giovedì 22 dicembre 2011

Gente di Stabia - Antonio Gava (031)






Antonio Gava (Castellammare di Stabia, 30 luglio 1930Roma, 8 agosto 2008) è stato un politico italiano, appartenente alla Democrazia Cristiana e alla corrente "Alleanza Popolare" (Grande centro "doroteo") di cui fu uno dei leader, con Arnaldo Forlani e Vincenzo Scotti.

Biografia

Figlio d'arte (il padre Silvio è stato 13 volte ministro, tra gli anni cinquanta e settanta).
Viene eletto in parlamento per la prima volta nel 1972 (VI legislatura); nel 1980 ricopre il suo primo incarico di governo, ricopre infatti la carica di ministro dei Rapporti con il Parlamento (Governo Forlani), in seguito sarà per tre volte ministro delle Poste e telecomunicazioni (Governo Craxi I, Governo Craxi II, Governo Fanfani VI), ministro delle Finanze (Governo Goria) e due volte ministro dell'Interno (Governo De Mita e Governo Andreotti VI), nel 1990, in seguito ad un ictus fu costretto a lasciare la carica per cui era stato designato. Uomo tra i più potenti della Democrazia Cristiana, venne soprannominato "il viceré" per la sua capacità di spostare consensi e di influire incisivamente sulla vita politica italiana e del partito del quale fu esponente.

I problemi giudiziari

Già nei tempi della sua massima autorevolezza politica, gli anni Ottanta, fu coinvolto in procedimenti penali sul coinvolgimento nel malaffare tra camorra e pubblica amministrazione.
Il 30 marzo 1984, l’onorevole Gava venne interrogato dal giudice istruttore napoletano Carlo Alemi e dal collega Olindo Ferrone, in ordine alle promesse che suoi emissari avrebbero fatto a Cutolo detenuto: denaro; appalti e tangenti per la ricostruzione del dopo terremoto in Irpinia; trattamenti di favore dentro le carceri e trasferimenti da un penitenziario all’altro.
Al termine dell'istruttoria, lo stesso giudice istruttore, il 28 luglio 1988, depositò l'ordinanza di rinvio a giudizio di vari personaggi che sarebbero stati protagonisti della trattativa della Democrazia cristiana campana con la camorra di Raffaele Cutolo per addivenire ad una liberazione di Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate rosse, in cambio di favori nella concessione di appalti pubblici. Antonio Gava, Flaminio Piccoli e Vincenzo Scotti furono indicati come i registi della trattativa. A sostegno dei suoi convincimenti il giudice nella sua ordinanza scriveva che effettivamente i politici, nonostante lo avessero sempre negato anche durante gli interrogatori, fecero delle promesse a Cutolo nel carcere di Ascoli Piceno, attraverso i servizi segreti e Francesco Pazienza, affinché intervenissero per salvare la vita a Cirillo.
L'inciampo dell'ordinanza, che accreditò la veridicità dell'ingresso nel carcere di Ascoli Piceno di un emissario di Vincenzo Scotti che positivamente quel giorno si dimostrò essere altrove, fu colto dalla Democrazia cristiana per travolgere nella condanna pubblica tutto il contenuto delle 1600 pagine dell'ordinanza Alemi: ne derivarono le dimissioni da direttore de L'Unità di Claudio Petruccioli (che aveva accreditato quell'incontro) e la reiezione della mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro Gava, presentata alla Camera dei deputati dall'opposizione comunista.
Ma fu la "Tangentopoli campana" che portò Antonio Gava dal banco degli accusati politici a quello degli imputati in procedimenti penali in senso proprio.
Nel 1993 Antonio Gava fu accusato di ricettazione e associazione mafiosa; è stato prescritto per il primo reato e assolto per il secondo.
Per la ricettazione fu condannato a 5 anni in primo grado, a 2 anni in appello e in Cassazione scattò la prescrizione[1].

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