sabato 18 febbraio 2012

La vita del vicolo: l’infiorata per la festa di San Nicola



Infiorata tipo


Ho vissuto nel Vicolo Sorrentino fino all’età di 13 anni, fino a quando la mia famiglia non si trasferì al Rione San Marco dove attualmente abita mio fratello Pasquale.

Superato il periodo della guerra il vicolo che non aveva subito danni apparenti riprese la sua vita con un tono più familiare, più sincero. Erano stati gli stati di emergenza a far nascere qualche attrito tra le donne che non si accontentavano di voler bene ai propri figli ma avevano fatto di tutto per assicurare loro la sopravvivenza arrivando qualche volta alle mani o a litigi verbali che è meglio non annotare in tutte le loro sfumature ed espressioni.

Quello che sto per raccontare accadde in occasione della festa di San Nicola protettore degli abitanti di Mezzapietra alla quale anche il mio vicolo appartiene.

Negli anni precedenti San Nicola si affacciava appena nel vicolo perché per la dimensione che ancora ha per tornare indietro bisognava fare un inversione di marcia che poteva avvenire girandosi solamente di 180 gradi e per quelli che reggevano il santo non era semplice per il peso da sopportare.

Filotino che ormai era diventato un apprezzato maestro d’ascia da far concorrenza a viso aperto a Don Carminuccio propose a tutti quelli del vicolo di dargli una mano a realizzare un’infiorata coprendone il selciato non con le foglie dei fiori che non sapevamo dove andare a prendere, ma con la segatura che aveva accumulato nella sua bottega in un anno di lavoro. A chi sollevava obiezioni rispose che avrebbe provveduto lui a colorarla, lui a fare le mascherine per i disegni se noi eravamo disposti ad aiutarlo manualmente nella posa in opera di quello che aveva progettato e stava approntando.

Naturalmente erano disegni che riproducevano composizioni floreali di tutti i tipi con cornici che richiamavano alla memoria quelle che lui utilizzava nella realizzazione dei mobili che gli commissionavano, mentre una, quella prossima al portone di casa sua avrebbe  raffigurata l’immagine del santo.

La progettazione richiese qualche mese di tempo e un altro mese se ne andò per fare le prove di composizione e il resto tempo libero che prima ognuno di noi occupava dedicandosi ai propri  interessi personali se ne andava nei preparativi che altri guardavano con sospetto pur avendo assicurato a tutti che non avrebbe sottratto il vicolo a nessuno per più di due giorni, dal sabato mattino alla conclusione della processione che si sarebbe svolta nel primo pomeriggio della domenica. Pur festeggiando il santo il 6 dicembre i festeggiamenti si svolgevano abitualmente il sabato e la domenica successiva per non sovrapporsi a quelli dell’Immacolata.

Quando arrivò il momento ognuno di noi si trovò al suo posto e sotto la direzione di Filotino il lavoro divenne uno scherzo. Anche quelli che erano critici vennero a dare una mano e nel pomeriggio arrivò anche Don Carminuccio con il figlio e i suoi aiutanti che resero l’impegno meno oneroso per tutti.

La sera del sabato il lavoro fu coperto con teli che furono fissati con le dovute precauzioni e il giorno dopo con pochi ritocchi, ma Pilotino che non aveva dormito ci fece trovare una scritta con la quale ringraziava proprio tutti, grandi e piccoli.

Quando arrivò la processione il parroco ebbe parole di elogio per l’infiorata che avevamo preparato manifestando tutto il suo disappunto di guastarla camminandoci sopra con la statua del santo. Come sempre capita in queste situazioni l’emozione prese il sopravvento e molti occhi si riempirono di lacrime, mentre un questuante raccoglieva qualche offerta nel cestino che presentava a tutti gli adulti come a pretendere il resto.

Molti si lasciarono andare e ci scappò più di qualche mille lire che all’epoca era ancora un bel valore.

Quando il Santo usci dal vicolo sulle spalle di quelli che lo trasportavano per terra rimase solamente una grande confusione di colori nei quali qualcuno di noi non tardo a tuffarsi e a far volare per aria.

Il vicolo a tarda sera sembrava un grande guazzabuglio condito di grida e di emozioni che risvegliavano il cuore e l’anima senza reticenza, senza ritegno. Anche gli uomini sembrava commossa e Luisa ‘e micciarielle cercava di riguadagnarsi un po’ di simpatia che aveva sprecato con continui litigi, offrendo da bere a grandi e piccoli, acqua e limone, vino e qualche dolcetto fatto in casa. Così pure Esterina che non aveva niente da farsi perdonare se non la sua avarizia o la parsimonia che metteva in tutto quello che faceva, Vicienzo limone che rompeva l’anima a tutti senza riguardo per nessuno neppure per mia madre che gli aveva cresimato la figlia Adele, Mimeva che con le sue modeste dimensioni e il su modo di vestire appariscente cercava di adocchiare qualcuno ancora disponibile, la famiglia Martone che riforniva di latte fresco tutto il vicolo e tanti altri che il tempo ha portato via dalla memoria.

Fu un’esperienza che tutti volevano ripetere, ma dopo qualche settimana era andata già nel dimenticatoio. Filotino trovò un posto fisso e il figlio di Don Carminuccio si sposò andando ad abitare altrove.

I figli della pimontese non erano mai a casa e quello più grande che leggeva Il Capitale di Carlo Marx non si impelagava mai in niente.

Ci volle provare Geppino, il fratello più piccolo di Filotino, ma la cosa non fu presa seriamente da nessuno. Filotino era un uomo fatto e Geppino ancora un ragazzo per quanto fosse diventato nel vicolo il più alto di tutti e la prima barba gli era cresciuta sul mento.

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