Più che un acconcia ossa di
mestiere ho sperimentato la disponibilità di una conoscente che abitava a
Mezzapietra che più di una occasione mi alleviò dei dolori che mi avevano
procurato le slogature che avevo subito cadendo mentre giocavo a pallone
dai Salesiani dove frequentavo la scuola
media.
Mi piaceva giocare e da terzino e
i contrasti con gli avversari erano sempre molto duri un po’ per l’irruenza dell’impegno
che mettevo nel gioco, un po’ per la mia mia giovane età e un po’ per la
molteplicità delle persone presenti in campo in quanto, cosa più unica che
rara, giocavano contemporaneamente sei
squadre contro sei.
La prima volta tornai a casa con
le lacrime agli occhi e col braccio sinistro imbracato alla bene e meglio che
mi dava un dolore atroce, insopportabile, mai provato.
Mi madre, senza scomporsi e senza
biasimarmi, mi accompagnò senza esitare da una signora che conosceva da tempo
raccomandandomi, mentre mi guardava negli occhi, di resistere il più possibile
al dolore ulteriore che questa persona mi avrebbe provocato quando mi avrebbe
massaggiato l’avambraccio e il polso con dell’olio caldo. Piangevo e tremavo,
ma la rassicurai che avrei resistito, ma non bastarono i buoni propositi:
gridai e mi dimenai trattenendomi il più possibile per non farle del male, ma
il dolore era proprio tanto.
Quando la signora, toccando le
parti dolenti, si rese conto del mio stato mi venne vicino e mi accarezzò la
testa, poi con le dovute precauzioni prese l’avambraccio tra le sue mani e
cercò con tocchi delicati di capire se si trattava veramente di nervi scomposti
da rimettere in ordine o di rottura del radio.
Le lacrime sgorgarono ancora più
copiose in maniera inimmaginabile e il dolore mi prese allo stomaco e alla
testa. Soffrivo indicibilmente, ma la signora sorridendo cercava di calmare il
mio animo che sentiva agitato e sofferente.Ad un tratto, dopo aver cosparso
il mio braccio con dell’olio che aveva riscaldato ad una temperatura
sopportabile per me e per lei sentì la mia tensione allentarsi.
Mi segnò e si segnò col segno
della croce e mi fece dire una preghiera di ringraziamento alla Madonna, ma non
ricordo più quale.
Rivolta a mia madre le raccomandò
di non sgridarmi e di riaccompagnarmi il giorno dopo perché aveva necessità di
rendersi conto se il braccio aveva ancora bisogno di un suo intervento. La cosa si risolse dopo un paio di
interventi che risultarono meno dolorosi, ma altrettanto impegnativi da parte
della donna e da parte mia che incominciavo a sopportare meglio i suoi
interventi sulle zone doloranti. Quando mi ricapitò andai direttamente da lei senza
passare per casa. Mi accolse come si accolgono le teste matte. Mi raccomandò di
fare più attenzione e di smettere per qualche tempo col gioco del calcio che poteva
provocarmi con le continue cadute lesioni che poteva compromettere l’integrità
delle mie braccia e il mio futuro.
Smisi di giocare a pallone non appena terminai la
scuola media. L’unico posto dove farlo era la sede stradale della circonvallazione
che incominciava ad essere sempre più affollata dalle macchine che la
percorrevano verso la penisola sorrentina per scanzare gli ingorghi che il
centro di Castellammare procurava all’acqua della Madonna e davanti alle Terme
vecchie nelle ore di accesso e di uscita degli operai dai cantieri navali e
dalla Maricorderia e nel periodo estivo per l’attingimento alla sorgente delle acque minerali in uso
gratuito alla popolazione e da parte di tutti quelli che arrivavano dai paesi
vicini. Un'altro inconveniente era quello del recupero della palla quando qualcuno la scaraventava inavvertitamente nei giardini che digradavano verso il rivolo cha arriva alla Caperrina. Si rischiava di perdere il pallone, di cadere e farsi male o di non arrivare in tempo a recuperarla prima che l'acqua la trascinasse sempre più a valle.
Dalla raccolta "Mestieri scomparsi..."
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