'O carrettone 'e Muntevergene
Il carrettone, nei miei ricordi, aveva dimensioni più grandi di quello raffigurato nell'immagine fino ad ospitare una ventina di persona più i viveri necessari per il viaggio e qualche capo di biancheria per la cambiata.
Nell'immagine appresso si vede il largo, com'è oggi, da dove prendeva inizio l'avventura della juta a Muntevergene programmata. Al posto della macchina c'era una fontana pubblica dalla quale attingevamo l'acqua che serviva per la giornata e davanti ad essa si fermava Fredinando 'o trippone col suo carretto un pò per abbeverare il cavallo e un pò per vendere la verdura che acquistava al mercato ortofrutticolo di Castellammare ai clienti che incontrava sul percorso che faceva per tornare a casa a Privati verso sera dove abitava con tutta la famiglia che era molto numerosa.
La partenza del carrettone avveniva dal largo del Supportico sul quale si innestano ancora oggi il vicolo Sorrentino sulla sinistra, Via Mezzapietra, Via Monaciello e via Nuova Eremitaggio.
Largo Supportico luogo di partenza e arrivo. |
da Castellammare la strada per Montevergine è abbatanza lunga, ma per andare dalla Madonna, nel dopo guerra, la gente di Mezzapietra, si organizzava per tempo con il mezzo di trasporto più tradizionale che aveva a disposizione ‘o carrettone ‘e don Vicienzo che abitava nel palazzo della
Braglia e lavorava trasportando materiali pesanti in giro per il comune che consisteva in un traino
‘ntuosto che corrispondeva in realtà a un carretto di quelli utilizzati per
trasporti di materiali particolarmente pesanti con piano di carico che poggiava direttamente
sull’asse delle ruote e di stazza superiore al normale. Era tirato da un cavallo posto tra le stanghe e uno o
due a “valanzino”.
A fare questo viaggio erano
principalmente donne di una certa età che affrontavano un disagio fisico igienico e
morale incredibile a raccontarsi per una novena di cui nessuna di loro confessava mai lo scopo. Tra l’andata e il ritorno stavano fuori di casa, senza le comodità alle quali erano abituate, fuori dai loro letti e nel mese di settembre che era alquanto
inclemente, tra i sette e i dieci giorni con appresso il minimo indispensabile per
alimentarsi, qualche panno di ricambio e un po’ di soldi in tasca per eventuali imprevisti .
Il viaggio veniva pagato prima
della partenza, un po’ a settimana, o tanto al mese o come le disponibilità
permettevano.
Il carro veniva attrezzato un pò come
quelli che siamo abituati a vedere nei film western per assicurare i
trasportati contro le intemperie che potevano verificarsi lungo il viaggio.
Sedevano sugli scanni posti in senso longitudinale lungo le sponde in modo da trovarsi faccia a faccia e spalla a spalla col solo imbarazzo di scegliere chi sedeva al loro fianco
e il dirimpettaio.
L’unica della famiglia che
affrontò questo viaggio diverse volte fu mia nonna Erminia che aveva un
carattere determinato e una salute sicuramente di acciaio inossidabile tenuto
conto che non ho mai saputo di un suo malanno o di acciacchi che abbiano
limitato la sua capacità fisica.
Seguiva la figlia femmina, quando
si fidanzò, in tutti i suoi spostamenti e quando prendeva la decisione di fare
qualcosa il nonno non riusciva mai a farla recedere dai suoi propositi.
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Tra le varie che le
accompagnavano c’erano alcuni strumenti musicali come le tammorre e ‘o tricche
ballacche per accompagnare il canto che a volte partiva spontaneamente da una delle viaggiatrici che si erano avventurate
in questa novena che aveva dell’incredibile considerati i chilometri da
percorrere e la poca affidabilità delle strade e la poco tutela dell’incolumità
della gente specialmente nelle ore notturne.
Con le strade provinciali e
comunali di oggi che, grosso modo, corrispondono a quelle del 1945, ma si
trovano in condizioni migliori di manutenzione, i chilometri da percorrere sono
sempre all’incirca una settantina all’andata e altrettanti al ritorno con un
percorso impervio non soltanto negli ultimi chilometri ma fin dall’inizio
dovendo passare attraverso paesi e paesini di zone non sempre tranquille ed
accoglienti checché se ne dica del carattere di noi campani.
