Itinerario storico-sociale ed economico dei Borbone
Re Carlo III a Castellammare di Stabia nel 1734.
di Antonio Ziinogiovedì 9 ottobre 2014 - 12:30
Principessa Beatrice di Borbone
Lo spunto di questo "pezzo redazionale" ci viene offerto dalla storica visita a Castellammare di Stabia e nelle aree stabiesi, della principessa Beatrice di Borbone delle Due Sicilie, nella sua qualità, tra l'altro, di Gran Cancelliere del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. L'evento è stato organizzato principalmente dall'avvocato Giuseppe Ruocco, responsabile per l'area stabiese della Delegazione di Napoli e Campania e dal Delegato di Napoli e Campania, marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli.
Quando gli storici e i cronisti parlano di Castellammare di Stabia, delle sue magnificenze, del grande bacino di acque minerali delle terme stabiane, delle aziende di produzione di livello internazionale e delle loro maestranze altamente specializzate, pongono quasi sempre al primo posto "ll Cantiere o Arsenale del governo" che si è sempre distinto per la realizzazione di naviglio, di avanzatissima tecnologia, che ha solcato e solca tutti i mari.
Negli ultimi 280 anni, tra l'arrivo anche a Castellammare di Stabia di Carlo III (1734) e la presenza qui in questi giorni della Principessa Beatrice, molto si è discusso sul loro impegno politico-sociale-economico e culturale. In quei tempi "borbonici" molti si lamentavano, soprattutto i poveri e i meno abbienti, molti elogiano ancora oggi quei decenni in cui Castellammare di Stabia ospitava, tra gli altri, re, regine, cortigiani e personaggi di alto rango.
La storia, come fatti quotidiani di vita di ogni giorno, con tutti i suoi aspetti negativi e positivi, si presenta ai nostri occhi come un filo invisibile che unisce l'umanità e aiuta l'uomo ad evolversi ad ampliare la propria coscienza. Chi infatti studia la storia, o l'attento osservatore, sa riconoscere le cause e gli effetti. Non distribuisce colpe o meriti ma ciò che cerca di fare è tirar fuori qualcosa di valido dall'esperienza vissuta anche se non in modo diretto ma raccogliendone gli effetti.
E' naturale fare degli errori quando si fa storia, cioè quando si agisce, in buona fede, ma ciò che è importante non è recriminare, rinnegare ma correggere, recuperare, rinnovare ogni esperienza storica alla luce di nuovi fatti e nuove esperienze.
Perciò senza addentarci in situazioni complicate, diciamo, come cronista, che ciò che è stato per il passato è stato spesso travisato o ne sono stati alterati contributi e contenuti. Noi non possiamo guardare al passato se non con gli occhi degli altri. Ma con i nostri occhi, girando per il circondario possiamo, invece, ancora vedere il cantiere, naturalmente trasformato, la Reggia di Quisisana, la "corderia", l'unica statale, la Caserma Cristallina, le terme, la Ferrovia, i Cantieri metallurgici, la cartiera, Palazzo Farnese, e tante strade antiche che ancora oggi percorriamo.
Molti pensano al regno dei borboni e sottolineano la presenza dei re a Castellammare di Stabia fin dal 1783-84 anno in cui Ferdinando I giunse, ancora una volta, nella nostra città per visitare il cantiere navale.
In realtà, il primo re che varcò le soglie della città stabiese fu Carlo III che, come si legge nella "guida", ormai oggetto di antiquariato, in un "sopralluogo" effettuato nelle fertili e verdeggianti terre dell'agro stabiese, si avviò verso il poggio di Varano, che si presentava con i segni ben visibili dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Qui il Re, uomo sensibile e di notevole livello intellettuale, constatato l'importanza dei reperti archeologici, palesò ai tecnici del suo seguito l'intenzione di iniziare una campagna di scavi per riportare alla luce anche l'antica città di Stabiae.
Infatti, "Dall'escavazione nei dintorni del colle Varano per ordine eseguite di Re Carlo Borbone molte pregiate antichità eran rinvenute ed un gran numero di medaglie-vasi-ed altri lavori in bronzo ed in argento che nel Real Museo Borbonico si conservano...Fra questi...quadri ...ed altro...".
Carlo di Borbone, figlio di Filippo V Re di Spagna e di Elisabetta Farnese, dall'età di quattordici anni è Duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I , e a diciotto anni viene inviato a conquistare il regno di Napoli con un esercito di quarantamila uomini.
Nel mese di aprile 1734, così documentano le cronache, dopo varie tappe, fra cui Perugia e Monte Rotondo, il Re si appresta ad entrare in Campania. Invia un proclama ai napoletani in cui annuncia che sta scendendo a liberarli dall'oppressione e dal malgoverno austriaco.
Il Viceré a Napoli, il Conte Visconti, va in apprensione e convoca il Consiglio di Guerra. Viene deciso di mandare il grosso delle truppe a disposizione verso Piedimonte San Germano, sotto Monte Cassino, per fare da argine all'avanzata. Ad esse si uniscono altre truppe provenienti dalla Sicilia e da Trieste formando un esercito di 12.000 uomini. Viene rafforzato il castello di Gaeta e quello di Capua.
Dopo varie soste, trattative, accordi con le diverse fazioni, concedendo privilegi e cariche, L'11 aprile, il Conte di Montemar entra a Napoli e il Conte di Charnì viene nominato Viceré fino all'arrivo del nuovo Re. Solo i cinque castelli di Napoli, il Castel dell'Ovo, il Castel Nuovo, il Castello di Sant'Elmo, la Torre di San Vincenzo e il Torrione dei Carmelitani, oppongono resistenza.
Per mare il Conte Clavyo si impadronisce dei porti di Ischia, Procida e Napoli, facendo sbarcare munizioni e vettovagliamento per le truppe di terra spagnole. Il Castello di Sant'Elmo si arrende per primo il 27 di Aprile, gli altri si arrendono uno dopo l'altro fino al Castel Nuovo che si arrenderà per ultimo.
Il mattino del 10 maggio Carlo di Borbone entra trionfalmente a Napoli da porta Capuana, seguito dai suoi generali.
Carlo viene accolto con grande esultanza dal popolo, anche perché il tesoriere precede il corteo spargendo per la strada monete "di argento e d'oro". Erano altri tempi...
Il nuovo Re decide, però, di non proseguire subito, ma di fermarsi in preghiera in un monastero fuori porta, San Francesco di Paola, dove ringraziare il Signore e riposarsi.
Poche settimane dopo il suo arrivo nella capitale il Re decide di dare "un'occhiata" al suo regno. Comincia a girare un po' e, secondo qualche notizia, di concreta attendibilità, nel mese di ottobre del 1734, viene a Castellammare di Stabia e dispone l'inizio degli scavi a Varano, come già accennato, che tempo addietro era situata nel territorio di Gragnano.
