Nota di Gioacchino Ruocco
Nel mio percorso di scrittura, lettura e apprendimento del napoletano ho dovuto fare i conti con una mancata formazione culturale specifica. Per gli anni che avevo dieci anni, era impossibile, ma sono arrivato comunque a farmi promuovere in napoletano dal mio professore di italiano Giuseppe Iorio nel 1956 che fu incuriosito da un mio compagno di scuola che per non fare lezione gli racconto che scrivevo poesie in napoletano.
Ho appreso giorno per giorno sui libri che mi capitavano tutto quello che volevo sapere. Ho scoperto di avere un quasi parente come compagno di strada assieme a quelli che mi ero scelto tra i più noti.
Quelli che preferiscono esprimersi in altre lingue hanno problemi che non mi interessano. Quando le loro richieste mi arrivano dò ad intendere bonariamente che non li capisco con le uniche due espressioni che ho appreso duramte gli anni di studio. Il mio orecchio percepisce soltanto il napoletano e l'italiano.
Venendo al napoletano, specialmente oggi, quelli che appaiono colti mettono su una loro scuola di pensiero pontificano sull'ortografia e imprecano contro chi non la pensa come loro.
Tutti gli scritti che mi sono passati per le mani non parlano di accenti e dicono cose che in buona parte vengono contrabbandate come proprie quando fanno comodo per dare sostegno cattedratico alle loro dissertazioni.
Chi invece sta sulla sponda opposta e non è accultro scrive le parole ignorando i suoni muti che sono arrivati dalle nostre parti nei secoli dei secoli ad incominciare dal tardo latino, dal greco, dagli arabi, dai lanzechinecchi, dagli spagnoli, dal toscano, dai tedeschi, dagli zingari e da tutti gli altri che ci hanno invasi o liberati, sfruttati e derubati lasciandoci un po della loro cultura e dei loro sentimenti, del loro malessere e quelo che non sono riusciti a portar via.
Tutti gli scritti che mi sono passati per le mani non parlano di accenti e dicono cose che in buona parte vengono contrabbandate come proprie quando fanno comodo per dare sostegno cattedratico alle loro dissertazioni.
Chi invece sta sulla sponda opposta e non è accultro scrive le parole ignorando i suoni muti che sono arrivati dalle nostre parti nei secoli dei secoli ad incominciare dal tardo latino, dal greco, dagli arabi, dai lanzechinecchi, dagli spagnoli, dal toscano, dai tedeschi, dagli zingari e da tutti gli altri che ci hanno invasi o liberati, sfruttati e derubati lasciandoci un po della loro cultura e dei loro sentimenti, del loro malessere e quelo che non sono riusciti a portar via.
Vivendo mi sono accorto che a distanza di pochi chilometri di distanza da Castellammare si parla con accento di verso da quello stabiese, con inflessioni che ricordano litanie o mal di pancia, articoli che hanno alta scrittura un 'e che diventa i, un o che diventa u e maschili che diventano femminilie e viceversa.
Il posso del verbo putè diventa in penisola pote, termini del secolo scorso che hanno ceduto il passo ad altri di oggi vengono ancora adoperati mettendo a repentaglio la comprensione di quelli che abitano un po' più su o un po' più giù nel paese.
Internet ha fatto il resto, un " per " è diventato un X, bene bn e tante altre abbreviazioni ancora.
Io provo a vivere la mia poetica e i professori dicessero quello che vogliono, tanto non li capisco!
Gioacchino Ruocco 29/01/2016
Il posso del verbo putè diventa in penisola pote, termini del secolo scorso che hanno ceduto il passo ad altri di oggi vengono ancora adoperati mettendo a repentaglio la comprensione di quelli che abitano un po' più su o un po' più giù nel paese.
Internet ha fatto il resto, un " per " è diventato un X, bene bn e tante altre abbreviazioni ancora.
Io provo a vivere la mia poetica e i professori dicessero quello che vogliono, tanto non li capisco!
Gioacchino Ruocco 29/01/2016
Amedeo Messina
Chi sono
Bisbigli e grida Blog riservato alle culture dei linguaggi della Campania e del napoletano in particolare. Accoglie solo posizioni, analisi o ragguagli militanti e riflessivi Zuzzurre e strille Bloggo arreservato p’’e cculture r’’e lenguagge r’’a Campania e d’’o nnapulitano mparticulare. Accoglie sulo pusizzione, analese o ammasciate particiane e refressive
Proposte per una ortografia della lingua napoletana
La grafia del napoletano è attualmente svincolata. Una scrittura franca perché, non essendo questa lingua popolare entrata mai negli usi dei linguaggi ufficializzati, a nessun gruppo di intellettuali è nei secoli venuto in mente di dettare norme che la uniformassero con regole precise. Con il risultato di trovarci innanzi a una scrittura talmente libera, oscillante tra la tradizione letteraria e la ricerca di un rapporto dei grafemi coi fonemi, da permettere d’imbattersi, perfino nella stessa opera di un solo illustre autore, in molte rese grafiche diverse di medesime parole o locuzioni. Bisogna tuttavia dar merito a proposte personali che ci sono state tanto nel passato quanto di recente, anche se a volte assai bizzarre e quasi sempre prive del consenso necessario a un tentativo di unificazione ortografica della lingua.
Per molti questo stato delle cose sembra autorizzare una licenza di massacro della lingua, quale a tutti è dato di poter leggere in graffiti sopra i muri, sulle insegne dei servizi commerciali, in versi pubblicati, nelle prose di romanzi, in manifesti pubblicitari e addirittura in locandine rilasciate con il patrocinio comunale. In verità qualcuno obietta che, in assenza di una normativa, sia possibile lasciarsi andare in libertà a ogni forma di scrittura, in base al presupposto di memoria brocardiana che non c’è crimine né pena senza legge preventiva. Tuttavia le scorrettezze tutte in giro sono tali in quanto vanno a stravolgere non solo il “letterale” della lingua, ma perfino il senso stesso delle sue espressioni.
