, n. 48553

(Presidente Oldi – Relatore Fumo)
Rilevato in fatto

La CdA di Salerno, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale C.P. fu condannato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno in favore delle costituite PP.CC. in quanto riconosciuto colpevole del delitto di diffamazione a mezzo stampa, commesso in data (omissis), mediante pubblicazione di un articolo sul giornale (omissis) , con il quale offendeva la reputazione dei parlamentari Co.Ge. e L.M.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce:

1) nullità delle sentenze di merito per inosservanza dell'art. 415 bis cpp, attesa la omessa notifica dell'avviso di conclusioni indagini.

2) manifesta illogicità e mancanza della motivazione, atteso a) che la CdA non ha raggiunto la prova della esistenza dell'articolo. In atti è allegata solo una fotocopia dello stesso e non vi è certezza dunque della pubblicazione del "pezzo". Accade frequentemente che a una anteprima di stampa non segua la effettiva pubblicazione, b) che l'imputato ha semplicemente esercitato il diritto di critica nei confronti di esponenti politici locali, ritenuti responsabili del degrado sociale e della mancanza di lavoro nella provincia di Caserta. È noto che il diritto di critica ha confini più ampi di quello di cronaca e che specialmente gli uomini politici sono maggiormente esposti alla formulazione ed espressione di giudizi negativi, attesa la loro sovraesposizione pubblica. La funzione della stampa in un paese democratico è quella di esercitare controllo su chi detiene ed esercita il potere per delega dei cittadini. Sono stati rispettati i parametri enucleati dalla giurisprudenza; invero la notizia è di evidente interesse pubblico e il linguaggio può definirsi continente, attesa la natura iperbolica della espressione "parassiti", riferita ai due uomini politici, e il diffuso processo di desensibilizzazione delle espressioni "forti" che è in atto nella società moderna.

3) mancata assunzione di prova decisiva, dal momento che irragionevolmente la Corte salernitana si è rifiutata di acquisire un originale della copia del giornale;

4) intervenuta prescrizione del reato.
Considerato in diritto
La prima censura è inammissibile per genericità. Essa costituisce mera "riproduzione" di censura già proposta dal giudice di appello e motivatamente respinta dallo stesso. Non si riesce dunque a comprendere per qual motivo il ricorrente, senza minimamente replicare alle argomentazioni del secondo giudice, altro non faccia che "ricopiare" un motivo di appello, quasi che la Corte di merito non avesse dato risposta allo stesso. Non resta che rinviare alle considerazioni della Corte salernitana, la quale ha fatto corretto uso dei principi enucleati dal giudice di legittimità in tema di nullità derivante dal mancato avviso delle chiusura delle indagini di cui all'art. 415 bis c.p.. Invero è stato (reiteratamente) chiarito che la nullità del decreto di citazione a giudizio per l'omessa notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è di natura relativa e, pertanto, deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p., subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti (da ultimo: ASN 201035420-RV 248302).

Parimenti generiche sono le censure sub 3) e 2-a). L'assunto che la fotocopia dell'articolo in atti riproduca non un "pezzo" effettivamente pubblicato, ma una mera anteprima di stampa, poi abbandonata, è meramente congetturale e, come tale, da non prendere in considerazione.

A parte il fatto che la censura è in insanabile contrasto logico con quella sub 2-b), va notato che il ricorrente, invero, non sostiene che l'articolo non sia stato pubblicato, ma che ciò potrebbe essere possibile. Orbene, è noto che una fotocopia, fino a prova del contrario, riproduce un originale ed è onere di chi nega l'esistenza dell'originale o la conformità ad esso della copia, provare o, almeno, allegare tale circostanza. E ciò è esattamente quel che il ricorrente non fa.

D'altra parte, se L. e Co. sono venuti a conoscenza del contenuto dell'articolo, detto articolo deve pur essere stato diffuso tra il pubblico.

La censura sub 2-b) è infondata.

È certamente esatto che il diritto di critica ha confini ben più ampi di quello di cronaca; è altrettanto esatto che, in esso, il requisito della "verità" si profila in maniera ben diversa rispetto a quanto accade nel diritto di cronaca (atteso che un'opinione non è vera o falsa, ma vero o falso può essere il presupposto fattuale sul quale essa poggia); infine è vero che un uomo politico è più esposto del comune cittadino alle critiche e ai giudizi della opinione pubblica, in ragione del mandato rappresentativo che ha ricevuto e, dunque, della necessità di rendere conto del suo operato; ma non va dimenticato che la critica è valutazione argomentata di condotte, espressioni e/o idee.

Perché vi sia esercizio del diritto di critica, è necessario – allora - che il giudizio (anche severo, anche irriverente) sia collegato col dato fattuale dal quale il "criticante" prende spunto. Altrimenti, il fatto rappresenta niente altro che occasione e pretesto per sfogare sentimenti ostili verso persone che con esso non hanno relazione.