Bisognerebbe girare col proverbiale lanternino. Per trovare uno studioso appassionato di archeologia che proprio a lui dobbiamo la preziosa descrizione dell'area archeologica stabiana. Parliamo di Michele Ruggiero, primo direttore degli Scavi che, tra l'altro dice: "Gli scavi di Gragnano (Stabia) ebbero cominciamento il dì 7 giugno 1749 con sei uomini ed un capo maestro nelle vicinanze del Ponte di S. Marco, dove in quel giorno medesimo s'incontrarono due vasi grandi e due piccoli di bronzo...", ecc., (Ruggiero). A Stabia, "si scavò per ventidue anni: quattordici dal 1749 al '62 ed otto dal 75 all'82, ma come portava la condizione del tempo e la qualità degli uomini che ne ebbero le prime cure - aggiunge il Ruggiero - piuttosto ad uso dei cercatori di antichità che di studiosi d'arte e di archeologia".
Va detto, qui, che già nell'Ottocento, accanto a vecchissime case coloniche, sorsero altre masserie, edifici più grandi, ancora oggi esistenti, con vigneti, allevamenti di bestiame e prodotti della terra destinati a mercati anche lontani.
Purtroppo, c'è tanta disinformazione e nessuno, o quasi, sa, o non "vuole sapere" che le planimetrie che vengono continuamente riproposte, appartengono ad importanti edifici, già scavati dai Borboni nella seconda metà del 1700 poi parzialmente ricoperti, dopo averne accuratamente disegnato le piante e col tempo, completamente abbandonati, sia a Varano, sia a Gragnano. Senza contare che "mostruose" frane, alluvioni e scoscendimenti, nei passati secoli buttarono giù "case, chiese, territori interi...".
In questo libro che è di fondamentale importanza per la trattazione di ogni argomento relativo all'archeologia stabiana, che interessava tutta la collina, viene illustrata la situazione della seconda metà del Settecento, che, salvo trasformazioni nel tempo. Poi gran silenzio e abbandono e solo nel 1950 gli scavi, grazie all'opera del preside Libero D'Orsi fu possibile riprendere lo scavo portando alla luce almeno tre importanti ville imperiali.
Fino agli anni Cinquanta - Sessanta, dunque, l'archeologia, tranne Pompei ed Ercolano, abbastanza note perché offrivano, a portata di mano, stupendi esempi dell'architettura e della pittura antica, era ignorata e intorno a quel che c'era regnava un colpevole disinteresse soprattutto da parte degli eruditi del tempo, degli studiosi e dei politici. Ma si sa, a pochi lustri dalla fine della guerra, la gente doveva procurarsi una casa, un lavoro, ma doveva soprattutto procurarsi il "pane quotidiano", cose che i giovani, ma innanzitutto i nuovi intellettuali, ignorano e si trastullano intorno a cose che, pure avendo la loro importanza, non possono vantare preminenze. E' la moderna concezione del vivere di rendita, si è ormai abituati all'assistenzialismo e al mecenatismo statale che poi, direttamente o indirettamente paga la collettività.
E' doveroso, dire, però, che grazie all'opera di appassionati e qualificati archeologi, come i direttori, funzionari e maestranze degli scavi dell'area vesuviana, anche se con il loro limitato potere, molto si va salvando anche se molto a rilento e su molti fatti indaga la procura. E' naturale, ci viene di immaginare, che anche Alessandro Dumas, direttore per qualche tempo degli scavi di Pompei, di fronte a tanto scempio si sarebbe certamente rammaricato. Si spiega così, che i francesi, che già nel passato tanto hanno fatto per l'archeologia vesuviana, valutando gli scandalistici echi internazionali, hanno ritenuto opportuno avanzare le loro riserve su nuovi interventi a Pompei scavi.
Chiarito ancora una volta, che tutto il sottosuolo della provincia partenopea, e particolarmente dell'area vesuviana, è pieno di reperti archeologici (e quindi per ogni reperto archeologico come un muro con un affresco malandato o una colonna magari dirupata non si può pretendere la creazione di un "sito archeologico" con tutto ciò che comporta), precisiamo che, senza leggere questo interessantissimo volume, ricco di migliaia di notizie e di centinaia di tavole planimetriche e particolari decorativi, riteniamo impossibile, sia per serietà, sia per competenza, parlare degli scavi e azzardare proposte, considerando che nell'arco di oltre due secoli e mezzo, la gran parte del patrimonio archeologico è andata perduto e sono solo valorizzabili e suscettibili di sviluppo, secondo noi, almeno le due colossali e splendide ville ubicate quasi sul ciglio della collina prospiciente il Vesuvio e il Golfo di Napoli (vedi anche Antonio Ziino, Prospettive Archeologiche, Pompei, 1966, con prefazione del soprintendente prof. Alfonso de Franciscis); Intanto, va ripetuto, che la zona degli scavi è stata completamente abbandonata per decenni: ricordiamo che molti affreschi sparsi in aperta campagna, coperti solo da una lamiera, sono andati perduti, come perduti sono andati marmi delle piscine, strutture architettoniche, filari di caratteristici archi capovolti, il famoso colonnato spiraliforme "orgoglio" del preside D'Orsi, e una enorme quantità di muri e reperti vari finiti sotto i cingoli delle pale meccaniche utilizzate per l'estrazione del lapillo previa autorizzazione delle soprintendenze (!), compreso la gran parte del muro in opus reticulatum nelle vicinanze del Ponte S. Marco, che costeggia l'antica strada Nuceria -_Stabiae - Surrentum, anche da noi numerose volte descritta qui. Ma non è certamente tutto. Quando fu costruita la "strada archeologica" non si esitò a percorrere parte dell'antico tracciato romano che, ovviamente andò distrutto. Altri tratti di muri romani, delimitazioni di viottoli e un acquedotto antico andarono distrutti per far spazio alla nuova galleria. Entriamo ora nel centro storico, dove, secondo noi, sono presenti le cose più interessanti che, se realmente valorizzate, potrebbero trasformare il volto della Città:
Tra Largo Pace -Via Brin - Via Duilio , sono ubicate le Antiche Terme la cui riapertura, dopo i consistenti lavori di ristrutturazione, dovrebbe essere prossima,
e la Fincantieri, sembra, una volta superata la crisi della cantieristica, che non è solo nazionale ma globale, possa continuare la sua pluricentenaria fruttuosa attività, grazie alla presenza di maestranze di lunga esperienza. Chi non conosce il Centro Antico (o, per molti versi, storico), di Castellammare di Stabia almeno degli anni Cinquanta, e in particolare la zona che comprende il cantiere navale e le antiche terme, non riesce ad immaginare l'azione trainante costituita dal quartiere per tutta l'economia non solo cittadina, ma per l'intera regione ed oltre.
E' un rione soprattutto operario, naturalmente ora un po' meno, dove da millenni sgorgano copiose fonti di acque minerali di grande efficacia terapeutica, decantate da scrittori e sperimentate da grandi medici dell'antichità (Plinio, Columella, Galeno, Eliodoro, Simmaco, Cassiodoro, e si potrebbe continuare soprattutto fino agli specialisti dell'idrologia medica contemporanea).
