venerdì 27 dicembre 2013

La FESTA DI CAPODANNO


avevo dimenticato










Con il passare dei giorni sta approssimandosi quello di Capodanno che sicuramente porterà con se un'altra delusione per i provvedimenti di pubblica sicurezza già annunciati, che verranno sicuramente adottati per scoraggiare fin dove è possibile quelli non disposti a recedere dalle intenzioni di attuare gli aspetti più eclatanti di una tradizione che negli anni passati sommergeva le strade con una possibile elemento da rottamare scaraventandolo sulla pubblica strada in modo liberatorio.

Mentre per il FUCARACCHIO andavamo alla ricerca di legna da ardere, prelevandola anche dove non la si poteva prendere, per capodanno , oltre ai fuochi di artificio di piccole o grandi dimensioni, che squassano l'aria con fragori assordanti, in ogni casa si mettevano da parte tutti quegli oggetti che si volevano eliminare in quanto usurati o deteriorati in modo da non essere più recuperabili.

Al sopraggiungere della mezzanotte tra i rumori assordanti provocati dai botti si provvedeva da parte dei componenti la famiglia ancora in condizioni fisiche idonee, a scaraventare sulla strada gli oggetti accumulati cercando di provocare il massimo del rumore possibile tanto che al mattino le strade risultavano sommerse da montagne di monnezza da risultare impraticabili anche a piedi a quelli che necessariamente dovevano uscire di casa che dovevano porre attenzione a dove mettevano i piedi per non imbrattarsi di escrementi o rischiare di ferirsi con oggetti taglienti e acuminati come il vetro delle bottiglie, la ferraglia della peggiore specie, ecc. ecc. ammucchiati gli uni su gli altri.

Certo le tradizioni davano sfogo ai malumori accumulati contro i governanti che in poche occasioni annuali consentivano libertà che permettevano ai più turbolenti di pareggiare in qualche maniera i conti con la legge adottando le necessarie cautele come quelle che ancora oggi si praticano a carnevale.

Nelle tradizioni, però, ci sono anche momenti ludici che consentono attraverso il canto, il ballo e i giochi competitivi o meno di alleviare le proprie ambascie e di esaltarsi senza portare danno agli altri favorendo avvicinamenti tra quei soggetti critici che da sempre il tessuto sociale contiene e manifesta.



LA CANZONE DI CAPODANNO 






Come noto e come è attestato da diversi scrittori di storia locale, nella nostra Regione ( e si pensa anche nelle altre ) era diffuso l'uso di celebrare il Capodanno con i tradizionali fuochi pirotecnici e gettando dalle finestre, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, svariati oggetti. Ma oltre a tutto ciò nella nostra Regione c'era anche l'uso ( e tutt'ora in buona parte persiste ) di cantare la"Canzone de lo Capodanno". Nel nostro Comune, dopo alcuni anni di "silenzio" si è cominciato a riprendere questa simpatica usanza. Nel cantare tale canzone si ricorreva all'uso di alcuni strumenti caratteristici : tamburelli, "scietavaiasse", putipù ed altri che producevano un fracasso, non fastidioso, ma piuttosto buffo e piacevole. 

Nella società dei secoli passati, questa canzone veniva preceduta dal "lancio della pietra" che consisteva nel tirare un sasso o un frammento di mattone al piede della persona alla quale si voleva dare l'augurio del buon anno. Specialmente nella tradizione metese, il lancio di questa pietra, era preceduto da un coro di introduzione, che era il seguente: 