Per quanto si legge in sentenza (e la circostanza non è contestata dal ricorrente), l'imputato, dopo aver dato conto del suicidio e del tentativo di suicidio di alcuni giovani disoccupati, accenna alla situazione di degrado sociale del Meridione d'Italia e ne indica i responsabili negli onorevoli Co. e L. , definiti "parassiti", persone che portano a casa 22 milioni di lire al mese. A tali affermazioni il L. aggiunge la considerazione che "a Caserta vota anche la camorra".

Il corretto esercizio del diritto di critica avrebbe anche consentito all'imputato di indicare i due parlamentari come responsabili (morali) dei tragici gesti sopra descritti.

Sarebbe persino stato possibile giustificare come espressione di "folclore giornalistico" la attribuzione del termine "parassita" a uomini politici che, ben remunerati, siano (o appaiano all'autore dell'articolo) come percettori di un compenso immeritato, in quanto sproporzionato (per eccesso) all'impegno profuso e ai risultati ottenuti, ma tali severi giudizi avrebbero dovuto essere espressi all'interno di un percorso argomentativo e come corollario di un ragionamento, che viceversa, nel caso in esame, manca del tutto.

Compito del giudice del merito non sarebbe stato certo quello di valutare (condividendolo o respingendolo) il ragionamento predetto, ma di prendere atto della sua esistenza e di verificarne la formale coerenza logica.

Di talché è assolutamente corretta la considerazione della CdA, la quale rileva come il L. abbia posto in collegamento fatti e circostanze del tutto eterogenei senza spiegare" perché Co. e L. siano chiamati in causa dai tragici episodi con la cui descrizione si apre l'articolo e senza chiarire quali siano le loro responsabilità (politiche, morali o di qualsiasi altra natura) per il degrado del Meridione e per il dilagare del potere della camorra a Caserta.

Fondato invece è il rilievo sulla intervenuta prescrizione (in data 17.7.2010 e dunque dopo la pronunzia della sentenza di secondo grado).

In presenza di ricorso, nel suo complesso, non inammissibile (la seconda censura come ricordato, è infondata), detta causa estintiva deve ritenersi operante. Per tale ragione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, ma, per quanto sopra anticipato, il ricorso va rigettato agli effetti civili.
P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili.

'O carrettone 'e Muntevergene



'O carrettone 'e  Muntevergene



Il carrettone, nei miei ricordi, aveva dimensioni più grandi di quello raffigurato nell'immagine fino ad ospitare una ventina di persona più i viveri necessari per il viaggio e qualche capo di biancheria per la cambiata. 

Nell'immagine appresso si vede il largo, com'è oggi, da dove prendeva inizio l'avventura della juta a Muntevergene programmata. Al posto della macchina c'era una fontana pubblica dalla quale attingevamo l'acqua che serviva per la giornata e davanti ad essa si fermava Fredinando 'o trippone col suo carretto un pò per abbeverare il cavallo e un pò per vendere la verdura che acquistava al mercato ortofrutticolo di Castellammare  ai clienti che incontrava  sul percorso che faceva per tornare a casa a Privati verso sera dove abitava con tutta la famiglia che era molto numerosa.

La partenza del carrettone avveniva dal  largo del Supportico sul quale si innestano ancora oggi il vicolo Sorrentino sulla sinistra, Via Mezzapietra, Via Monaciello e via Nuova Eremitaggio. 


Largo Supportico luogo di partenza e arrivo.

da Castellammare la strada per Montevergine è abbatanza lunga, ma per andare dalla Madonna, nel dopo guerra, la gente di Mezzapietra,  si organizzava  per tempo con il mezzo di trasporto più tradizionale che aveva a disposizione  ‘o carrettone  ‘e don Vicienzo che abitava nel palazzo della Braglia e lavorava trasportando materiali pesanti in giro per il comune che consisteva in un traino ‘ntuosto che corrispondeva  in realtà a un carretto di quelli utilizzati per trasporti di materiali particolarmente pesanti con piano di carico che poggiava direttamente sull’asse delle ruote e di stazza superiore al normale. Era tirato da un cavallo posto tra le stanghe e uno o due a “valanzino”.

A fare questo viaggio erano principalmente donne di una certa età che affrontavano un disagio fisico igienico e morale incredibile a raccontarsi per una novena di cui  nessuna di loro confessava mai lo scopo. Tra l’andata e il ritorno stavano fuori di casa, senza le comodità alle quali erano abituate, fuori dai loro letti e nel mese di settembre che era alquanto inclemente, tra i sette e i dieci giorni con appresso il minimo indispensabile per alimentarsi, qualche panno di ricambio e  un po’ di soldi in tasca per eventuali imprevisti .