Fino a pochi decenni fa, vi era poi un intenso via vai anche di alti ufficiali in servizio presso la Caserma della Marina Militare, Corderia Militare, l'unica statale esistente in Italia, ingegneri navali e funzionari, carabinieri e marinai.
Il quartiere comprende Via Benedetto Brin, Via Duilio, Antiche Terme Stabiane, Cantiere Navale. Benedetto Brin, ingegnere navale e ministro (1833-1898), fece ingrandire il cantiere, il più antico del Mediterraneo, dal quale sono state varate, tra le altre decine, le prime grandiose navi in acciaio e i due grandi velieri costruiti sulla scia di antichissime tradizioni, la Cristoforo Colombo e l'Amerigo Vespucci (diventata nave-scuola della marina militare); la strada parallela è dedicata al console romano Gaio Duilio; per le Terme Stabiane (antiche con le fonti di acque medicamentose), per distinguerle da quelle nuove sorte nel 1964 sul Solaro).
Oggi il rione antico, come s'è detto, è mutato a causa di emigrazioni ed immigrazioni, ma anche per quei processi evolutivi inevitabili che avvengono nella società nel corso degli anni e quasi sempre con risultati negativi: il Cantiere occupa sempre meno maestranze, non potendo reggere la concorrenza della cantieristica mondiale, la Corderia si è trasformata, la Caserma dei marinai non esiste più, le Antiche Terme, per fortuna, sono in ristrutturazione e prossime alla riapertura, mentre cresce continuamente una preoccupante vulnerabilità sociale con un diffuso malessere se non di grande degrado socio-economico dove non manca una evidente e profonda frattura generazionale tra la tranquilla - o quasi - gioventù degli anni Cinquanta, e quella più vivace - forse troppo - dei giorni nostri.
Appare naturale, ripetiamo, che la riapertura delle antiche terme e il rilancio dei cantieri navali, influiranno sicuramente, e in modo considerevole, sul risollevamento socio-ambientale del rione e di tutta la città. Se poi sarà ripresa, com' è auspicabile, l'attività dei chioschi di acquafrescai, si può guardare con maggiore fiducia alle future sorti di quella popolazione che troverà altre fonti di onesto guadagno. E il quartiere, caduto un po' in ombra, potrà incamminarsi su una strada più agevole in una prospettiva di rinnovato progresso socio-economico nel contesto di una città che sta disperatamente guadagnando terreno sul piano della legalità, dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica.
In questo clima di rinnovata speranza, siamo certi che bisogna far valere anche qualche altra nostra prerogativa sulla riconosciuta bontà delle nostre acque. Sono acque minerali note e usate da oltre duemila anni ma lo slogan ripetuto dal centralino dice: " terme di stabia...dal 1836..., ecc.", quando si potrebbe dire semplicemente: "28 sorgenti di acque medicamentose già usate dai medici dell'antichità...".
Perché, in realtà, le terme antiche risalgono al Settecento, almeno come complesso organico, perché, abbiamo motivo di credere, che un piccolo complesso di semplici manufatti per attingere le acque in modo più confortevole, sia molto più antico. Tuttavia, si tratta di una prova di quanto detto, perché quando il 26 febbraio del 1956 fu avviata la demolizione del vecchio stabilimento per una completa ristrutturazione, fu abbattuto a colpi di piccone, anche l'antico fregio sul frontone d'ingresso con la data incisa del 1741.
E, insistere sulla lunga tradizione dell'uso terapeutico delle nostre acque, si direbbe la verità, perché in effetti, Castellammare di Stabia è stata particolarmente famosa proprio per la quantità di acque.
L'Anonimo Stabiano, nella sua "trascrittione della Città di Castello a Mare di Stabbia", risalente al Cinquecento, si dilunga molto sull'abbondanza delle acque minerali, dicendo, tra l'altro, che "Scaturiscono in Castell'amare varie e diverse acque in grande abbondanza e con gran diversita' poiche' l'Acque del sopradetto molino escono da due capi una participar da vene di ferro poiché tinge le pietre e le fa diventar Rosse, l'altra notesi esser... leggera e ambedue sono molto fredde e d'estate recano delizie a' coloro che goder vogliono della loro freddezza, quindi d'appresso esce una Acqua da certe pietre grosse et terminar verso il lido del mare et fanno lo medesimo effetto di far divenir rosse le pietre. In un casamento vicino all'orto di Ottavio Cuomo vengono altre Acque che sono freddissime ed hanno una qualita' che postovi l'uomo dentro sente un caldo mirabile. L'Autore aggiunge ancora: (Le acque ferrata - solfurea "oftalmica")
Dall' orto poi di detto Ottavio esce fuori unaltr'Acqua che l'intendenti dicono uscir da vena d'Allume, e quivi vicino sgorga un altro capo d'acqua che rosseggia e dicono passare per vene di ferro et i cittadini al continuo se ne bagnan li occhi sentendo gran giovamento perche' messa ne l'occhio elimina la lippedine, et i medici dicono essere quest'acqua giovevole alle donne sterili le quali per grassezza di humori non potessero generare, Non molto discosto da questa scaturiscono acque Solfuree e in grand' abbondanza in un molino dimonache Carmelitane, e per tutta quella riviera scaturir si veggono l'istesse acque che recano cattivo odore: Ne' tavolieri poi di detta citta' calano giu'acqueda vicini colli si buone e leggere, che i cittadini benché siano abbondanti d'acque, han fatto tutto per condurla dentro la citta'.
Quando gli storici e i cronisti parlano di Castellammare di Stabia, delle sue magnificenze, del grande bacino di acque minerali delle terme stabiane, delle aziende di produzione di livello internazionale e delle loro maestranze altamente specializzate, pongono quasi sempre al primo posto "ll Cantiere o Arsenale del governo" che si è sempre distinto per la realizzazione di naviglio, di avanzatissima tecnologia, che ha solcato e solca tutti i mari.
Negli ultimi 280 anni, tra l'arrivo anche a Castellammare di Stabia di Carlo III (1734) e la presenza qui in questi giorni della Principessa Beatrice, molto si è discusso sul loro impegno politico-sociale-economico e culturale. In quei tempi "borbonici" molti si lamentavano, soprattutto i poveri e i meno abbienti, molti elogiano ancora oggi quei decenni in cui Castellammare di Stabia ospitava, tra gli altri, re, regine, cortigiani e personaggi di alto rango.
La storia, come fatti quotidiani di vita di ogni giorno, con tutti i suoi aspetti negativi e positivi, si presenta ai nostri occhi come un filo invisibile che unisce l'umanità e aiuta l'uomo ad evolversi ad ampliare la propria coscienza. Chi infatti studia la storia, o l'attento osservatore, sa riconoscere le cause e gli effetti. Non distribuisce colpe o meriti ma ciò che cerca di fare è tirar fuori qualcosa di valido dall'esperienza vissuta anche se non in modo diretto ma raccogliendone gli effetti.
E' naturale fare degli errori quando si fa storia, cioè quando si agisce, in buona fede, ma ciò che è importante non è recriminare, rinnegare ma correggere, recuperare, rinnovare ogni esperienza storica alla luce di nuovi fatti e nuove esperienze.
