Ho vissuto nel Vicolo Sorrentino fino all’età di 13
anni, fino a quando la mia famiglia non si trasferì al Rione San Marco dove
attualmente abita mio fratello Pasquale.
Superato il periodo della guerra il vicolo che non aveva
subito danni apparenti riprese la sua vita con un tono più familiare, più
sincero. Erano stati gli stati di emergenza a far nascere qualche attrito tra
le donne che non si accontentavano di voler bene ai propri figli ma avevano
fatto di tutto per assicurare loro la sopravvivenza arrivando qualche volta
alle mani o a litigi verbali che è meglio non annotare in tutte le loro
sfumature ed espressioni.
Quello che sto per raccontare accadde in occasione della
festa di San Nicola protettore degli abitanti di Mezzapietra alla quale anche
il mio vicolo appartiene.
Negli anni precedenti San Nicola si affacciava appena nel
vicolo perché per la dimensione che ancora ha per tornare indietro bisognava
fare un inversione di marcia che poteva avvenire girandosi solamente di 180 gradi e per
quelli che reggevano il santo non era semplice per il peso da sopportare.
Filotino che ormai era diventato un apprezzato maestro
d’ascia da far concorrenza a viso aperto a Don Carminuccio propose a tutti
quelli del vicolo di dargli una mano a realizzare un’infiorata coprendone il
selciato non con le foglie dei fiori che non sapevamo dove andare a prendere,
ma con la segatura che aveva accumulato nella sua bottega in un anno di lavoro.
A chi sollevava obiezioni rispose che avrebbe provveduto lui a colorarla, lui a
fare le mascherine per i disegni se noi eravamo disposti ad aiutarlo
manualmente nella posa in opera di quello che aveva progettato e stava
approntando.
Naturalmente erano disegni che riproducevano composizioni floreali di tutti
i tipi con cornici che richiamavano alla memoria quelle che lui utilizzava nella realizzazione dei
mobili che gli commissionavano, mentre una, quella prossima al portone di casa sua avrebbe raffigurata l’immagine del
santo.
La progettazione richiese qualche mese di tempo e un altro
mese se ne andò per fare le prove di composizione e il resto tempo libero che prima ognuno di noi occupava dedicandosi ai propri interessi personali se ne andava nei preparativi
che altri guardavano con sospetto pur avendo assicurato a
tutti che non avrebbe sottratto il vicolo a nessuno per più
di due giorni, dal sabato mattino alla conclusione della processione che si
sarebbe svolta nel primo pomeriggio della domenica. Pur festeggiando il santo
il 6 dicembre i festeggiamenti si svolgevano abitualmente il sabato e la
domenica successiva per non sovrapporsi a quelli dell’Immacolata.
Quando arrivò il momento ognuno di noi si trovò al suo posto
e sotto la direzione di Filotino il lavoro divenne uno scherzo. Anche quelli
che erano critici vennero a dare una mano e nel pomeriggio arrivò anche Don
Carminuccio con il figlio e i suoi aiutanti che resero l’impegno meno oneroso
per tutti.
La sera del sabato il lavoro fu coperto con teli che furono
fissati con le dovute precauzioni e il giorno dopo con pochi ritocchi, ma
Pilotino che non aveva dormito ci fece trovare una scritta con la quale
ringraziava proprio tutti, grandi e piccoli.
Quando arrivò la processione il parroco ebbe parole di
elogio per l’infiorata che avevamo preparato manifestando tutto il suo
disappunto di guastarla camminandoci sopra con la statua del santo. Come sempre
capita in queste situazioni l’emozione prese il sopravvento e molti occhi si
riempirono di lacrime, mentre un questuante raccoglieva qualche offerta nel
cestino che presentava a tutti gli adulti come a pretendere il resto.
Molti si lasciarono andare e ci scappò più di qualche mille
lire che all’epoca era ancora un bel valore.
Quando il Santo usci dal vicolo sulle spalle di quelli che
lo trasportavano per terra rimase solamente una grande confusione di colori nei
quali qualcuno di noi non tardo a tuffarsi e a far volare per aria.
Il vicolo a tarda sera sembrava un grande guazzabuglio
condito di grida e di emozioni che risvegliavano il cuore e l’anima senza
reticenza, senza ritegno. Anche gli uomini sembrava commossa e Luisa ‘e
micciarielle cercava di riguadagnarsi un po’ di simpatia che aveva sprecato con
continui litigi, offrendo da bere a grandi e piccoli, acqua e limone, vino e
qualche dolcetto fatto in casa. Così pure Esterina che non aveva niente da
farsi perdonare se non la sua avarizia o la parsimonia che metteva in tutto quello che faceva, Vicienzo limone che
rompeva l’anima a tutti senza riguardo per nessuno neppure per mia madre che
gli aveva cresimato la figlia Adele, Mimeva che con le sue modeste dimensioni e il su modo di vestire appariscente cercava di adocchiare qualcuno
ancora disponibile, la famiglia Martone che riforniva di latte fresco tutto il
vicolo e tanti altri che il tempo ha portato via dalla memoria.
Fu un’esperienza che tutti volevano ripetere, ma dopo qualche settimana era andata già nel dimenticatoio. Filotino trovò un posto fisso e il
figlio di Don Carminuccio si sposò andando ad abitare altrove.
I figli della pimontese non erano mai a casa e quello più
grande che leggeva Il Capitale di Carlo Marx non si impelagava mai in niente.
Ci volle provare Geppino, il fratello più piccolo di Filotino, ma la
cosa non fu presa seriamente da nessuno. Filotino era un uomo fatto e Geppino
ancora un ragazzo per quanto fosse diventato nel vicolo il più alto di tutti e la prima barba
gli era cresciuta sul mento.
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