Nazareno Cipriani - Il barbiere di strada |
Barba, capille e Barba, capille e ppalluccella ‘mmocca.e nella traduzione letterale vol dire: barba, capelli e pallina in bocca. Così fino alla fine degli anni cinquanta veniva offerto in alcune località della Campania, specialmente nei centri agricoli, il servizio di barbiere a domicilio o ambulante che dir si voglia che per poche lire fornivano al cliente occasionale e non il servizio di rasatura della barba e il taglio dei capelli.
La ppalluccella ‘mmocca era una
piccola sfera di natura alimentare (mela, ravanello di quelli sferici,
pomodoro, ecc.) che introdotta nella bocca e trattenuta principalmente tra i
denti e la guancia destra e poi sinistra
serviva a tenerle tese per avere una superficie scorrevole sotto il
filo del rasoio.
Al termine della rasatura i più la
“palluccella” la mangiavano come una concessione/premio da
parte del barbiere che certamente non l’avrebbe messa in bocca a qualche altro
avventore.
Qualcuno al posto della mela aveva
adottato una pralina ricoperta da una
friabilissima glassa zuccherina che veniva poi consumata dal cliente essendo
impensabile un suo recupero dopo la pur breve (il tempo della barba) permanenza
nella bocca del cliente.
La prestazione, se il tempo era
buono, veniva svolta all’aperto sull’aia o davanti alla porta di casa tenendo
lontano i ragazzini curiosi di assistere alla rasatura del loro parente o
vicino di casa.
Il taglio dei capelli richiedeva
più tempo della rasatura che terminava sempre con l’aspersione del volto con
acqua di colonia o qualcosa di simile contenente generalmente un profumo gradevole ma persistente e
rinfrescante.
Per la rasatura della barba l’operatore avvolgeva intorno al collo del
cliente un pabbo di tela leggera di colore bianco per evitare di imbrattargli
gli abiti indossati con la schiuma del
sapone o con l’acqua tiepida che lo aiutava a sciogliere più rapidamente il
sapone per produrre la schiuma da appoggiare sulla barba da tagliare.
Generalmente, mentre insaponava passava l’estremità del dito indice sul volto
del cliente per accertarsi della consistenza della barba e il grado di
ammorbidimento raggiunto.
Tra gli arnesi del barbiere c’era per
il servizio di barba
il rasoio a lama libera,
l’allume per eventuali ferite,
il sapone di mandorla
il pennello
una cighia di cuoio per affilare
la lama
le forbici per rifilare i baffi
uno specchio incorniciato per dare
al cliente l’opportunità di guardarsi a lavoro finito
Gli attrezzi per il taglio deii
capelli includevano diversi tipici di forbici
per lo sfoltimento,
col taglio netto per
l’accorciamento dei capelli, una macchinetta a mano, pettini con denti stretti
e larghi per chiome ispide e capelli di ragazzini, spazzole per l’asportazione dei capelli
tagliati dagli abiti del cliente e per la stesura del borotalco sulle superfici
liberate.
Lo spruzzino per spargere sui
capelli un prodotto profumato simile a quello per la barba azionato da una
pompa a mano a forma di palla, brillantina solida o liquida e tovaglie e
tovaglioli per asciugare i capelli in caso di sciampo e per proteggere il corpo
del cliente dai capelli tagliati.
Pochi ricorrevano al lavaggio dei
capelli durante la tagliatura almeno che non era il barbiere a consigliarlo
quando osservava sul cuoio capelluto problematiche irritative dovute alla
troppa esposizione al sole o in presenza di animali non graditi.
La completa asportazione dei
capelli diventò una moda quando nel dopo guerra si diffuse l’epidemia dei
pidocchi.
Veniva adottata specialmente nel
periodo estivo quando la temperatura era più clemente e i metodi tradizionali
si dimostravano impotenti in quanto non tutti adottavano contemporaneamente le
disinfestazioni comandate.
A lavoro ultimato si fissavano
nuovi appuntamenti e per le urgenze si faceva prima ad arrivare in centro dove
c’erano più di un salone e ti servivano con tutti i riguardi.
Con il costo di un taglio di capelli praticato in un salone coprivi
la spesa del servizio a casa e i membri della famiglia non dovevano necessariamente
spostarsi. La verdura che il barbiere portava via era per lui un regalo gradito
e per il contadino sicuramente un risparmio nel non doversi spostare.
Era una giornata che passava tra
un bicchiere di vino, due chiacchiere col vicino di casa che aspettava il suo
turno e una fumata di pipa senza la preoccupazione di guardarsi intorno per
scansare gli inopportuni e i mariuoli.
La prima bottega di barbiere aprì a Roma nel 300 a . C.. Non conosciamo il
suo nome ma, secondo lo storico Marrone, era un siciliano fatto venire dal
nobile Puplio Licinio Mena. Da allora le botteghe di tonsores nella
Città Eterna spuntarono come funghi e Giovenale, in una delle sue innumerevoli
lamentele sugli schiamazzi che regnavano nell’Urbe, ci informa delle urla che
si sollevavano da queste botteghe.
I tonsores, infatti, tra una barba e l’altra,
cavavano denti, praticavano salassi e interventi chirurgici quali l’incisione
di ascessi, l’asportazione di emorroidi, la cauterizzazione di ferite...
Questa commistione di ruoli si è protratta per quasi venti
secoli (in Francia la corporazione dei barbieri-cdando origine alla tipica
insegna dei barbieri, il grosso cilindro verticale (il pole degli
anglosassoni) a strisce trasversali colorate: rosso per rappresentare le
arterie, blu le vene e bianco le bende con le quali si fasciavano le parti
incise.
Il rasoio dal 1770 in poi subì alcune
modificazioni per essere reso più sicuro nel suo utilizzo.
La vera rivoluzione avvenne nel
1895 ad opera di King Camp Gillette che inventò la lametta che nel 1914 fu realizzata in acciaio inossidabile.
Le botteghe continuano ad esistere
ma quando Roberto si ritirerà dall'attività nessuno prenderà il suo posto. Il
socio è morto già da qualche anno e apprendisti non se ne vedono in giro.
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