Il viaggio veniva pagato prima della partenza, un po’ a settimana, o tanto al mese o come le disponibilità permettevano.

Il carro veniva attrezzato un pò come quelli che siamo abituati a vedere nei film western per assicurare i trasportati contro le intemperie che potevano verificarsi lungo il viaggio.
Sedevano sugli scanni posti in senso longitudinale lungo le sponde in modo da trovarsi faccia a faccia e spalla a spalla col solo imbarazzo di scegliere chi sedeva al loro fianco e il dirimpettaio.

L’unica della famiglia che affrontò questo viaggio diverse volte fu mia nonna Erminia che aveva un carattere determinato e una salute sicuramente di acciaio inossidabile tenuto conto che non ho mai saputo di un suo malanno o di acciacchi che abbiano limitato la sua capacità fisica.
Seguiva la figlia femmina, quando si fidanzò, in tutti i suoi spostamenti e quando prendeva la decisione di fare qualcosa il nonno non riusciva mai a farla recedere dai suoi propositi. 




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Tra le varie che le accompagnavano c’erano alcuni strumenti musicali come le tammorre e ‘o tricche ballacche per accompagnare il canto che a volte partiva spontaneamente  da una delle viaggiatrici che si erano avventurate in questa novena che aveva dell’incredibile considerati i chilometri da percorrere e la poca affidabilità delle strade e la poco tutela dell’incolumità della gente specialmente nelle ore notturne.

Con le strade provinciali e comunali di oggi che, grosso modo, corrispondono a quelle del 1945, ma si trovano in condizioni migliori di manutenzione, i chilometri da percorrere sono sempre all’incirca una settantina all’andata e altrettanti al ritorno con un percorso impervio non soltanto negli ultimi chilometri ma fin dall’inizio dovendo passare attraverso paesi e paesini di zone non sempre tranquille ed accoglienti checché se ne dica del carattere di noi campani.

Attraverso Google ho percorso buona parte del tragitto, che ricordavo soltanto in parte, specialmente nella fase finale, prima di Ospedaletto e da Ospedaletto al Santuario formulando un giudizio di incoscienza  totale su queste donne che si avventuravano in un viaggio che poteva apparire senza fine, impossibile, estenuante, incredibile eppure al ritorno erano più intrepide e pimpanti di quando erano partite.


Madonna di Montevergine

Il canto intonato che ancora ricordo almeno in parte diceva: 

Simme jute
e simme venute
quanta grazie
c’avimme avute.


Ma quali grazie avevano chieste ed ottenute lo sapevano solamente loro che continuavano con la complicità nella quale il viaggio le aveva accomunate a lanciarsi sguardi e sorrisi che rimandavano senz’altro al superamento dei momenti più difficili del viaggio, alle schermaglie che c’erano state per trovare un’intesa che alla partenza non c’era,  al disagio di una vicinanza sopportata solamente in nome della Madonna e di una mortificazione necessaria al raggiungimento dello stato di grazia per chiedere l’intercessione di una entità che stava al culmine di un percorso di redenzione per tornare rinnovate e sicure alla propria casa con la forza necessaria per andare avanti un altro anno,
per affrontare le incertezze che ogni giorno le mettevano in crisi.

Quando capitò a me  ci andai con i familiari di mia madre nel cassone di un camion attrezzato per trasportarci. Il viaggio fu estenuante anche se i compagni di viaggio, grandi e piccoli, si adoperavano per renderlo meno pesante con offerte di leccornie, di frittelle, di scherzi, di battute e di lazzi. Ricordo la salita ad Ospedaletto come una salita infinita, interminabile assieme agli ultimi chilometri che dovemmo percorrere a piedi perché il piazzale antistante il Santuario era intasato di macchine.

Altri ricordi li ho persi per strada confusi in ricordi che sono più prepotenti. Certo è che quel numero esiguo di donne che al ritorno dalla loro novena invase il largo del Supportino creando un momento di risveglio della realtà nell’abitato intorno, nei familiari che le aspettavano, negli amici e conoscenti desiderosi di sapere com’era andata fu per qualche giorno un avvenimento che tenne desta l’attenzione e la curiosità di molti.

Tutti volevano sapere, ma era un desiderio che aspettava l’atto liberatorio di queste donne che pur desiderose di raccontare non si concedevano tanto volentieri alla curiosità degli altri. Dovemmo aspettare qualche giorno in più, quando si sentirono quasi messe da parte per riconquistare l’attenzione che stava scemando.




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Funicolare


Vecchio dormitorio



Il vicolo si rianimò e diventò quasi un palcoscenico e dalle finestre, dai balconi i volti e le orecchie erano tutti tesi per non perdere una virgola di quel racconto che di lì a poco avrebbe preso l’avvio, un’atmosfera, un ammiccamento, una sottile annotazione che voleva forse sottintendere quello che le orecchie dei bambini non potevano sentire.