Se si vuole che il napoletano venga tutelato da una legge, che allo stesso tempo garantisca promozione e insegnamento della propria lingua, occorre in primo luogo scegliere e adottare un alfabeto che si possa utilizzare per la forma scritta. Scelta resa necessaria dalle molte differenze intercorrenti tra segni grafici e unità linguistiche dell’italiano standardizzato, quasi mai corrispondenti alla realizzazione fonica degli stessi grafi nel napoletano. C’è bisogno perciò di dare una ortografia alla lingua partenopea che recuperi un rapporto tra la caratteristica pronuncia e la scrittura, in modo da evitare, quanto più fosse possibile, incertezze o errori gravi e offrire al tempo stesso sicurezze in questa nuova alfabetizzazione.
La nostra tradizione letteraria ha fin dal Quattrocento impresso sulla forma scritta del napoletano il marchio della toscanizzazione come l’unico modello cui rifarsi. Il risultato è all’attenzione di coloro che s’intendono di lingue. Alle origini vi erano dei segni ben diversi per trascrivere fonemi peculiari del linguaggio nostro che peraltro tali son rimasti. Si privilegiava, in altri termini, una ortografia fonetica che facilitava la traduzione scritta del volgare regionale orale. Non a caso la scrittura della lingua di Campania X secolo, a noi nota come placito capuano, traslitterava «sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene...», una formula connessa a un giuramento orale riportato nel verbale di una controversia giudiziaria.
Per restare nello stesso esempio va chiarito come l’occlusiva velare sorda /k/ opposta all’affricata palatale sorda /c/, che la lingua nazionale scelse di risolvere scrivendole comunque con la sola /c/, fu abolita dai toscani al fine di evitare gli esiti diversi delle forme quali “amico” e “amici”, in cui non è la desinenza sola che verrebbe a essere mutata, ma perfino la radice (amik-, amic-). Il plurisecolare adeguamento scriteriato della grafia napoletana alla scrittura del volgare fiorentino ha comportato che, dicendo un tempo i locutori nostri “ammike” il plurale maschile di “ammiko”, hanno dovuto prima scriverlo come “ammiche” e poi risolverlo in un assurdo ipercorrettismo “amice” che ha del tutto imbastardita la parola originale.
Altri esempi, forse di evidenza anche maggiore, sono i tre diversi suoni della /s/ consonante. Oltre al valore suo di sibilante sonora o sorda, quando precede una vocale o le dentali -d- e -t-, essa assume anche quello palato-alveolare o prepalatale fricativo non intenso della s- preconsonantica, come accade in scola, sfugliatella e spavo, simile soltanto in parte alla pronuncia nostra fricativa palato-alveolare sorda non intensa di parole derivanti dal latino fl-, scritte come sciato, sciore e sciummo, ma con esito del tutto differente dal toscano sciopero o sciupìo. C’è poi quello palatale fricativo sonoro, uguale al suono della /j/ in francese, che si pronuncia innanzi a consonanti labiali e velari (-b-, -g-, -l-, -m-, -n-, -v-) come in sbariamiento, sgarro, slugatura, smorfia, sninfia, svacantato.
L’accresciuto numero delle pubblicazioni a stampa di canzoni, di poesia, di narrativa e di drammaturgie in lingua napoletana ha posto in evidenza sempre più la non uniformità della scrittura, addirittura di quella che, sulla carta, avrebbe i titoli per dirsi letteraria. Non vi è autore, dai più grandi ai minimi e ai minori, che non scriva in un modo tutto proprio, e molto spesso con le forme assai diverse, le medesime occorrenze nello stesso testo. Tutto ciò di per sé allontana sia gli eventuali autori sia i probabili lettori dall’impegno di scrittura o di lettura. Tra l’altro vi è di ostacolo maggiore il brusco salto dall’idioma vivo dei parlanti alle diverse forme del napoletano scritto in cui non si riscontra mai una grafia fonetica che aiuti a riconoscersi nella propria lingua.
Il processo involutivo dei linguaggi regionali, ancora vivacissimi sulle bocche dei parlanti, sembra inarrestabile anche a causa dell’analfabetismo che vi si accompagna. Non voglio certo dire che potrà bastare una forma interdialettale di ortografia unificata per bloccare il rischio d’estinzione di una lingua. Sono però convinto che la volontà dei locutori e una politica linguistica sul piano regionale non potranno conseguire un pieno e libero sviluppo, se manchevoli di mezzi idonei a una reale alfabetizzazione nei linguaggi originari. Riflettere su questo è tanto più oggi necessario, se si vuol metter mano ad una legge di tutela e insegnamento nelle scuole del napoletano e dei dialetti territoriali, procedendo verso un’ortografia divulgativa in grado di adottare, con semplicità dei segni usati, una completa rispondenza alle pronunce in equilibrio tra plurisecolare tradizione scritta e varietà parlate nei contesti più diversi.
Ritengo che bisognerà puntare sugli esempi delle nuove pubblicazioni a stampa e con il massimo della divulgazione anche pubblicitaria, generando con criteri innovativi una ortografia non prescrittiva del napoletano regionale, in grado di rappresentare tutte le varietà fonetiche presenti nella maggior parte della Campania ed oltre, e tuttavia tale da escludere la possibilità di standardizzare in un modello unico parlate estemporanee proprie di ogni singolo territorio. Occorre in altri termini evitare in ogni modo, nei locutori intenzionati ad alfabetizzarsi, le difficoltà inattese nell’apprendimento di scrittura e di lettura dei linguaggi regionali.