" ao' bbuon Dio è ao' bbuon Capodanno 

tant'oro e argiento te puozze 
abbuscà auanno, 
quanto peso io, 'a pret e tutte e panne" 
Dopo aver pronunziato questi versi, colui che voleva fare l'augurio faceva "scivolare la pietra" ai piedi del festeggiato ( in dialetto si diceva "menà a' pret a...).Dopo di che si cominciava la canzone. 
L'inizio della canzone che veniva eseguita a Meta era uguale a quello che si cantava in tutte le altre parti della Regione e che è riprodotta in parecchi dischi.
Ma la caratteristica della canzone che veniva eseguita a Meta, era che il motivo era alquanto diverso da quello che viene ascoltato nei suddetti dischi. 
Ma ancor più caratteristico era che nella canzone di Meta, dopo aver menzionato la nascita del Redentore, la strage degli Innocenti ecc., come avviene nella canzone cantata negli altri paesi, - ci sono delle strofe che passano in rassegna tutte le attività, arti, mestieri e professioni - agli esercenti delle quali viene augurato il buon anno. Leggendo queste strofe non si può non notare la loro simpatia e il loro humor che, ancora a distanza di tanti e tanti decenni, viene suscitato in coloro che le ascoltano. Secondo una tradizione orale, tramandata attraverso le generazioni di padre in figlio, sia il motivo che queste strofe aggiunte, sono opera dei metesi. Il nome dell'autore delle note non è sicuro e quindi per serietà non possiamo menzionarlo; mentre l'autore dei versi aggiunti è un tale chiamato Prospero Cafiero, che abitava "abbascio o Casale". 
Nel cantare detta canzone si rispettavano delle gerarchie familiari e sociali, perché il nipote "menava" la pietra al nonno, il figlio ai genitori, il nipote allo zio ecc. Nei rapporti sociali ed economici si aveva un'analoga gerarchia, per es. il garzone al maestro di bottega, il lavoratore al suo datore di lavoro ( a Meta, notoriamente famosa nell'attività marinara, i marinai ed in genere i dipendenti davano quest'omaggio all'Armatore, che spesse volte era anche il capitano della nave). 
Ma tale gerarchia comportava anche l'obbligo, per chi riceveva quest'omaggio, "di aprire la dispensa" e trattare lautamente con cibarie e dolciumi vari, coloro che avevano cantato la canzone. 
I genitori, i nonni e gli zii, a loro volta, facevano rispettivamente ai figli e ai nipoti la " 'NFERTA" (cioè quella che possiamo comunemente definire "la strenna di Capodanno"). Il periodo festivo, come quello Natalizio, era occasione, per buona parte del popolo, di cibarsi più riccamente in quanto il consumo di determinati generi, carni, dolciumi, ecc.non era alla portata di tutti. D'altra parte il lungo periodo di privazione rendeva più gioioso il cibarsi in questi periodi, infatti si diceva che si faceva festa. 







CENONE.

Quando eravamo ragazzi in occasione del capodanno o di altre festività dove era prevista un'abbondanza di cibo, lo sfottò era d'obbligo in quanto per alcuni di noi, appartenenti a famiglie meno abbienti, non avendo abbondanza di cibo da mettere in tavola tutt'i giorni, il cenone, a detta di chi voleva divertirsi alle nostre spalle, rappresentava l'unica occasione per rifarsi sulla fame arretrata accumulata.

Nelle rare occasioni che si era invitati presso amici o familiari se non ti trattenevi nel mangiare qualcuno dei convitati se ne usciva con l'espressione che era meglio farti un vestito che invitarti a pranzo.
Erano battute che andavano di modo come pure quella: ma che ti sei purgato ieri, anche se molti di voi non ne comprenderete il significato, oppure: - scommetto che ieri era giorno di digiuno.

Generalmente  il cenone prevede un pò di tutto liquido o asciutto che sia per cui iniziare alle nove o alle dieci di sera per arrivare a mezzanotte era necessario avere davanti qualcosa da mangiare dopo il rinvio del pasto del mezzogiorno a quello quasi imminente della sera, anche se le ore che ci separavano dal cenone erano nove o dieci.
le incursioni in cucina si sprecavano come pure le grida delle donne che si erano riunite in consorzio per l'occasione per ridurre la spesa individuale e approntare un po' di tutto.

Nel canto di capodannno si dice che il cibo approntantato poteva bastare per un anno e invece l'allegrada masnata l'aveva ingurgitato in un batti baleno.

I ragazzi, si sa che rifiutano le verdure lessate, fritte, nel ripieno delle pizze e in ogni dove e le verdure invece aprivano il cenone per stuzzicare l'appetito, come si diceva allora quando gli aperitivi ancora non si usavano a casa mia e a casa dei vicini.

Guardavamo uno nel piatto dell'altro sottraendo sul più bello il boccone che stava per essere portato alla bocca con occhi avidi. Gli scherzi erano il risultato del digiuno forzato per ridurci allo stremo delle nostre forze nella speranza di averci più docili come commensali.