Intanto incominciavano a progettare il viaggio per l’anno successivo e la conquista di un posto era spasmodica fino a quando il carrettone non fu sostituito dagli autobus che nel giro di una giornata esaurivano la carica esistenziale dei partecipanti e la frenesia religiosa che tornava a casa senza più quella complicità degli anni precedenti e in buona parte frutto di un dopoguerra che aveva aiutato tanta gente a ritrovarsi in una nuova dimensione di vita e di tenore economico che il tempo permetteva.

La “juta a Montevergine” non era sentita solamente a Mezzapietra, ma è un appuntamento che, ancora oggi, si ripete ogni anno all’inizio del mese di settembre.
Leggo  su Positano news che esiste una manifestazione annuale arrivata alla XI edizione che viene  organizzata dalla Pro loco di Ospedaletto  con il patrocinio del Comune, della Comunità montana e  dalla Provincia durante la quale sfileranno macchine, traini, cavalli addobbati a festa per onorare la “Mamma Celeste”. Leggo ancora che la tradizione vanta 8 secoli di storia e di folklore, fede e festa con le quali convivono elementi sacri e profani nutriti di preghiere, canti, balli che concorrono a rendere più viva la fede mariana verso la Madonna di Montevergine comunemente definita "Mamma schiavona". 

Un tempo quando le trasferte, come quella ricordata, richiedevano  un tempo più lungo i fedeli giunti ad Ospedaletto, venivano ospitati nelle case dai residenti bendisposti per poi riprendere il giorno dopo il cammino a piedi verso il Santuario di Montevergine.


Vecchia strada con la via Crucis


Tratto di strada in prossimità del santuario




La strada di casa - da "L'Equilibrista..."


La strada di casa


Noi che non avremo mai storia
dovremmo avere almeno per noi
memoria della nostra vita,
della nostra poca felicità,
dei giorni che abbiamo trascorso
aspettando di capire
l’infinito sogno della nostra esistenza.

Io che non posso stare senza di te
e non posso permettermi altre gioie
guardo indietro ogni giorno
per guardarti ancora negli occhi
la prima volta che ti ho incontrata
e tutte le volte che ti ho stretta
contro di me
provando un immenso stupore,
le risate, la gioia di averti per me
perduti in qualcosa
che rassomiglia all’universo.

Noi che non avremo mai storia
dovremmo sapere a memoria
almeno i giorni vissuti
passati senza rimpianto
perché ancora più avanti
avremo ancora pensieri di eternità
che non guasta
e non basta a farmi smarrire
la strada di casa
lungo il crinale.





Ostia Lido       29/01/2012                 ore 11,30


la poesia è inserita nella raccolta "L'Equilibrista... poesie quotidiane"
di Gioacchino Ruocco

sabato 28 gennaio 2012

JUVE STABIA - CROTONE : 2 - 2



Stadio Menti - Cmare di Stabia


Mentre le altre squadre mettono la quarta la Juve Stabia è ritornata a inizio campionato, sembra essersi persa in un bicchiere d’acqua.

Qualcuno ha scritto: Al Menti di Castellammare sono inizialmente irriconoscibili gli uomini di Braglia.
Sembrava una squadra con qualche problema e invece sono proprio tanti. Se non era per Danilevicius  al 37 e per Sau al 50 del secondo tempo.

Partita che deve far riflettere se la squadra che qualche turno indietro aveva fatto sognare la serie A a qualche commentatore che ha le visione adesso rischia con il passo con il quale si sta muovendo  una retrocessione che potrebbe diventare una realtà se non si ritrova la serie positiva che aveva fatto gridare al miracolo di rivelazione del campionato di B con tutto il resto che altri commentatori hanno al loro attivo.

Si può anche godere dei momenti buoni, ma l’esaltazione è un’altra cosa. La Juve Stabia quando ci mette l’anima fa un gioco che nasconde le sue insufficienze. Se Sau non perde il gusto di segnare qualche capra può andare anche al pascolo, ma il carro deve camminare a passi spediti verso la salvezza.

Si fa in fretta ad essere risucchiati tra quelli che inseguono, che alla disperata cercano di recuperare posizioni in classifica con nuovi acquisti e con allenatori che hanno idee più fresche.

Intanto c’è tra gli ammoniti anche Sau  e un gruppetto di facinorosi che invece di giocare pensano a contrastare l’avversario con le buone maniere che conoscono (Dicuonzo, Maury, Raimondi, Biraghi, Tarantino) che vuol dire una partita giocata con i piedi, nervosa, sicuri della propria incapacità a reggere un avversario pimpante.

Speriamo in bene per il prossimo turno.

