Antonio Gava
(Castellammare di
Stabia, 30 luglio
1930 – Roma, 8 agosto 2008) è stato un politico italiano,
appartenente alla Democrazia
Cristiana e alla corrente "Alleanza Popolare" (Grande
centro "doroteo")
di cui fu uno dei leader, con Arnaldo Forlani e Vincenzo Scotti.
Biografia
Viene eletto in parlamento per la prima volta nel 1972 (VI legislatura); nel 1980 ricopre il suo primo incarico di
governo, ricopre infatti la carica di ministro dei
Rapporti con il Parlamento (Governo Forlani), in
seguito sarà per tre volte ministro delle Poste e telecomunicazioni (Governo Craxi I, Governo Craxi II, Governo Fanfani VI), ministro delle Finanze (Governo Goria) e due volte
ministro dell'Interno (Governo De Mita e Governo Andreotti
VI), nel 1990,
in seguito ad un ictus
fu costretto a lasciare la carica per cui era stato designato. Uomo tra i più
potenti della Democrazia Cristiana, venne soprannominato "il viceré"
per la sua capacità di spostare consensi e di influire incisivamente sulla vita
politica italiana e del partito del quale fu esponente.
I problemi giudiziari
Già nei tempi della sua massima autorevolezza
politica, gli anni Ottanta, fu coinvolto in procedimenti penali sul
coinvolgimento nel malaffare tra camorra e pubblica amministrazione.
Il 30 marzo
1984, l’onorevole Gava
venne interrogato dal giudice istruttore napoletano Carlo Alemi e dal collega Olindo Ferrone,
in ordine alle promesse che suoi emissari avrebbero fatto a Cutolo detenuto:
denaro; appalti e tangenti per la ricostruzione del dopo terremoto in Irpinia;
trattamenti di favore dentro le carceri e trasferimenti da un penitenziario
all’altro.
Al termine dell'istruttoria, lo stesso giudice
istruttore, il 28 luglio 1988, depositò l'ordinanza di rinvio a giudizio di
vari personaggi che sarebbero stati protagonisti della trattativa della
Democrazia cristiana campana con la camorra di Raffaele Cutolo per
addivenire ad una liberazione di Ciro Cirillo, rapito dalle
Brigate rosse,
in cambio di favori nella concessione di appalti pubblici. Antonio Gava, Flaminio Piccoli e Vincenzo Scotti furono
indicati come i registi della trattativa. A sostegno dei suoi convincimenti il
giudice nella sua ordinanza scriveva che effettivamente i politici, nonostante
lo avessero sempre negato anche durante gli interrogatori, fecero delle
promesse a Cutolo nel carcere di Ascoli Piceno, attraverso
i servizi segreti e Francesco Pazienza,
affinché intervenissero per salvare la vita a Cirillo.
L'inciampo dell'ordinanza, che accreditò la
veridicità dell'ingresso nel carcere di Ascoli Piceno di un emissario di Vincenzo Scotti che
positivamente quel giorno si dimostrò essere altrove, fu colto dalla Democrazia
cristiana per travolgere nella condanna pubblica tutto il contenuto delle 1600
pagine dell'ordinanza Alemi: ne derivarono le dimissioni da direttore de L'Unità di Claudio Petruccioli
(che aveva accreditato quell'incontro) e la reiezione della mozione di sfiducia
individuale nei confronti del ministro Gava, presentata alla Camera dei
deputati dall'opposizione comunista.
Ma fu la "Tangentopoli campana" che
portò Antonio Gava dal banco degli accusati politici a quello degli imputati in
procedimenti penali in senso proprio.
Nel 1993 Antonio Gava fu accusato di ricettazione e associazione mafiosa; è stato prescritto per il
primo reato e assolto per il secondo.
Per la ricettazione fu condannato a 5 anni in primo
grado, a 2 anni in appello e in Cassazione scattò la prescrizione[1].
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