Castellammare. Osiamo in periferia
di Carmine Cascone
Oggi finalmente si è dato seguito all’ultimo atto delle votazioni comunali del 5 giugno 2016 “La proclamazione degli eletti”. Se non fosse per la forma pagana a cui la politica degli ultimi anni ci ha abituati, l’insediamento degli eletti poteva avere un sapore mistico, quasi biblico. Da oggi, e per i mesi a venire, la città ha davvero bisogno di quel miracolo rigurgito d’orgoglio, che gli eletti prima e tutti gli stabiesi poi, devono fare appello; lavorare tutti insieme per il vero bene comune e della città.
La stessa opposizione dovrà necessariamente abbandonare quel senso critico sterile, fatto unicamente di comunicati stampa col solo intento di screditare è solo in alcuni casi ha proposto alternative valide, l’azione di governo. Basta con la politica autoreferenziale, ove chi fa il proprio dovere è evidenziato come un fenomeno, un modus che non deve appartenere ai consigliere; la città ha bisogno di ben altro.
Gli stabiesi, attraverso il loro suffragio, hanno messo a nudo a più riprese il modus negletto e senza risultati, la politica dello scontro più che quella del confronto. Non possiamo pensare sempre che tutte le azioni dei nostri amministratori siano dettati da situazioni esogene, ma riuscire ove è possibile attuare fattori endogeni al fine di una vera e propria crescita locale.
Una dicotomia stabiese è stata sempre tra la sua vocazione turistica e tra il sostegno industriale. Nelle linee guida del programma di governo cittadino, l’attenzione di questa amministrazione sarà alta affinché gli interventi, certamente non surrettizi con effetti placebo possano davvero interessare il comparto.
Tuttavia la storia è maestra di vita, riportandoci alla chiusura della Fincantieri, dell’AVIS, delle Terme, dei Cantieri Metallurgici e di tutto quel comparto industriale, con conseguente aumento vertiginoso della disoccupazione, che non ha fatto altro che alimentare la microcriminalità vicolocentrica, usata troppo spesso come ammortizzatore sociale. Si è tentato di virare sulla naturale inclinazione turistica ripulendo il centro cittadino. Ovvero molti residenti di zone problematiche furono spostati in periferia, complice non ultimo il sisma del 1980. Nelle linee programmatiche del Sindaco, non si evincono in maniera netta la possibilità di recupero di riqualificazione delle periferie cittadine, ove la costruzione di queste aree di “dormitorio di massa”in lotti, pose in essere interi condomini isolarsi precludendo qualsiasi tipo di interazione sociale.
Le periferie, quindi, sarebbero divenute, delle scatole dove metterci i problemi per non curarsene più. Difatti le periferie nel linguaggio dei media spesso è sinonimo di degrado, droga, violenza, e camorra, dimenticandosi quanto di buono e di come si siano rigenerate al meglio; vedi percentuali di raccolta differenziata, aree verdi, parcheggio. Quest’amministrazione dovrà rompere quello che i sociologi anglosassoni chiamano SCHLECHTE ANDRESS (cattivo indirizzo), luoghi maledetti della città su cui è sufficiente l’indirizzo a dire tutto, a evocare un intero universo di marginalità e miseria. L’intero consiglio comunale con la volontà del fare, deve ascoltare il territorio come già molti modelli associativi fanno, avendo la capacità di coniugare passi non usuali, mettendo insieme le competenze delle persone in una sorta di “Socialismo Municipale”scrostandosi definitivamente di quel atteggiamento delirante e onnipotente di amministratori vacui, la cui priorità rimane solo ed unicamente la loro visibilità e arroganza. Quindi sarebbe auspicabile un’idea di insediamento decentrato, capace di unire le attrattive della città e della campagna. Questo consiglio comunale, giovane, con una identità nuova, deve usare la scintilla dell’osare nelle periferie, saldando quel cordone ombelicale con il resto della città reciso dalle molte azioni scellerate della amministrazioni passate. Sarebbe bello pensare al progressivo abbandono delle periferie pasoliniane, con la costruzione di teatri, palestre, percorsi pedonali, una sorte di riconfigurazione architettonica, con impianti urbanistici nuovi e servizi pubblici, attività commerciali e ricreative, imponendo di fatto un progressivo ricambio sociale dei residenti che continuano a sentirsi parte di una comunità radicata in un quartiere riconosciuto come patrimonio della città. Basta, dunque, al nascondino della carte, tutto deve essere messo a sistema per la città. La qualità urbanistica, dei servizi, il senso di appartenenza deve essere l’humus della rinascita della Castellammare.
Dunque, è bene immaginare che il fallimento non sarà contemplato e non solo di quest’amministrazione o di quella a seguire, ma della cittadinanza tutta, la quale non ha saputo cogliere i mutamenti del tempo; non è un cambiamento dell’epoca, bensì l’epoca del cambiamento.
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