LE SQUADRE
JUVE STABIA (4-4-2): Seculin; Maury, Mezavilla, De Bode (14' s.t. Biraghi), Dicuonzo; Erpen (21' s.t. Tarantino), Cazzola, Danucci (1' s.t. Raimondi), Scozzarella; Danilevicius, Sau. All. Braglia.
CROTONE (4-2-3-1): Belec; Correia, Vinetot, Tedeschi, Migliore; Florenzi, Eramo; Maiello (24' s.t. Galardo), Calil, Sansone (27' s.t. De Giorgio); Gabionetta (41' s.t. Mazzotta). All. Drago.
ARBITRO: Angelo Martino Giancola di Vasto
ASSISTENTI: Andrea Chiocchi di Foligno - Christian Bagnoli di Teramo
IV UOMO: Claudio Gavillucci di Latina
MARCATORI: 25' p.t. Calil (C); 31' s.t. Calil (C); 37' s.t. Danilevicius (JS); 50' s.t. Sau (JS)
AMMONITI: Sau, Dicuonzo, Maury, Raimondi, Biraghi, Tarantino (JS); Belec, Migliore, Sansone, Eramo, De Giorgio (C)
ESPULSI: Eramo (C) al 50' s.t.
NOTE: 2' rec. p.t.; 5' rec. s.t. - 3042 spettatori CORNER: 8 - 3











mercoledì 25 gennaio 2012





L’Abissina
07 febbraio 2012 Note di regia
Uno spaccato di vita contadina sospeso tra cupezza e comicità. Un viaggio nei primi anni del ‘900, all’origine della nostra storia la cui eco si riverbera fino agli anni della cronaca più recente. 
L’ABISSINA Paesaggio con figure è la prima pietra di quell’edificio drammaturgico che Ugo Chiti ha costruito intorno alla sua Arca Azzurra per raccontare attraverso il microcosmo rurale toscano un paesaggio ben più vasto, quello della storia del nostro intero paese nel corso di tutto il secolo scorso fino ad approdare a questi anni 2000.
Non è un caso che tale testo, messo in scena la prima volta dalla compagnia nel 1993, abbia trovato in Isa Danieli un interesse così forte da suggerirne il riallestimento che vedesse la grande attrice napoletana al centro della vicenda, a suo modo “verghiana”, del balletto tragicomico intorno al vecchio despota Lucesio che in un’agonia continuamente interrotta, sempre sull’orlo della morte da tutti invocata, è alla ricerca di un erede degno della sua “roba”, in un crescendo parossistico di nascite mostruose.

testo e regia di Ugo Chiti
con
Barbara Enrichi, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, e Lorenzo Carmagnini, Andrea
Corti, Giulia Rupi, Cristina Torrisi
scene Daniele Spisa
Costumi Giuliana Colzi
Luci Marco Messeri
Musica originale e adattamento Vanni Cassori e Jonathan Chiti





26 febbraio 2012
Un Nemico del Popolo


Note di regia
Spaccato di vita contadina, sospeso tra cupezza e comicità, L’abissina è un viaggio nella realtà rurale dei primi anni del ‘900 ma è anche la pietra miliare di quel percorso drammaturgico con cui Ugo Chiti ha raccontato, attraverso il microcosmo rurale toscano, la storia del nostro Paese. La vicenda – a suo modo verghiana – si dipana come un balletto tragicomico intorno alla figura di un vecchio despota che, in un’agonia continuamente interrotta, è alla ricerca di un erede degno del suo patrimonio… Isa Danieli, che ha fortemente voluto questa riedizione, è uno dei volti più amati del teatro e del cinema di casa nostra. 
Ha fatto parte della compagnia di Eduardo De Filippo, lavorando poi con Roberto De Simone, e, sul grande schermo, ha brillato per Lina Wertmüller, Nanni Loy e Giuseppe Tornatore. Nel 2001 si è aggiudicata il Premio Ubu per la “Filumena Marturano” di Cristina Pezzoli
GIANMARCO TOGNAZZI IN
di Henrik Ibsen
adattamento Edoardo Erba
regia Armando Pugliese
con Bruno Armando



A Roma la grande mostra dedicata a Steve McCurry





STEVE McCURRY
dal 3 dicembre 2011 | macro testaccio | la pelanda | roma


Steve McCurry non è solo uno dei più grandi maestri della fotografia del nostro secolo, premiato diverse volte con il World Press Photo Awards che si può considerare come una sorta di premio Nobel della fotografia, ma è un punto di riferimento, anche in Italia, per un larghissimo pubblico, soprattutto di giovani, che nelle sue fotografie riconoscono un modo di guardare il nostro tempo e, in un certo senso, "si riconoscono".