La fellata che consiste in una consistente presentazione di formaggi freschi e stagionati e di salame, prosciutto, mortadella, pancetta e capocollo apriva ile danze del cenone nel quale era compreso di tutto dal cappone che era servito per il brodo della minestra, alla carne ai ferri sia di maiale che di vaccina fino alla frutta secca, ai dolci natalizi, alle sciosciole, agli struffoli in attesa di aprire lo spumante per dare alla festa il massimo della ricchezza.

Ognuno vantava il suo: il lettere frizzantino, il lambrusco che frizzava anch'esso, lo spumantino fatto il vino dolce che chiamavamno lambiccato.









domenica 22 dicembre 2013

AMARANTE CATELLO bis - Canottiere CN Stabia





AMARANTE CATELLO - Canottiere CN Stabia





Catello Amarante

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Catello Amarante
NazionalitàItalia Italia
Altezza177 cm
Peso73 kg
Canottaggio Rowing pictogram.svg
SquadraCircolo Nautico Stabia Napoli[1]
Palmarès
Olympic flag.svg Olimpiadi
BronzoAtene 2004quattro senza p.l.
Gnome-emblem-web.svg Mondiali
ArgentoColonia 1998quattro senza p.l.
BronzoMonaco di Baviera 2007quattro senza p.l
Wikiproject Europe (small).svg Europei
OroPoznań 2007quattro senza p.l.
Statistiche aggiornate al settembre 2009
Catello Amarante (Castellammare di Stabia15 agosto 1979) è un canottiere italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Come componente dell'equipaggio italiano del quattro senza pesi leggeri, ha vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene 2004, il bronzo ai mondiali 2007 e l'oro agli europei 2007.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere Ordine al merito della Repubblica Italiana - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere Ordine al merito della Repubblica Italiana
— Roma, 27 settembre 2004. Di iniziativa del Presidente della Repubblica.[2]


Collegamenti esterni]

AMITRANO SALVATORE - Canottiere CN Stabia


Acerra Mauro - canottiere CN Stabia


sabato 21 dicembre 2013

NATALE e le tradizioni di noi stabiesi. (1)

Nell’approssimarsi del Natale tutti, indistintamente, stanno rispolverando le ricette della tradizione familiare che riempiranno le tavole di tante pietanze che nella maggior parte dei casi fanno anche parte delle tradizioni locali di quando eravamo bambini, ma meno ricchi di oggi anche se chi ci governa fa di tutto per restituirci alla civiltà della caverne con la giustifica dei corsi e dei ricorsi storici.

Il benessere di qualche hanno addietro ci aveva in buona parte fatto dimenticare la nostra fanciullezza, lo stato di indigenza che avevamo attraversato, molti di noi, durante la seconda guerra mondiale e subito dopo.
Con l’impellenza di sopravvivere, per non lasciarsi andare alla morte per inedia andavamo anche “pe torze”. Ci avventuravamo nei campi e come la spigolatrice o l’uccellino, andavamo raccogliendo la parte alta degli stelli la parte ancora tenera che una volta emendata dalla scorza offriva una parte di midollo ancora commestibile.


Quando i nostri genitori riuscivano a mettere in un piatto qualche altra cosa privandosi di qualche lira  in più che arrivava con la tredicesima o di quel poco di ricchezza che conservavano gelosamente come ultimo baluardo contro la miseria (le fedi di matrimonio, una collanina, un ciondolo, il corredo) erano giorni di festa ma di sconfitta mascherata con le lacrime agli occhi da espressioni come: chiagno pecchè so’ cuntento o perchè  “ve veco finalmente felice tutte quante assieme.."

Le ricette sono tante proprio perché le economie familiari non permettevano di abbondare tutti i giorni. I ricchi erano, i benestanti non tanti, i salariati erano abbastanza e i precari dell'esistenza tanti per cui le feste diventavano l'occasione per mangiare un po' di tutto.

Semel in anno licet insanire dicevano i latini e c'era sempre qualcuno che mangiando abbondantemente doveva ricorrere al pronto soccorso con l'aiuto di qualche vicino motorizzato.