Perciò senza addentarci in situazioni complicate, diciamo, come cronista, che ciò che è stato per il passato è stato spesso travisato o ne sono stati alterati contributi e contenuti. Noi non possiamo guardare al passato se non con gli occhi degli altri. Ma con i nostri occhi, girando per il circondario possiamo, invece, ancora vedere il cantiere, naturalmente trasformato, la Reggia di Quisisana, la "corderia", l'unica statale, la Caserma Cristallina, le terme, la Ferrovia, i Cantieri metallurgici, la cartiera, Palazzo Farnese, e tante strade antiche che ancora oggi percorriamo.
Molti pensano al regno dei borboni e sottolineano la presenza dei re a Castellammare di Stabia fin dal 1783-84 anno in cui Ferdinando I giunse, ancora una volta, nella nostra città per visitare il cantiere navale.
In realtà, il primo re che varcò le soglie della città stabiese fu Carlo III che, come si legge nella "guida", ormai oggetto di antiquariato, in un "sopralluogo" effettuato nelle fertili e verdeggianti terre dell'agro stabiese, si avviò verso il poggio di Varano, che si presentava con i segni ben visibili dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Qui il Re, uomo sensibile e di notevole livello intellettuale, constatato l'importanza dei reperti archeologici, palesò ai tecnici del suo seguito l'intenzione di iniziare una campagna di scavi per riportare alla luce anche l'antica città di Stabiae.
Infatti, "Dall'escavazione nei dintorni del colle Varano per ordine eseguite di Re Carlo Borbone molte pregiate antichità eran rinvenute ed un gran numero di medaglie-vasi-ed altri lavori in bronzo ed in argento che nel Real Museo Borbonico si conservano...Fra questi...quadri ...ed altro...".
Carlo di Borbone, figlio di Filippo V Re di Spagna e di Elisabetta Farnese, dall'età di quattordici anni è Duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I , e a diciotto anni viene inviato a conquistare il regno di Napoli con un esercito di quarantamila uomini.
Nel mese di aprile 1734, così documentano le cronache, dopo varie tappe, fra cui Perugia e Monte Rotondo, il Re si appresta ad entrare in Campania. Invia un proclama ai napoletani in cui annuncia che sta scendendo a liberarli dall'oppressione e dal malgoverno austriaco.
Il Viceré a Napoli, il Conte Visconti, va in apprensione e convoca il Consiglio di Guerra. Viene deciso di mandare il grosso delle truppe a disposizione verso Piedimonte San Germano, sotto Monte Cassino, per fare da argine all'avanzata. Ad esse si uniscono altre truppe provenienti dalla Sicilia e da Trieste formando un esercito di 12.000 uomini. Viene rafforzato il castello di Gaeta e quello di Capua.
Dopo varie soste, trattative, accordi con le diverse fazioni, concedendo privilegi e cariche, L'11 aprile, il Conte di Montemar entra a Napoli e il Conte di Charnì viene nominato Viceré fino all'arrivo del nuovo Re. Solo i cinque castelli di Napoli, il Castel dell'Ovo, il Castel Nuovo, il Castello di Sant'Elmo, la Torre di San Vincenzo e il Torrione dei Carmelitani, oppongono resistenza.
Per mare il Conte Clavyo si impadronisce dei porti di Ischia, Procida e Napoli, facendo sbarcare munizioni e vettovagliamento per le truppe di terra spagnole. Il Castello di Sant'Elmo si arrende per primo il 27 di Aprile, gli altri si arrendono uno dopo l'altro fino al Castel Nuovo che si arrenderà per ultimo.
Il mattino del 10 maggio Carlo di Borbone entra trionfalmente a Napoli da porta Capuana, seguito dai suoi generali.
Carlo viene accolto con grande esultanza dal popolo, anche perché il tesoriere precede il corteo spargendo per la strada monete "di argento e d'oro". Erano altri tempi...
Il nuovo Re decide, però, di non proseguire subito, ma di fermarsi in preghiera in un monastero fuori porta, San Francesco di Paola, dove ringraziare il Signore e riposarsi.
Poche settimane dopo il suo arrivo nella capitale il Re decide di dare "un'occhiata" al suo regno. Comincia a girare un po' e, secondo qualche notizia, di concreta attendibilità, nel mese di ottobre del 1734, viene a Castellammare di Stabia e dispone l'inizio degli scavi a Varano, come già accennato, che tempo addietro era situata nel territorio di Gragnano.
Bisognerebbe girare col proverbiale lanternino. Per trovare uno studioso appassionato di archeologia che proprio a lui dobbiamo la preziosa descrizione dell'area archeologica stabiana. Parliamo di Michele Ruggiero, primo direttore degli Scavi che, tra l'altro dice: "Gli scavi di Gragnano (Stabia) ebbero cominciamento il dì 7 giugno 1749 con sei uomini ed un capo maestro nelle vicinanze del Ponte di S. Marco, dove in quel giorno medesimo s'incontrarono due vasi grandi e due piccoli di bronzo...", ecc., (Ruggiero). A Stabia, "si scavò per ventidue anni: quattordici dal 1749 al '62 ed otto dal 75 all'82, ma come portava la condizione del tempo e la qualità degli uomini che ne ebbero le prime cure - aggiunge il Ruggiero - piuttosto ad uso dei cercatori di antichità che di studiosi d'arte e di archeologia".
Va detto, qui, che già nell'Ottocento, accanto a vecchissime case coloniche, sorsero altre masserie, edifici più grandi, ancora oggi esistenti, con vigneti, allevamenti di bestiame e prodotti della terra destinati a mercati anche lontani.
Purtroppo, c'è tanta disinformazione e nessuno, o quasi, sa, o non "vuole sapere" che le planimetrie che vengono continuamente riproposte, appartengono ad importanti edifici, già scavati dai Borboni nella seconda metà del 1700 poi parzialmente ricoperti, dopo averne accuratamente disegnato le piante e col tempo, completamente abbandonati, sia a Varano, sia a Gragnano. Senza contare che "mostruose" frane, alluvioni e scoscendimenti, nei passati secoli buttarono giù "case, chiese, territori interi...".
In questo libro che è di fondamentale importanza per la trattazione di ogni argomento relativo all'archeologia stabiana, che interessava tutta la collina, viene illustrata la situazione della seconda metà del Settecento, che, salvo trasformazioni nel tempo. Poi gran silenzio e abbandono e solo nel 1950 gli scavi, grazie all'opera del preside Libero D'Orsi fu possibile riprendere lo scavo portando alla luce almeno tre importanti ville imperiali.