Dal 3 dicembre 2011 al 29 aprile 2012, Steve McCurry è a Roma con una grande mostra allestita al Museo d'Arte Contemporanea di Roma, negli spazi espositivi della Pelanda a Testaccio. Uno dei maggiori protagonisti del design e della cultura dell'immagine in Italia, Fabio Novembre, ha curato la mostra e il progetto di allestimento. Il loro incontro e il dialogo aperto tra due esperienze così diverse sapranno creare per i visitatori un percorso sorprendente, di immagini e di emozioni. 

La mostra presenta oltre 200 fotografie: non mancano alcune delle icone di McCurry, come il celebre ritratto della ragazza afgana dagli occhi verdi, scattate nel corso degli oltre 30 anni della sua straordinaria carriera di fotografo e di reporter; ma insieme ad una selezione del suo vasto repertorio, sono presentati per la prima volta i lavori più recenti, dal 2009 al 2011: il progetto the last roll con le 32 immagini scattate in giro per il mondo utilizzando l'ultimo rullino prodotto dalla Kodak, gli ultimi viaggi in Tailandia e in Birmania con una spettacolare serie di immagini dedicate al Buddismo, un lavoro inedito su Cuba... E' raccontata tutta la storia della ragazza afgana, con scatti mai visti e con il materiale raccolto in giro per il mondo dallo stesso McCurry, che ci fa ripercorrere la storia di quella che è diventata una vera e propria icona. 
E' infine esposta una selezione delle sue "fotografie italiane", un magnifico omaggio all'Italia frutto dei ripetuti soggiorni effettuati nel corso di quest'anno in varie città e regioni, dal Veneto alla Sicilia, appositamente per questo evento.



Steve McCurry
Dal 3 dicembre 2011 al 29 aprile 2012
Roma, MACRO Pelanda
Piazza Orazio Giustiniani 4


Orario di apertura mostra: Da martedì a domenica dalle ore 15.00 alle 23.00. 
Aperture straordinarie: 26 dicembre 2011; 9 e 23 aprile 2012. 
La mostra sarà chiusa: Tutti i lunedì; 24, 25, 31 dicembre e 1 gennaio. 
Box office: € 10,00 intero; € 8,00 ridotto; € 4,00 gruppi di studenti delle scuole elementari, medie e superiori 
GRATUITO: per minori di 6 anni, due insegnanti accompagnatori per classe, giornalisti con tesserino, disabili con un accompagnatore. 
RIDOTTO: per minori di 18 e maggiori di 65 anni, gruppi di oltre 15 persone, universitari con tesserino e titolari di apposite convenzioni; 
Prenotazioni: Tel. 06 0608
  

lunedì 23 gennaio 2012

Il pranzo della domenica parte seconda: il dolce

Dolci napoletani


Nel post appena pubblicato qualche giorno addietro, avevo dimenticato il dolce che era sempre il capo famiglia ad acquistare. Soltanto lui sapeva quale pasticceria era la migliore e quella che dava affidamento.

Durante le feste di Natale i dolci quelli senza crema mio padre li acquistava da Sorrentino che aveva un laboratorio vicino piazza grande e un altro alla Prima traversa Mercantile a due passi dalla Compagnia Meridionale del Gas o Gazometro come più semplicemente veniva chiamata,

Ci passava davanti all'andata e al ritorno. Facevano di tutto, anche i confetti. In questa pasticceria gli acquisti avveniva soltanto a livello infrasettimanale, la domenica , invece, quando ne aveva voglia o gli era stato espressamente chiesto, si orientava a seconda dei gusti e della fantasia del momento. Quando voleva arrivava anche fino a Fontana grande all'altro laboratorio dei Sorrentino.

Castellammare non è molto grande ne in lunghezza ne in larghezza, con un pò di buona volontà la si può percorrere in lungo e largo nel giro di qualche ora. 

Da Scanzano è dura la risalita, da Mezzapietra ancora peggio e da Privati e Quisisana diventa un'escursione.
Sono distanze che misuro con il ricordo, ma ritornare a casa percorrendo Via Coppola o le due vie De Turris e poi le tre teso della Caperrina non è cosa da poco. Bisogna essere allenati per fare questo percorso o essere ancora ragazzi di buona lena.

Comunque le paste non sempre c'erano. Mi padre di preferenza tornava a casa col sacchetto dei frutti di mare.
Mia madre lo rendeva felice con un piatto di spaghetti al sugo di pomodoro, con un'insalata incappucciata con tanto limone e una manciata di frutti di mare.

I dolci all'epoca erano un lusso anche se le pasticcerie lavoravano la domenica a pieno ritmo mettendo sul mercato anche prodotti inusuali per la pasticceria napoletana.

Iazzetta faceva un biscotto che non so ben definire, ma era buono per più fare colazione, per accompagnare un cappuccino che a quei tempi non andava tanto di moda. Ricordo il colore scuro del ripieno e quello dorato o ambrato della pasta. Sembrava come uno strudel con un ripieno diverso fatto di nocciole, pinoli, uvetta sultanina e aromi vari.

