martedì 16 aprile 2019

GENTE di Stabia: Enrico Discolo - E vvì lloco ! Vanno ȃ scola cavaiola…

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Enrico Discolo
UN ODORE di Enrico Discolo
Sono tornato nelle vecchie strade del centro storico per rendere più 
percepibili memorie e sentimenti.
I vicoli e le stradine che portano sulle alture della “Pacella”, della “Sanità”, di “Visanola”, di “San Giacomo”, di “Santa Rita”, di “Quisisana” conservano ancora lo stesso fascino paesaggistico di una volta ma sono poco frequentati e popolati in confronto agli anni del secolo scorso. 
Sui volti dei passanti che incrocio cerco di ravvisare le fisionomie che hanno accompagnato la mia adolescenza. Considero che il ricambio generazionale abbia addirittura modificato alcuni dei tratti somatici ereditari che noto sui volti dei residenti odierni.

Via Brin, via Duilio, via Santa Caterina, Piazza Grande, il Cognulo, il mare e i chioschi dell’Acqua della Madonna mi hanno procurato una forte emozione. 
Cerco di trovare qualche gruppo vociante di bambini ma ne incontro solo qualcuno che parla col videotelefonino e si dà l’aria di un uomo d’affari. Le ragazzine, poi, penso che abbiano al massimo dodici anni, mi passano vicino e lasciano una traccia seducente di un buon profumo. Vestono abitini corti e scollati e danno l’idea di andare ad esibirsi in uno spettacolo televisivo. Invece vanno solo a scuola….
”Ebbì lloc’, vann’ a scola cavaiol’….” mi dice una signora anziana seduta dietro il portale di un palazzo mentre continua a ricamare l’ orlo di un lenzuolo. Il commento stizzito della donna mi porta ad osservarla meglio e mi accorgo di conoscerla. Le accenno un saluto e lei lo ricambia chinando il capo. Certamente non mi ha riconosciuto. Ero quel ragazzino che correva sulle rampe delle scale della sua casa quando andavo a chiamare i suoi due figli: i compagni di tante avventure sulla marina di Portosalvo e i giardini di Visanola. 
I ragazzi di un tempo, un tempo non tanto remoto, quando si recavano a scuola, avevano tutti il grembiule e i colletti bianchi. Oggi si va a scuola con gli stessi abiti che si indossano per assistere ad un concerto del cantante preferito. Allora si giocava fino ai quindici anni negli ampi cortili dei palazzi o per le strade e i vicoli dei quartieri scandendo e segnando il ritmo delle giornate. 
I ricordi hanno risvegliato le immagini nitide di tutti quei coetanei che ho frequentato in un periodo di tempo. privo di mezzi, ma spensierato, in quegli anni dell’adolescenza. 
Avevo sentito forte il bisogno di ritornare nelle stradine del quartiere, correre sulla banchina di Porto Salvo, sedermi a un tavolino nel boschetto dell’Acqua della Madonna di fronte al palazzo del Crocifisso in cui abitavo, ammirare i bastioni del castello, i giardini del poggio di Visanola…ma quel desiderio di ritrovarmi nel “mio ambiente” ha sconvolto e deluso quanto di più caro e intimo, di quei luoghi, avevo nel cuore.
Sembravo un estraneo che s’aggirava senza meta, annoiato e deluso
tra lo squallore e la solitudine che tutta la zona ostentava.
Il mio quartiere comprende a breve distanza, un centinaio di metri, la chiesa di Porto Salvo e la parrocchia dello Spirito Santo che, ricordo come fosse oggi, suonavano simultaneamente alle sette del mattino, all’Angelus e al Vespro. Lo scampanìo concomitante dai rispettivi campanili procurava in tutti gli abitanti del centro antico inusitati momenti sereni di celebrazione festiva anche nei movimentati e laboriosi giorni feriali. 
Era il luogo dove un tempo la giornata registrava due eventi vitali: il flusso continuo degli operai in tuta che si recavano o uscivano dalla Navalmeccanica. il famoso cantiere navale di Castellammare di Stabia 
Le botteghe degli artigiani e i negozi di vari generi contribuivano ad animare la vita di una comunità sempre affaccendata e creativa.
E tutto questo aveva arricchito, pur nella miseria economica, il modo di vivere di un bambino del dopo guerra. Allora il rione era stimato nel contesto dell’economia cittadina come area di notevole sviluppo e interesse commerciale, mentre oggi viene considerato solo periferia, dove la gente si scambia in un continuo carosello generazionale, tradizioni e abitudini ataviche.
Passeggiando per Via Santa Caterina mi sono fermato davanti a un edificio dove una volta c’era un locale adibito a sala teatro dell’opera dei pupi. Il risuonare dei colpi delle spade che s’incrociano, le voci concitate dei personaggi, le urla degli spettatori, i passi pesanti sulle tavole di legno dei pupi Tore e Criscienzo e Ntonio a Porta e Massa si sono improvvisamente ridestati nella mente con immagini e suoni. Il ricordo ha acceso il mio volto di un sorriso spontaneo che mi ha procurato il saluto di un uomo che passava vicino. All’altezza del vico Sant’Antonio ho sentito all’improvviso un odore.
Un forte effluvio di frittata con cipolle aleggiava nell’ombreggiata e stretta strada. Era lo stesso profumo di un tempo antico, un buon odore degli anni dell’ infanzia, che all'istante mi ha ridato la gioia e il piacere di ricordare quei tempi che qui ho vissuto.
Un semplice odore di frittata ha evocato i fantasmi di una generazione e i sentimenti che facevano ardere l’esistenza e i sogni di gioventù.

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