«La città eterna era il nostro quartier generale»
«Io abitavo sulla Cassia, prima dell'Olgiata. Il boss di Castellammare di Stabia, Michele D'Alessandro, invece in via Pignataro. E così tanti altri camorristi. C'era la guerra in atto contro...
«Io abitavo sulla Cassia, prima dell'Olgiata. Il boss di Castellammare di Stabia, Michele D'Alessandro, invece in via Pignataro. E così tanti altri camorristi. C'era la guerra in atto contro Raffaele Cutolo. E Roma era il nostro quartier generale». A parlare è il super-pentito della malavita napoletana Fiore D'Avino, ex componente della Cupola che sconfisse il capo della Nco. Racconta, per la prima volta, la scalata dei clan campani alla Capitale.
«Prima del mio arresto a Monte Porzio, ho avuto modo di incontrare e frequentare tanti uomini d'onore che giravano per Roma. Ai Parioli, ricordo, vedevo spesso il figlio di Michele Greco (soprannominato il Papa, membro di primo piano della Commissione di Cosa nostra, ndr). C'era zio Angelino, il capodecina di Stefano Bontade nel Lazio, e ancora il vice di Bontade; mi sembra si chiamasse Dello Iacono».
Com'era la vostra vita da rifugiati nella Città Eterna?
«Ci incontravamo spesso al ristorante "da Natalino" a corso Francia, dove ci capitava di incrociare anche Falcao. Altri punti di ritrovo erano da "Gigetto" e "Il Caminetto", entrambi ai Parioli, oppure il bar Flaminio, frequentato dai calciatori della Roma».
Mafiosi, camorristi e uomini della Magliana: tutti insieme appassionatamente...
«Succedeva di incontrarsi, di fare affari assieme. A Roma c'è stato un importante summit per trattare l'invio di una enorme partita di eroina negli Stati Uniti nascosta nelle macchinette del caffè, se la memoria non mi inganna. Vi parteciparono anche Leonardo Greco e Alfredo Bono. Con quest'ultimo, mi vedevo spessissimo».
La camorra alla conquista del Cupolone...
«Ricordo che c'era un affiliato alla famiglia di Michele Zaza, un mafioso, che gestiva il totonero e il lotto clandestino a Roma. Quanto alla banda della Magliana, io non ne ho conosciuto direttamente nessun capo, eccetto Nicoletti».
Zaza è una delle famiglie storiche del mondo criminale napoletano. Che ci faceva a Roma?
«Michele aveva un passaporto diplomatico, era un uomo molto potente. A Roma, si interessava della compravendita di immobili. Molti mafiosi hanno investito nella Capitale. Bono, ad esempio, ricordo che aveva un appartamento a Monte Mario».
Al mattino summit per pianificare omicidi e traffici di sostanze stupefacenti, e alla sera? Vi siete fatti rapire dalla dolce vita capitolina?
«Intende night-club e cose così? No, no. Assolutamente. Io non uscivo mai, e nemmeno gli altri. Alcuni di noi, me compreso, avevano mogli e fidanzate e figli al seguito. Ci si incontrava, come ho detto, con una certa regolarità nei ristoranti più famosi della città, in qualche bar alla moda come quelli che c'erano a Vigna Clara o nella zona dei Giochi Delfici. Soltanto questo, niente di più».
Nessun abboccamento con la politica?
«Posso dire una cosa al riguardo: in un incontro al ristorante "Il Bolognese", in piazza del Popolo, nel periodo del sequestro di Ciro Cirillo, l'assessore regionale campano della Democrazia cristiana rapito dalle Br, ricordo che un importante senatore democristiano, originario della provincia di Napoli, ci disse: "Hanno promesso, stiamo aspettando". Penso che si riferisse all'intervento di Raffaele Cutolo per far liberare l'ostaggio. E, con noi, in quell'occasione, c'era anche il figlio di un famosissimo uomo politico napoletano. Uno che aveva ricoperto incarichi di governo importantissimi».
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