Il caffè espresso furoreggiava, ma la miscela migliore la preparava un tostatore che aveva il laboratorio su via Roma dalle parti della ferrovia dello stato.

Tornando ai dolci la guantiera conteneva quasi sempre dodici paste grandi una diversa dall'altra. Raramente c'erano dei doppioni. Ricordo ancora i cannoli, le sfogliatelle ricce, le sfogliate, i babbà, i diplomatici, i bignè diversamente guarniti ,  quelli con la frutta che non erano i più preferiti.

Col tempo avevo capito, anche se era vero soltanto per convenienza, che a scegliere dovevano essere quelli più piccoli e poi i più grandi, così diventavo il penultimo. Accontendandomi avevo ancora una larga scelta in quanto nella guantiera di 12 paste ce n'erano ancora sei tra le quali riuscivo sempre a trovare quella che mi piaceva. I più piccoli erano volubili e ogni volta cambiavano obiettivo lasciando nel cabaret cose sempre diverse. Quelle che avanzavano erano destinate agli ospiti del pomeriggio o le consumavano debitamente ripartite a cena.

Comunque era una festa di cui mio padre di tanto in tanto ci faceva grazia.

Qualche domenica erano i vicini di casa a procurarci il dolce recapitandoci parte della torta che avevano preparato per qualche compleanno od onomastico. Si trattava quasi sempre di torte preparate in casa con risultati diversi quasi sempre sufficienti che non procuravano mai mal di pancia fino a quando mia sorella non chiese a mia madre di imparare a fare le torte che ci somministrava quasi come una cura.

Le pasticcerie a Castellammare non sono mai aumentate di numero: quelle che chiudevano venivano rimpiazzate dai lavoranti che, per non restare senza lavoro, erano quasi obbligati ad improvvisarsi imprenditori, ma i risultati non era più gli stessi. 

Oggi, quando ritorno a Castellammare, se voglio mangiare una buona pastarella  mi rifugio da Spagnuolo che continua imperterrito ad essere un punto di riferimento col suo Bar Gran caffè Napoli dove per anni ho acquistato i miei gelati, le mie prime pastarelle da sposato quando ritornavo e volevo far bella figura con i parenti. Catellino, l'ultima volta, mi ha salutato come se ci fossimo visti il giorno prima. Mi ha stretto la mano e mi ha detto di accomodarmi per servirmi come al solito la sfogliatella che preferisco.


domenica 22 gennaio 2012

Il pranzo della domenica a Castellammare di Stabia



G. Ruocco   -   Tavolo con frutta - acquarello   -   1980


Nei giorni infrasettimanali ogni famiglia adottava i suoi orari per consumare i pasti trasferendo alle ore del tardo pomeriggio o della sera il pranzo familiare, ma la domenica  ci si metteva a tavola dopo mezzogiorno, intorno alle due.

Dopo il disbrigo delle incombenze di riassetto delle camere o dell’abitazione nella consistenza  a disposizione la donna di casa di maggior autorità (madre/moglie) metteva sul fuoco il tegame di terracotta per il ragù che ognuna rimediava a modo proprio con la disponibilità economica che la famiglia poteva permettersi.

Appena svegli c’era la corsa la bagno e impegni permettendo una doccia o una calata nella vasca per darsi una rinfrescata e togliersi di dosso l’acre odore del sudore che si accumulava addosso nelle parti dove era impossibile mettere mano durante la settimana..

Si incominciava dai pi piccoli  per poter utilizzare l’acqua per quelli più grandicelli o mezzani.
Veniva ricambiata per il bagno del capo famiglia. Successivamente si passava al riassetto dei letti e verso le 10 e mezzo al controllo del sugo che già si era ridotto della metà assaggiandolo per verificare se c’era qualche attaccatura sul fondo o per portare qualche aggiustatura di sale che veniva aggiunto quasi sempre a partire dalla metà della cottura.

Il pranzo della domenica era diverso da quello dei giorni lavorativi che si basava su un primo piatto abbondante e gustoso e da un secondo che era un’aggiunta per rinfrescare lo stomaco o per bere un bicchiere di vino da appoggiare su qualcosa di saporito come un pezzo di provolone o formaggio pecorino. La frutta la consumavano fuori del pasto per calmare i morsi della fame quando l’attesa si prolungava oltre l’orario per il ritardo dell’uomo di casa.

Più di una volta mio padre che lavorava come fuochista presso la Compagnia Meridionale del Gas  era dovuto fermarsi per un secondo turno in quanto chi lo doveva sostituire non si era presentato perché ammalato.