Attraverso Google ho percorso
buona parte del tragitto, che ricordavo soltanto in parte, specialmente nella
fase finale, prima di Ospedaletto e da Ospedaletto al Santuario formulando un
giudizio di incoscienza totale su queste
donne che si avventuravano in un viaggio che poteva apparire senza fine, impossibile,
estenuante, incredibile eppure al ritorno erano più intrepide e pimpanti di
quando erano partite.
Madonna di Montevergine |
Il canto intonato che ancora ricordo almeno in parte diceva:
Simme jute
e simme venute
quanta grazie
c’avimme avute.
Ma quali grazie avevano chieste
ed ottenute lo sapevano solamente loro che continuavano con la complicità nella
quale il viaggio le aveva accomunate a lanciarsi sguardi e sorrisi che
rimandavano senz’altro al superamento dei momenti più difficili del viaggio,
alle schermaglie che c’erano state per trovare un’intesa che alla partenza non
c’era, al disagio di una vicinanza
sopportata solamente in nome della Madonna e di una mortificazione necessaria
al raggiungimento dello stato di grazia per chiedere l’intercessione di una
entità che stava al culmine di un percorso di redenzione per tornare rinnovate
e sicure alla propria casa con la forza necessaria per andare avanti un altro
anno,
per affrontare le incertezze che
ogni giorno le mettevano in crisi.
Quando capitò a me ci andai con i familiari di mia madre nel
cassone di un camion attrezzato per trasportarci. Il viaggio fu estenuante
anche se i compagni di viaggio, grandi e piccoli, si adoperavano per renderlo
meno pesante con offerte di leccornie, di frittelle, di scherzi, di battute e
di lazzi. Ricordo la salita ad Ospedaletto come una salita infinita,
interminabile assieme agli ultimi chilometri che dovemmo percorrere a piedi
perché il piazzale antistante il Santuario era intasato di macchine.
Altri ricordi li ho persi per
strada confusi in ricordi che sono più prepotenti. Certo è che quel numero
esiguo di donne che al ritorno dalla loro novena invase il largo del Supportino
creando un momento di risveglio della realtà nell’abitato intorno, nei
familiari che le aspettavano, negli amici e conoscenti desiderosi di sapere com’era
andata fu per qualche giorno un avvenimento che tenne desta l’attenzione e la
curiosità di molti.
Tutti volevano sapere, ma era un
desiderio che aspettava l’atto liberatorio di queste donne che pur desiderose
di raccontare non si concedevano tanto volentieri alla curiosità degli altri.
Dovemmo aspettare qualche giorno in più, quando si sentirono quasi messe da
parte per riconquistare l’attenzione che stava scemando.
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Funicolare |
Vecchio dormitorio |
Il vicolo si rianimò e diventò quasi un palcoscenico e dalle finestre, dai balconi i volti e le orecchie erano tutti tesi per non perdere una virgola di quel racconto che di lì a poco avrebbe preso l’avvio, un’atmosfera, un ammiccamento, una sottile annotazione che voleva forse sottintendere quello che le orecchie dei bambini non potevano sentire.
Intanto incominciavano a progettare il viaggio per l’anno successivo e la conquista di un posto era spasmodica fino a quando il carrettone non fu sostituito dagli autobus che nel giro di una giornata esaurivano la carica esistenziale dei partecipanti e la frenesia religiosa che tornava a casa senza più quella complicità degli anni precedenti e in buona parte frutto di un dopoguerra che aveva aiutato tanta gente a ritrovarsi in una nuova dimensione di vita e di tenore economico che il tempo permetteva.
La “juta a Montevergine” non era sentita solamente a Mezzapietra, ma è un appuntamento che, ancora oggi, si ripete ogni anno all’inizio del mese di settembre.
Leggo su Positano news che esiste una manifestazione annuale arrivata alla XI edizione che viene organizzata dalla Pro loco di Ospedaletto con il patrocinio del Comune, della Comunità montana e dalla Provincia durante la quale sfileranno macchine, traini, cavalli addobbati a festa per onorare la “Mamma Celeste”. Leggo ancora che la tradizione vanta 8 secoli di storia e di folklore, fede e festa con le quali convivono elementi sacri e profani nutriti di preghiere, canti, balli che concorrono a rendere più viva la fede mariana verso la Madonna di Montevergine comunemente definita "Mamma schiavona".
Un tempo quando le trasferte, come quella ricordata, richiedevano un tempo più lungo i fedeli giunti ad Ospedaletto, venivano ospitati nelle case dai residenti bendisposti per poi riprendere il giorno dopo il cammino a piedi verso il Santuario di Montevergine.
Vecchia strada con la via Crucis |
Tratto di strada in prossimità del santuario |
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