Sistri, anche un fruttivendolo nell'affare
Fruttivendolo ambulante o “cercatore di ferro”, quando gli andava bene. Eppure si ritrovò a fare da liquidatore di una società d’informatica. Pure ben avviata almeno sulla carta. In cambio di un pranzo consumato in una trattoria di Nola. Nulla di più.
Assai più fortunato, invece, fu chi si ritrovò a capo di un’azienda informatica nelle vesti di amministratore unico- con tutti i rischi annessi e connessi alla gestione di un’attività imprenditoriale- in cambio di 500 euro mensili.
Stipendio fisso, insomma, senza dover far nulla. Di questi tempi, buttalo via. A fare da filo rosso tra di loro un faccendiere del nolano che, nonostante fosse ufficialmente nullatenente, era stato censito dall’anagrafe tributaria come il legale rappresentante e, poi, liquidatore di ben 46 società. Quarantasei, mica bazzecole.
Teste di legno, prestanome, amministratori di carta: in qualsiasi modo li si voglia chiamare ce ne sono tanti nel romanzo economico-criminale messo su da Francesco Paolo Di Martino, imprenditore stabiese di 53 anni assai attivo nei settori della sicurezza e dell’informatica. Storia descritta dettagliatamente nell’ordinanza di custodia cautelare del gip Nicola Miraglia Del Giudice di Napoli scaturita dall’inchiesta della Guardia di Finanza -coordinata dai pm Maresca, Del Gaudio e Giorgiano della Dda partenopea- sullo scandalo Sistri, il sistema per la tracciabilità dei rifiuti che avrebbe dovuto sconfiggere le ecomafie seguendo ogni compattatore carico di immondizia passo passo, non è mai entrato in funzione e si sarebbe trasformato nel paravento per un gigantesco giro di tangenti. Per farli girare i soldi, però, tra le diverse società di Di Martino e di Sabatino Stornelli, amministratore delegato della Selex società di Finmeccanica- con fatture gonfiate per accumulare fondi neri- servivano anche loro: le teste di legno, i prestanome, gli amministratori di carta. Figure minori del romanzo economico-criminale, burattini manovrati facilmente dai protagonisti principali, eppure indispensabili. Anche a Castellammare, ovviamente. Dove l’imprenditore Di Martino aveva il maggior numero delle sue società: prima con Viacom, poi con la Eldim si era aggiudicato il subappalto d’oro delle pennette Usb. Assai più fortunato, invece, fu chi si ritrovò a capo di un’azienda informatica nelle vesti di amministratore unico- con tutti i rischi annessi e connessi alla gestione di un’attività imprenditoriale- in cambio di 500 euro mensili.
Stipendio fisso, insomma, senza dover far nulla. Di questi tempi, buttalo via. A fare da filo rosso tra di loro un faccendiere del nolano che, nonostante fosse ufficialmente nullatenente, era stato censito dall’anagrafe tributaria come il legale rappresentante e, poi, liquidatore di ben 46 società. Quarantasei, mica bazzecole.
Ma eccoli i prestanome, le teste di legno, gli amministratori di carta finiti agli arresti domiciliari insieme al “dominus” del sistema, trascinati in guai giudiziari da quel Franco Di Martino che si trovava al centro di una fitta ragnatela di società di cui è sempre stato il regista e la mente, sostengono gli investigatori anche sulla scorta delle teste di legno ascoltate nel corso delle indagini.
Ad aprire l’elenco c’è Giuseppe Catena, 57 anni originario del casertano ma residente a Castellammare: amministratore unico della cooperativa Santa Croce dall’ottobre 2004 al novembre 2009, nonché dell’istituto di formazione che porta lo stesso nome e direttore tecnico della Ingeco srl, la società attraverso cui- secondo gli investigatori- passava il maggior numero di sovrafatturazioni che servivano a creare fondi neri per tangenti. Nel periodo in cui Catena è stato legale rappresentante del Santa Croce sono passati sul conto della società assegni per 386.500 euro intestati a “me medesimo” e cambiati in contanti dal collaboratore della scuola. Proprio quel Vincenzo Collaro, 67 anni di Boscoreale, che sarebbe stato la figura operativa centrale nel sistema messo su dall’imprenditore Di Martino. Secondo il gip quei movimenti bancari per cui Collaro cambiava tanti assegni in contanti servivano per “procurare la provvista in denaro al suo datore di lavoro per pagamenti di carattere illecito”. anche lui è ai domiciliari. Così come Domenico Marotta, 46 anni di Nola, il fruttivendolo ambulante e “cercatore di ferro” saltuario che si ritrovò a fare da liquidatore della Win Informatica in cambio di un pranzo in trattoria.
Non finiscono qui le teste di legno del sistema Di Martino. Ce ne sono tre che si sono susseguite alla guida di una società centrale per il meccanismo dei fondi neri: la Advast. Rapporti e fatture con almeno altre otto società, nella posizione di intermediaria tra i soggetti che facevano riferimento a Di Martino e al capo di Selex Stornelli e a suo fratello, entrambi finiti in carcere. Fatture per circa 4 milioni di euro. Sulla carta, per fornire e implementare diversi tipi di software. Secondo gli investigatori, per schermare i reali rapporti di Franco Di Martino con la società di Finmeccanica. A guidare la Advast: Ferdinando Ottone, 70 anni di Castellammare, Pasqualina Ruocco 40 anni di Gragnano e Maria Zacchia 48 anni di Castellammare. Tutti ai domiciliari.
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