I portatili a quell’epoca non c’erano per cui bisognava approfittare dalla vicina di casa che aveva già il telefono per avere notizie dallo stabilimento. Quando poi era di turno la domenica aspettavamo il suo rientro previsto per le sei del pomeriggio.



Comunque il pranzo consisteva in un primo piatto di pasta al sugo quasi sempre ziti spezzati per dar modo anche ai più piccoli di mangiare senza tragedie,  in un secondo che prevedeva un pezzo di carne che era stato cotto nel ragu o ai ferricon con contorno di insalata incappucciata condita con il limone e poi  cozze e altri frutti di mare senza strafare cotti senza snaturarne il sapore.

Altre domeniche  la carne era sostituita da un fritto di pesce di paranza o di mazzama che aveva sempre e comunque una buona freschezza e si faceva mangiare volentieri.

Altre domeniche ancora  il secondo era costituito da una parmigiana di melanzane o da fritti di verdure che arrivavano a casa mia dalla famiglia di mia madre che appena potevano ci rifornivano di verdura che producevano nel terreno che coltivavano.




Mio padre dopo essersi lavato si faceva aiutare da mia madre  che gli metteva a portata di mano tutta la biancheria intima che profumava di bucato e il vestito adatto alla stagione che poi a fine giornata, dopo averlo spazzolato, riponeva come una reliquia nell’armadio.

Uscivano assieme soltanto nelle feste comandate o quando c’era da sbrigare qualche impegna dove era necessaria la loro compresenza, se no, la domenica mia madre smontava dal turno di servizio soltanto dopo aver riassettato la cucina e la casa con l’aiuto dei più grandi.



Mio padre nella su uscita si recava prima presso il suo amico giornalaio per comprare il Radio  corriere, dal tabaccaio per compare le sigarette che consumava durante la settimana e mezz’ora prima di tornare a casa dopo aver chiacchierato del più e del meno con gli amici dall’ostricaro che gli teneva da parte l’acquisto dei frutti di mare con l’acqua per lo spurgo.

Le cozze, però,  dovevano essere 
ripassate per essere emendate dai denti di cane che ancora rimanevano e dalle bave di canapa o di vegetazione che le tengono avvinte allo scoglio o alle nasse nelle quali vengono tenute.

Un bicchiere di vino e per ultimo il caffè che capitava di dover rifare per le visite del dopo pasto da parte dei parenti che arrivavano abitualmente per una visita di cortesia per le chiacchier d’obblgo o per muovere qualche critica a qualche componente della famiglia.




Negli ultimi anni incominciavano ad arrivare anche le vicine di casa i cui mariti si recavano alla partita  o fuori casa per altri impegni.









Ricordo di Carlo




Inizialmente pensavo che a Torino, di Castellammare, ci fossero soltanto il sottoscritto e il compagno d’avventura Fortunato Setale, impegnato nello stesso lavoro, fino a quando non mi capitò di recarmi, per lo svolgimento dei compiti d'istituto, in un palazzo di via Cibrario. Per poco non andai al manicomio. 

Varcando il portone mi trovai da un momento all'altro catapultato in una realtà completamente diversa da quella che mi ero lasciato alle spalle soltanto qualche metro prima. 

Le voci che percepivo e che , non una, ma tante, si rincorrevano all’interno di quella realtà, erano di gente che parlavano il mio dialetto, quello di Castellammare di Stabia, e quando il portiere che mi stava aspettando si rese conto che io ero un suo paesano, dal centro del cortile grido a tutti: “L’ispettore è paisano nuosto. E’ de Scanzano!” 

Le voci che prima interloquivano in maniera evidente e rumorosa zittirono di colpo e i volti appesi alle ringhiere, assieme ai panni messi ad asciugare, diventarono tanti. 

Odori di sugo, di verdure, di fritti. Dopo lo stupore, mille domande. Come mi chiamavo, a chi appartenevo, fino a quando non spuntò uno di loro che, colpo di scena, mi conosceva. 

Mi guardò con occhi sorridenti e increduli, come per dirmi: “Ma non mi riconosci?” Poi quando mi disse il suo cognome Sorrentino, mi sembrò impossibile di aver ritrovato Carlo e la sua chitarra, sulla  quale avevo composto qualche canzone giù al Centro sociale INA CASA del San Marco. 

Durante il servizio militare l’avevo perso di vista e non c'eravamo più sentiti ne visti, anche se attraverso una radio privata di Torino dove lavorava mi aveva cercato per propormi come autore e collaboratore. 

Dovetti accettare per forza un invito a pranzo e promettere di ritornare con mia moglie a far loro visita. Cosa che avvenne regolarmente scambiandoci le visite.

Poi di nuovo persi anche se a due passi di distanza, presi dal nostro lavoro, dalle nostre fantasie. 


Pubblicato su Il Libero Ricercatore nel 2010.

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