Fino agli anni Cinquanta - Sessanta, dunque, l'archeologia, tranne Pompei ed Ercolano, abbastanza note perché offrivano, a portata di mano, stupendi esempi dell'architettura e della pittura antica, era ignorata e intorno a quel che c'era regnava un colpevole disinteresse soprattutto da parte degli eruditi del tempo, degli studiosi e dei politici. Ma si sa, a pochi lustri dalla fine della guerra, la gente doveva procurarsi una casa, un lavoro, ma doveva soprattutto procurarsi il "pane quotidiano", cose che i giovani, ma innanzitutto i nuovi intellettuali, ignorano e si trastullano intorno a cose che, pure avendo la loro importanza, non possono vantare preminenze. E' la moderna concezione del vivere di rendita, si è ormai abituati all'assistenzialismo e al mecenatismo statale che poi, direttamente o indirettamente paga la collettività.
E' doveroso, dire, però, che grazie all'opera di appassionati e qualificati archeologi, come i direttori, funzionari e maestranze degli scavi dell'area vesuviana, anche se con il loro limitato potere, molto si va salvando anche se molto a rilento e su molti fatti indaga la procura. E' naturale, ci viene di immaginare, che anche Alessandro Dumas, direttore per qualche tempo degli scavi di Pompei, di fronte a tanto scempio si sarebbe certamente rammaricato. Si spiega così, che i francesi, che già nel passato tanto hanno fatto per l'archeologia vesuviana, valutando gli scandalistici echi internazionali, hanno ritenuto opportuno avanzare le loro riserve su nuovi interventi a Pompei scavi.
Chiarito ancora una volta, che tutto il sottosuolo della provincia partenopea, e particolarmente dell'area vesuviana, è pieno di reperti archeologici (e quindi per ogni reperto archeologico come un muro con un affresco malandato o una colonna magari dirupata non si può pretendere la creazione di un "sito archeologico" con tutto ciò che comporta), precisiamo che, senza leggere questo interessantissimo volume, ricco di migliaia di notizie e di centinaia di tavole planimetriche e particolari decorativi, riteniamo impossibile, sia per serietà, sia per competenza, parlare degli scavi e azzardare proposte, considerando che nell'arco di oltre due secoli e mezzo, la gran parte del patrimonio archeologico è andata perduto e sono solo valorizzabili e suscettibili di sviluppo, secondo noi, almeno le due colossali e splendide ville ubicate quasi sul ciglio della collina prospiciente il Vesuvio e il Golfo di Napoli (vedi anche Antonio Ziino, Prospettive Archeologiche, Pompei, 1966, con prefazione del soprintendente prof. Alfonso de Franciscis); Intanto, va ripetuto, che la zona degli scavi è stata completamente abbandonata per decenni: ricordiamo che molti affreschi sparsi in aperta campagna, coperti solo da una lamiera, sono andati perduti, come perduti sono andati marmi delle piscine, strutture architettoniche, filari di caratteristici archi capovolti, il famoso colonnato spiraliforme "orgoglio" del preside D'Orsi, e una enorme quantità di muri e reperti vari finiti sotto i cingoli delle pale meccaniche utilizzate per l'estrazione del lapillo previa autorizzazione delle soprintendenze (!), compreso la gran parte del muro in opus reticulatum nelle vicinanze del Ponte S. Marco, che costeggia l'antica strada Nuceria -_Stabiae - Surrentum, anche da noi numerose volte descritta qui. Ma non è certamente tutto. Quando fu costruita la "strada archeologica" non si esitò a percorrere parte dell'antico tracciato romano che, ovviamente andò distrutto. Altri tratti di muri romani, delimitazioni di viottoli e un acquedotto antico andarono distrutti per far spazio alla nuova galleria. Entriamo ora nel centro storico, dove, secondo noi, sono presenti le cose più interessanti che, se realmente valorizzate, potrebbero trasformare il volto della Città:
Tra Largo Pace -Via Brin - Via Duilio , sono ubicate le Antiche Terme la cui riapertura, dopo i consistenti lavori di ristrutturazione, dovrebbe essere prossima,
e la Fincantieri, sembra, una volta superata la crisi della cantieristica, che non è solo nazionale ma globale, possa continuare la sua pluricentenaria fruttuosa attività, grazie alla presenza di maestranze di lunga esperienza. Chi non conosce il Centro Antico (o, per molti versi, storico), di Castellammare di Stabia almeno degli anni Cinquanta, e in particolare la zona che comprende il cantiere navale e le antiche terme, non riesce ad immaginare l'azione trainante costituita dal quartiere per tutta l'economia non solo cittadina, ma per l'intera regione ed oltre.
E' un rione soprattutto operario, naturalmente ora un po' meno, dove da millenni sgorgano copiose fonti di acque minerali di grande efficacia terapeutica, decantate da scrittori e sperimentate da grandi medici dell'antichità (Plinio, Columella, Galeno, Eliodoro, Simmaco, Cassiodoro, e si potrebbe continuare soprattutto fino agli specialisti dell'idrologia medica contemporanea).
Fino a pochi decenni fa, vi era poi un intenso via vai anche di alti ufficiali in servizio presso la Caserma della Marina Militare, Corderia Militare, l'unica statale esistente in Italia, ingegneri navali e funzionari, carabinieri e marinai.
Il quartiere comprende Via Benedetto Brin, Via Duilio, Antiche Terme Stabiane, Cantiere Navale. Benedetto Brin, ingegnere navale e ministro (1833-1898), fece ingrandire il cantiere, il più antico del Mediterraneo, dal quale sono state varate, tra le altre decine, le prime grandiose navi in acciaio e i due grandi velieri costruiti sulla scia di antichissime tradizioni, la Cristoforo Colombo e l'Amerigo Vespucci (diventata nave-scuola della marina militare); la strada parallela è dedicata al console romano Gaio Duilio; per le Terme Stabiane (antiche con le fonti di acque medicamentose), per distinguerle da quelle nuove sorte nel 1964 sul Solaro).
Oggi il rione antico, come s'è detto, è mutato a causa di emigrazioni ed immigrazioni, ma anche per quei processi evolutivi inevitabili che avvengono nella società nel corso degli anni e quasi sempre con risultati negativi: il Cantiere occupa sempre meno maestranze, non potendo reggere la concorrenza della cantieristica mondiale, la Corderia si è trasformata, la Caserma dei marinai non esiste più, le Antiche Terme, per fortuna, sono in ristrutturazione e prossime alla riapertura, mentre cresce continuamente una preoccupante vulnerabilità sociale con un diffuso malessere se non di grande degrado socio-economico dove non manca una evidente e profonda frattura generazionale tra la tranquilla - o quasi - gioventù degli anni Cinquanta, e quella più vivace - forse troppo - dei giorni nostri.
Appare naturale, ripetiamo, che la riapertura delle antiche terme e il rilancio dei cantieri navali, influiranno sicuramente, e in modo considerevole, sul risollevamento socio-ambientale del rione e di tutta la città. Se poi sarà ripresa, com' è auspicabile, l'attività dei chioschi di acquafrescai, si può guardare con maggiore fiducia alle future sorti di quella popolazione che troverà altre fonti di onesto guadagno. E il quartiere, caduto un po' in ombra, potrà incamminarsi su una strada più agevole in una prospettiva di rinnovato progresso socio-economico nel contesto di una città che sta disperatamente guadagnando terreno sul piano della legalità, dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica.
