Vicolo Sorrentino a sinistra
Nel vicolo Sorrentino, dove sono nato, abitavano una ventina di famiglie, ma soltanto alcune
avevano accesso alle loro abitazioni direttamente da esso. Per alcuni era solamente un luogo di transito in quanto avevano altri ingressi di servizio e latri percorsi per arrivarvi.
Il
portoncino in fondo al vicolo conduceva alle
abitazioni e ai laboratori di falegnameria di don Carminuccio e della famiglia
di Pilotino ed immetteva in un’ampia area a cielo aperto sulla quale
affacciavano i locali del piano terra e quelli del primo piano che erano
serviti da una scala esterna. L’area godeva di un’uscita che consente ancora
oggi di accedere a piedi direttamente dall’autostrada senza passare per il
vicolo. La stessa possibilità avevano quelli che abitavano nel cortile posto in
fondo al vicolo a sinistra che serviva gli appartamenti estremi del palazzone e
l’alloggio occupato dalla famiglia di Stella.
In realtà la vita del vico la vivevano solamente
la famiglie della Pimuntesa, quella di Esterina che era una nipote di mia
nonna, la famiglia di Vicienzo ‘o signore, di Natale ‘o cocchiere, di
Gennarino, cocchiere anche lui, di Teresa ‘a lacertesa col marito Pasquale
anche lui vetturino e Rifugia. Erano quelle che si frequentavano di pù e
avevano un rapporto più stretto, che in caso di bisogno si rincuoravano e si
soccorrevano. Gli altri transitavano solamente sciorinando il loro repertorio di
battute e di convenevoli lasciando qualche volta tracce dei loro lamenti perché
le persone assembrate, secondo loro,
ostacolavano il loro transito, salvo poi occupare il vicolo delle ore per
caricare e scaricare cose acquistate che duravano in casa il tempo di qualche
mese, disturbare la quiete con la radio tenuta ad alto volume e litigi che
oltrepassavano le mura di casa con seguiti di percosse che facevano intervenire
i carabinieri della vicina caserma.
Veduta dall'alto del Vicolo Sorrentino
Abitavo nei locali che presentano il tetto sfondato dal terremoto del 1980.
Erano sempre le donne a vivere la vita del
vicolo quando avevano voglia di sfogare a chiacchiere i loro disappunti,
smaltire le proprie noie, trovare un non so che di conforto negli sfoghi delle
altre. Gli uomini erano sempre assenti per non immischiarsi, per non dar luogo
a scambi di opinione che sfociavano spesso in alterchi che prendevano l’avvio
generalmente dalla politica che tiene distante i meno abbienti da quelli che
stanno meglio o svolgono un’attività che sono soliti lamentarsi quando le cose
non vanno bene perché quando tutto va prendono e portano a casa e si tengono
alla larga da quelli che secondo loro li invidiano.
Secondo loro non hanno orari, non hanno
mutua, se si sentono male non guadagnano e debbono attingere al gruzzolo che
non si sa mai dove l’hanno riposto.
L’unico uomo sempre presente era Vicienzo ‘o
signore che era un signor artigiano del legno. Era capace di costruire una
carrozzella per intero con i guarnimenti, la lucidatura. Lo si vedeva solamente
nelle ore pomeridiane quando la luce naturale della bottega scemava di
intensità e non se la sentiva di accendere le quattro lampadine che occorrevano
per illuminarla.
Si metteva a cavalcioni su un banchetto
attrezzato e con gli attrezzi di asporto dava forma a tutti i profilati che
sarebbero andati a costituire i raggi delle ruote anteriori e posteriori. Non
dava fastidio a nessuno, anzi era un divertimento vederlo lavorare e noi
ragazzini lo guardavamo incantati mentre faceva diventare curve le superfici
piane e spigolose, le scartavetrava, le lucidava. A sera o quando il lavoro
arrivava al termine ritirava i suoi attrezzi e recuperava i trucioli che aveva
prodotto lasciando i basoli perfettamente puliti anche dalla segatura che
utilizzava nella stufa per sciogliere la colla o per cucinare legumi che
richiedevano tempo e pazienza.
Quelli che procuravano un po' di confusione erano i vetturini che al ritorno a casa impegnavano il vicolo con le loro carrozzelle che lavavano e pulivano sulla strada pur avendo nei loro cortili spazi per farlo; strigliavano i cavalli legati ai ganci che stavano infissi nei muri da anni.
A volte scalciavano, ma bastava fare un minimo di attenzione per evitarli. Per noi ragazzi andava comunque bene perché ci scappava quasi sempre qualche carrubba che aveva il sapore della cioccolata e calmava i morsi della fame in attesa di fare un pò di cena prima di andare a dormire.
Veduta delle abitazioni raggiungibili anche dal Vicolo Sorrentino |
Erano proprio i fagioli che passavano di casa
in casa quando venivano cucinati e il loro aroma si diffondeva nel vicolo. Chi
li metteva sul fuoco sapeva già che ne doveva cuocere qualche etto in più per
far tacere la fame dei ragazzini che ne erano ghiotti o sentivano la fame ogni
volta che c’era qualcuno che anticipava l’orario del desinare.
Le altre ricambiavano con la verdura, come
faceva mia madre che era rifornita dalla famiglia di provenienza ogni volta che
mio zio faceva il mercato a Castellammare o il raccolto era particolarmente
abbondante. E poi i fagioli più degli altri legumi si prestano a realizzare
tanti piatti anche se si parla sempre di pasta e fagioli. Vengono utilizzati
per le insalate, per stufarli e il brodo per bagnarci il pane duro con un filo d’olio e un odore di aglio
Un riso con i fagioli era una prelibatezza
che non tutti bambini volevano mangiare, ma che necessariamente mangiavamo
perché non si buttava via mai niente. Era un peccato, dicevano e veramente lo
era in quanto i soldi erano pochi e le bocche da sfamare erano tante e sempre
più affamate.
Quello che gli altri non volevano lo
passavano ai vicini senza vergognarsi, il pantalone veniva rattoppato, le
scarpe risuolate, l’ombrello riparato e nel vicolo ognuno dava una mano
all’altro.
Noi ragazzi crescevamo e litigavamo, ma anche
i litigi duravano un attimo, le mamme si adoperavano immediatamente per calmare
gli animi facendoci fare pace all’istante.
Quando passavano i venditori ambulanti le più
dubbiose mettevano da parte la loro incapacità chiamando in soccorso quelle più
sveglie e capaci di contrattare il prezzo.
Le donne si aiutavano in tutto. Rifugia per
esempio ci intratteneva raccontando fatterelli che più avanti negli studi ho
trovato nella letteratura. Quelli che avevano la radio ci facevano ascoltare
Lucignolo, quelli che erano più abbienti davano anche agli altri la possibilità
di assaggiare quello che si cucinava.
Ma un bel giorno arrivò il momento di
traslocare. Non ricordo se ne fui entusiasta, ma il modo che trovai giù al San
Marco aveva altri orizzonti.
Quando ritornavo per far visita ai nonni il
vicolo incominciava ad andarmi stretto. E adesso che sto ritrovando la memoria di quei tempi mi
trovo di fronte a immagini che mi rattristano.
La casa che abitavamo era di mia nonna che la
diede in dote a mia zia Vincenza. Non ci sono più ritornato. L’ho solamente
sfiorata, ma la memoria non riesce a cancellarla. Intanto è pericolante e
disabitata. Un piccolo patrimonio che aspetta di essere risanato dal terremoto
del 1980.
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