In questo clima di rinnovata speranza, siamo certi che bisogna far valere anche qualche altra nostra prerogativa sulla riconosciuta bontà delle nostre acque. Sono acque minerali note e usate da oltre duemila anni ma lo slogan ripetuto dal centralino dice: " terme di stabia...dal 1836..., ecc.", quando si potrebbe dire semplicemente: "28 sorgenti di acque medicamentose già usate dai medici dell'antichità...".
Perché, in realtà, le terme antiche risalgono al Settecento, almeno come complesso organico, perché, abbiamo motivo di credere, che un piccolo complesso di semplici manufatti per attingere le acque in modo più confortevole, sia molto più antico. Tuttavia, si tratta di una prova di quanto detto, perché quando il 26 febbraio del 1956 fu avviata la demolizione del vecchio stabilimento per una completa ristrutturazione, fu abbattuto a colpi di piccone, anche l'antico fregio sul frontone d'ingresso con la data incisa del 1741.
E, insistere sulla lunga tradizione dell'uso terapeutico delle nostre acque, si direbbe la verità, perché in effetti, Castellammare di Stabia è stata particolarmente famosa proprio per la quantità di acque.
L'Anonimo Stabiano, nella sua "trascrittione della Città di Castello a Mare di Stabbia", risalente al Cinquecento, si dilunga molto sull'abbondanza delle acque minerali, dicendo, tra l'altro, che "Scaturiscono in Castell'amare varie e diverse acque in grande abbondanza e con gran diversita' poiche' l'Acque del sopradetto molino escono da due capi una participar da vene di ferro poiché tinge le pietre e le fa diventar Rosse, l'altra notesi esser... leggera e ambedue sono molto fredde e d'estate recano delizie a' coloro che goder vogliono della loro freddezza, quindi d'appresso esce una Acqua da certe pietre grosse et terminar verso il lido del mare et fanno lo medesimo effetto di far divenir rosse le pietre. In un casamento vicino all'orto di Ottavio Cuomo vengono altre Acque che sono freddissime ed hanno una qualita' che postovi l'uomo dentro sente un caldo mirabile. L'Autore aggiunge ancora: (Le acque ferrata - solfurea "oftalmica")
Dall' orto poi di detto Ottavio esce fuori unaltr'Acqua che l'intendenti dicono uscir da vena d'Allume, e quivi vicino sgorga un altro capo d'acqua che rosseggia e dicono passare per vene di ferro et i cittadini al continuo se ne bagnan li occhi sentendo gran giovamento perche' messa ne l'occhio elimina la lippedine, et i medici dicono essere quest'acqua giovevole alle donne sterili le quali per grassezza di humori non potessero generare, Non molto discosto da questa scaturiscono acque Solfuree e in grand' abbondanza in un molino dimonache Carmelitane, e per tutta quella riviera scaturir si veggono l'istesse acque che recano cattivo odore: Ne' tavolieri poi di detta citta' calano giu'acqueda vicini colli si buone e leggere, che i cittadini benché siano abbondanti d'acque, han fatto tutto per condurla dentro la citta'.
Ed eccoci a Quisisana nella memoriadi Giovanni Boccaccio
Perché Quisisana? Perché "Qui-si-sana", e poi, "Ca-si-sana". Il nome della località è antichissimo. Nei documenti medioevali, si legge più volte: Casa sana, Domus sana. Carlo II, figlio di Carlo d'Angiò, seguendo l'esempio del proprio genitore, scelse la località per sua dimora estiva, e ordinò la costruzione di una villa, chiamando poi il luogo Ca-si-sana, diventato più tardi, italianizzato, Quisisana. Sappiamo dai documenti antichi che Roberto d'Angiò, subito dopo la sua scalata al potere e quindi al trono nel 1310, sollecitò la costruzione della villa (forse si trattò di una ristrutturazione e ampliamento), affidandone i lavori ai maestri edili Francesco di Vico Equense e Ottone da Crespiano. Nel 1313 i lavori furono completati e la costruzione nei documenti degli archivi angioini è indicata col nome di Domus de loco sano. I registri angioini ed aragonesi, conservano una documentazione ampia e dettagliata attraverso la quale sarebbe possibile scrivere sia la storia del Palazzo Reale di Quisisana, sia, per molti versi, attingere notizie indispensabili per la storia di Castellammare di Stabia. Qui, Giovanni Boccaccio vi ambientò la 96^ novella del suo Decamerone.
La località era prescelta sia per sottrarsi al caldo della stagione estiva, sia per sfuggire alle epidemie e pestilenze cui troppo spesso, la capitale era afflitta. Viene documentata la presenza di Carlo I, detto l'Illustre (1266-1285), Carlo II detto lo Zoppo (1285-1309), Roberto il Saggio, Giovanna I, Ladislao, Giovanna II, Alfonso il Magnanimo, Ferrante lo Spergiuro. Questo Palazzo Reale, per qualche tempo, assunse quasi la funzione di sito immunitario: si spiega così che Re Ferrante propose ad un gruppo di oppositori un "parlamento" con sede a Castellammare di Stabia, loco immune. Nel 1463, infierendo "una grave pestilenza" in Napoli, i legati del papa, cardinali di Teano e di Bologna furono accolti a Castellammare perché ritenuta località più sicura.
Qui venivano i re di Napoli, sia per il fresco dei viali alberati, sia per la tranquillità dei luoghi. Così Quisisana, e tutta la città diventò "ricercato luogo di villeggiatura" frequentato da re, principi, cortigiani e signori dell'alta borghesia. Carlo V, cedendo Castellammare in feudo ad Ottavio Farnese, quale dote di Margherita d'Austria, i discendenti rivendicarono con liti clamorose il possesso di Quisisana. L' "indice di gradimento", sia per la bontà del clima, sia per le salutari acque medicamentose, fu raggiunto da Castellammare di Stabia, sotto la dinastia degli ultimi re di Napoli, cioè dal 1735 al 1860. Carlo di Borbone (promotore degli Scavi di Stabiae), suo figlio Ferdinando IV di Napoli, che dopo l'ondata napoleonica assunse il titolo di Ferdinando I, re delle due Sicilie, abbellirono Castellammare di Stabia, Quisisana e fondarono opere di grande prestigio, come il Cantiere navale, che rappresentano il vanto degli stabiesi.
Con il passare del tempo, purtroppo, il celebre Palazzo è stato più volte e per lungo tempo abbandonato: adibito a clinica privata, poi durante la guerra ad ospedale militare, poi ad albergo.
Oggi, questa iniziativa, autofinanziata, così come avviene in altri Palazzi storici di grandi città italiane, apre le porte al pubblico nel primo mese dell'anno che celebra il 150^ anniversario dell'Unità d'Italia, con l'intento di propagandare il patrimonio artistico e le bellezze naturali di Castellammare di Stabia. Il "Palazzo Reale", completamente ristrutturato, richiede l'impegno di tutti i cittadini, unici proprietari e custodi dei loro beni, perché attraverso iniziative di vario interesse culturale, basate su realistiche prospettive economiche, possa ritornare ai fasti del passato, senza correre il rischio di diventare una pregevole "infertile oasi". Gli Stabiesi hanno il dovere morale di non rimanere inerti, stando passivamente a "guardare", ma di avanzare proposte concrete per costruire il futuro di Castellammare di Stabia.
Ritornando alla Visita di Beatrice di Borbone delle Due Sicilie (nata a Saint-Raphael, primogenita di Ferdinando duca di Castro e di Chantal de Chevron-Villette), la Principessa visiterà anche Gragnano e località Castello, a 250 metri di altezza, con la sua duecentesca Chiesa di S. Maria del Castello, raggiungibile anche attraverso percorsi di età medioevale.
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Lungo le stradine, che si snodano zigzagando, una lunga serie di ruderi cadenti di vecchi mulini, ricorda l'industria fiorente del periodo di dominazione amalfitana. Infatti, come si sa, la zona nel X secolo fu occupata dai duchi di Amalfi i quali, resisi successivamente indipendenti dal ducato di Napoli, estesero il loro dominio anche sulle verdeggianti colline prospicienti il golfo. A difesa dei loro possedimenti e per premunirsi contro qualche<> dei duchi Napoletani, gli amalfitani pensarono bene di fortificare, insieme con quello di Lettere e di Pino, anche il Castrum Granianese con una triplice fila di mura abbastanza solide e alte, con bellissime torri, come dice il Pansa, e con il castello situato nella parte più alta in modo da poter dominare tutta la vasta vallata.
In seguito (quando la repubblica di Amalfi, conquistata dai Normanni passò a far parte del regno di Scilla),venendo meno la funzione difensiva Il Castrum fu dato metà all'arciprete e metà alla parrocchia di S. G. Evangelista. La gente man mano si sostò dai monti verso la pianura popolando maggiormente i casali di S. Leone, della Conceria, del Trilione, di S. Vito fino a formare la nuova città. Anche l'arciprete abbandonò la sua vetusta dimora e l'antico castello, abbandonato dalle autorità militari ed ecclesiastiche, che andò in rovina insieme alle mastodontiche muraglie.gli avanzi si possono vedere tuttoggi nei pressi del Tempio che i signori di Gragnano edificarono nel duecento dedicandolo all'Assunta.
La chiesa, nonostante le trasformazioni e le deturpazioni subite, si erge su un pianoro leggermente elevato: una scalinata porta sullo spiazzo dove una specie di nartece fa da portico alla chiesa, sulla cui facciata, oltre alla porta centrale, vi sono disposti quattro coperchi, di marmo, di antiche tombe che prima si trovavano b nella chiesa (portano ancora tracce evidenti del calpestio), disposti due per lato in senso verticale.
L'interno della chiesa è a tre navate. Originariamente doveva essere in stile gotico con influenza arabo-amalfitana, da come si può dedurre dalle finestre bifore. Nel seicento, forse perché pericolanti, forse per la mania dell'epoca di rimaneggiare architetture e pitture, venne rifatta in uno stile che è difficile definire per il suo accostamento di elementi.
Colpiscono innanzitutto le otto colonne di marmo cipollino, di granito orientale (con capitelli diversi: corinzio, ionico, dorico, ecc.) sulle quali fu steso uno spesso strato di pittura verdognola per dare alle stesse un colore unico. E' molto probabile che queste colonne provengono da edifici o da qualche tempio pagano che doveva trovarsi nelle vicinanze.
Sull'altare maggiore si trova un trittico raffigurante la Madonna col Bambino e gli Apostoli Pietro e Paolo: la figura della Vergine si stacca netta dallo sfondo d'oro con due angeli che la incoronano. Ai suoi piedi c'è l'arciprete Sicario che lo fece dipingere nel 1549, come dice l'iscrizione:<< Aloisius Sicardus archipresbiter Graniani MDXLIX>>: S. Pietro regge sulle spalle le pesanti chiavi e S. Paolo con la spada della fede alzata.
Sopra il trittico c'è una tavola del Quattrocento rappresentante probabilmente gli Apostoli ( due di essi hanno l'aureola), che guardano meravigliati e un po' stupefatti ill sepolcro della Madonna, vuoto, la quale è assunta nel regno dei cieli lasciando al suo posto un letto fiorito.
La tavola, pur conservando la sua impostazione scenografica ed originale, è stata malamente ritoccata nel corso dei secoli. Una vasca dell'acqua benedetta si trova alla destra di chi entra ed è poggiata su di un capitello capovolto sul quale è scolpita la seguente iscrizione :>>EV/DO/ESP<<, cioè Eudo o Eudoxius, o ancora Eudoxius episcopus. Il nome è evidentemente greco e manca tra i nomi conosciuti ei vescovi di Lettere o di Castellammare. E' da notare però che la cronotassi episcopale delle due diocesi risulta ancora oggi, nonostante gli studi compiuti anche recentemente, incompleta e lacunosa.
L'antica chiesa dove va vere un ambone(come quelli che si trovavano nella cattedrali di Amalfi, Salerno e Ravello), ma quando essa fu rifatta anche l'ambone andò distrutto: quattro colonnine, di cui una tortile, furono utilizzate successivamente per costruire il grazioso battistero, che ancora esiste e che risale nel tardo Cinquecento, durante la resistenza di un arciprete della famiglia dei Medici, il cui stemma si vede ancora scolpito sul fronte e su di un artistico incensiere di argento che si conserva nella sagrestia.
Un altro prezioso pezzo costituito da una avanzo marmoreo dell'antico ambone: rappresenta un uomo al quale un serpente, attorcigliandosi, lega con quattro nodi le gambe. L'uomo stringe nella mano sinistra un papiro arrotolato. Questa statuetta, sormontata da un'aquila, era posta sul davanti di un leggìo su cui il cantore poggiava i mano scritti miniati (si ricorda la figura simile, in marmo, di Salerno). Molto si è discusso sul significato simbolico di queste figure: esse vogliono forse ricordare il tempo che tutto travolge e tutto attanaglia nelle sue spire.
Cenni storici del territorio: Le origini di Castellammare di Srabia, o meglio, di Stabiae sono lontanissime nel tempo. Il rinvenimento di reperti archeologici documenta la presenza di insediamenti umani sin dall'ottavo secolo avanti Cristo e, l'apparteneenza della località, col passare del tempo, all'ambbiente storico-economico italico. Sono palesi anche nel territorio le presenze di osci, etruschi, pelasgi, sanniti. Stabia, diventata poi Castellammare di Stabia, intorno all'anno Mille, Nel 79 d.C. la città, insieme a Pompei, Ercolano ed Oplonti rimase sepolta da cenere e lapilli dall'eruzione del Vesuvio. Gli scavi hanno portato alla luce un patrimonio archeologico di notevole valore. In tempi più "recenti", dopo gli Angioini, gli Aragonesi, Carlo V cedette Castellammare in feudo ad Ottavio Farnese, quale dote di Margherita d'Austria. La Città è particolarmente nota anche per le 28 sorgenti di acque minerali per le cure termali. Importantissimi, i Cantieri navali.
Piazza Fontana Grande, prende il nome da una polla di acqua, limpida e fresca, della portata di 20 milioni di litri al giorno. Sgorga da una grotta con frontespizio in muratura ad emiciclo. Sull'antro, classicheggiante, è eretta un'edicola con quadro maiolicato raffigurante la Madonna, San Michele e San Catello, Patrono di Castellammare. In questa zona sono state rinvenute tracce di murature pre romane e romane che costituiscono la testimonianza di insediamenti antichissimi risalenti al primo millennio a. C.
La Concattedrale, costruita, molto probabilmente, su un'area dove già esistevano precedenti chiese. Nel 1587 il vescovo Ludovico Maiorano, con il concorso economico di tutta la popolazione, riuscì a raccogliere la somma necessaria per la costruzione della Cattedrale attuale. Essa, nel corso dei secoli è stata ristrutturata più volte. La chiesa si presenta a croce latina, con crociera (cioè con la copertura formata dall'incrocio di volte a botte), e cupola molto alta. Particolarmente interessanti sono la cappella di San Catello con la statua di legno dorato, opera di un artista della seconda metà del Cinquecento, portata a Castellammare nel 1609 e la cappella di San Michele, con statua del Santo (marmo - fine Quattrocento). Sotto l'altare della Cappella di S. Catello è stato sistemato un sarcofago del III secolo,, raffigurante il Buon Pastore, rinvenuto nel corso degli scavi eseguiti nell'Ottocento per l'ampliamento della cattedrale. Nella prima cappella, a sinistra, si può ammirare il grande quadro del pittore stabiese, Giuseppe Bonito, rappresentante la tradizione delle Chiavi a San Pietro.
La Cassa Armonica, sorge in villa comunale e fu realizzata su progetto di Eugenio Cosenza nel 1898. Consegnata al Comune nel 1900, fu danneggiata da una violenta libecciata nel 1909. L'artistico e grandioso padiglione, uno dei pochissimi podi bandistici d'Italia, fu ricostruito nel 1911 sempre ad opera del Cosenza. Nel corso degli anni ha subito lavori di manutenzione nonché di restauro conservativo.
Il Santuario di S. Maria di Pozzano, è situato sull'omonima collina, custodisce una pittura su tavola del XIII secolo raffigurante la Madonna col Bambino. Nel 1477 San Francesco di Paola fece ingrandire la chiesa parrocchiale e istituì un convento. Il complesso è stato più volte ristrutturato nel corso dei secoli. Il dipinto della Madonna è collocato in una cappella rivestita con pregevoli marmi policromi. La Sacrestia, realizzata su disegno di Luigi Vanvitelli, contiene bellissime tele del cav. Conca di Gaeta e del Diana. Nella stessa Sacrestia vi è la cappella realizzata per accogliere il famoso Crocifisso ligneo, raccolto sulle onde delle vicine acque marine, nel corso di una tempesta provocata dall'eruzione del Vesuvio. del 1631.
Il "Castello a Mare di Stabia" è da qualificarsi genericamente "medioevale" o meglio aragonese. E' stato costruito sulla strada panoramica e sovrasta Castellammare di Stabia e il Golfo di Napoli. Inizialmente realizzato su commissione dei Duchi di Sorrento intorno all'ottavo secolo, insieme ai castelli di Gragnano, Lettere, Pino, è stato più volte ristrutturato e restaurato. Attualmente appartiene alla famiglia de Martino. Il Castello a Mare, da cui ha preso nome la Città, era invece ubicato nei pressi dell'Acqua della Madonna.
Piazza dell'Orologio è situata di fronte al porto, nel Centro storico della città. Antico centro di scambi commerciali, nell'Ottocento venne denominata Piazza Mercato. La torre, contenente in alto un grande orologio proveniente dal "Regio Cantiere Navale", fu progettata dall'architetto Giuseppe Vanacore.
La Chiesa del Gesù. Nelle strade del Centro antico di Castellammare troviamo diverse chiese di notevole interesse storico ed artistico: chiesa del Purgatorio, chiesa del Gesù, chiesa di San Bartolomeo, chiesa parrocchiale della Pace, chiesa di Santa Caterina, chiesa parrocchiale dello Spirito Santo e, proseguendo, la chiesa di Porto Salvo e del Cuore di Maria. Tra le citate chiese riveste particolare importanza la chiesa del Gesù, vero scrigno di capolavori, anche di artigianato artistico. Molto ammirata la tela dell'altare maggiore, di Luca Giordano,, che rappresenta la Madonna col Bambino, denominata "Beata Vergine del Rifugio", ed un prezioso dipinto, del sedicesimo secolo, raffigurante San Catello (probabilmente si tratta della più antica effigie che conserviamo del Santo Patrono).
Palazzo Farnese. Sede del Municipio di Castellammare di Stabia, lo storico Palazzo di Città nel 1700 apparteneva al Principe Farnese e successivamente passato a Ferdinando I. Recentemente l'interno è stato completamente ristrutturato ed ampliato.
E' situato al centro di piazza Principe Umberto. Il monumento ai Caduti della guerra 1915 - 18 è opera dello scultore Giuseppe Renda.
La Grotta di S. Biagio.E' un antico cenobio che contiene interessantissimi affreschi benedettini dell'XI-XIII secolo (sono anche visibili tracce di pitture più antiche). La "grotta", con tale nome è comunemente conosciuta, andrebbe restaurata con cura, trattandosi di un monumento che conserva testimonianze artistiche di grande importanza storica.
Santuario della Madonna della Libera. Sorge sul monte San Cataldo ed è officiato dai PP. Cappuccini. Custodisce un antichissimo affresco (sec. XI-XII) raffigurante la Madonna con il Bambino e due Santi. La pittura, eseguita direttamente sulla roccia intonacata, è di notevole interesse artistico e storico.
Corderia Militare. E' la più antica e importante d'Italia. La Corderia, fu costruita nel 1792, nelle immediate vicinanze del Real Cantiere (dove già preesistevano piccole industrie a carattere artigianale), per la fornitura del cordame necessario. Ancora oggi è ubicata nelle vicinanze del Cantiere navale e nei pressi delle Antiche Terme di Stabia, sulla strada che porta a Sorrento. Le attrezzature di cui dispone consentono la realizzazione di ogni tipo di cordame.
Il Cantiere Navale, come già accennato. E' uno dei più antichi ed importanti del Mediterraneo. Fu realizzato nel 1783 per ordine di Ferdinando IV di Borbone su proposta del primo ministro Acton. I Cantieri navali stabiesi, dispongono di maestranze e tecnici altamente specializzati e vantano numerosi primati, tra cui la costruzione della prima nave a vapore e della prima corazzata in ferro. Tra le molte navi costruite nei cantieri di Castellammare, riveste una particolare importanza la nave scuola della M.M. Amerigo Vespucci.
Palazzo Reale di Napoli - Sala del Trono con il quadro di Giuseppe Bonito
Particolare del quadro di Bonit
giovedì 9 ottobre 2014 - 12:30 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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