Il mangiare se lo facevano uscire dagli occhi e le costipazioni erano una conseguenza logica come l'ubriacarsi bevendo più vino del solito. Dalle cucine dei vicini o da quella di mia nonna materna arrivavano odori inusuali, principalmente di frittura nella quale si prodigava instancabilmente per accontentare mio nonno, come si diceva allora. La tavola che imbandiva non aveva niente da invidiare a quelle che poi vedevo nei film d'epoca.

Provo a farne un elenco e a darvi qualche ricetta anche a costo di prelevarla su qualche altro blog per essere puntuale nelle quantità per una portata o per un certo numero di persone in quante le pietanze vanno consumate al momento e se proprio c'è un avanzo a più tardi il giorno dopo.

Insalata di broccolo siciliano e baccalà.

1 kg di broccolo siciliano giovane - qualche cucchiaio di olio di oliva – 2 spicchi di aglio – 2 limoni – sale q.b.
Approntare una pentola con acqua da portare ad ebollizione. Calarvi dentro i boccoli emendati dalle parti dure dello stelo quando l'acqua bolle forte. Recuperarli a bollore nuovamente raggiunto, sgocciolarli e lasciarli raffreddare.
Cuocere a parte il baccalà alla stessa maniera del broccolo e lasciarlo raffreddare sotto l'acqua corrente.
Unirli nella stessa zuppiera e condirli con sale, olio, aglio e succo di limone agrodolce.


Insalata di rinforzo.

1 o 2 cavolfiori di peso complessivo non superiori al 1,5 Kg. - Olive verdi, capperi, 4 o 5 acciughe deliscate, peperoni sott'aceto da tagliare a pezzi , 5oo gr di tonno in scatola, aceto di vino bianco.
Dopo aver lessato il cavolfiore  al dente senza fargli perdere il colore naturale e lasciatolo raffreddare fino a diventare tiepido, riducetelo a pezzettoni senza snaturarlo.Al termine aggiungetevi le olive, le acciughe a piccoli pezzi, il tonno, i peperoni e annaffiatelo con aceto bianco.
Lasciatelo riposare rimescolandolo di tanto in tanto.


Friarielli strascinati

1 kg di cime di broccoli di rape – qualche cucchiaio di olio di oliva – 2 spicchi di aglio – peperoncino a piacere – sale
Pulire i broccoli dalle foglie esterne più  dure e sciacquarli in più  acque per lavarli del possibile terreno presente. Mettere al fuoco una pentola con acqua e sale e portarla ad ebollizione. Quando bolle immergervi i broccoli e cuocere per non più di due minuti (questa operazione libera i broccoli dell’amaro e li rende più facili alla digestione). Scolare i broccoli. Mettere al fuoco una padella con l’olio di oliva , l’aglio e il peperoncino e quando l’aglio comincia ad imbiondire versare i broccoli. Aggiustare di sale e cuocere per pochi minuti, finché la verdura sara’ tenera alla forchetta. Servire caldi o freddi .


Fagioli alla maruzzara

300 gr di fagioli borlotti lessati – 2 cipolle medie – 3 cucchiai di concentrato di pomodoro – peperoncino a piacere – 3 cucchiai di olio di oliva – sale
Pulire e affettare finemente le cipolle. Mettere una padella con l’olio di oliva al fuoco e quando l’olio e’ caldo aggiungere le cipolle affettate, il peperoncino e il sale. Fare imbiondire (ma non bruciare) le cipolle ( nel caso aggiungete qualche cucchiaio di acqua) e cuocerle finche’ saranno trasparenti. A questo punto aggiungere il concentrato di pomodoro disciolto in acqua e continuare la cottura per qualche minuto aggiustando il sale. Aggiungere i fagioli e finire la cottura per 5/6 minuti. Anche questo piatto puo’ essere servito caldo o freddo.


Insalata “ricca”
3 patate medie lessate – 200gr di fagioli lessati ( borlotti o bianchi o cannellini) – 15/20 pomodori ciliegini – 2 cipolline verdi novelle (o cipolla dolce) - olio di oliva – origano – sale e pepe
Tagliate a pezzi grossi le patate lessate e a meta’ i pomodorini. In una fondina mettete le patate, i pomodori, le cipolline affettate, i fagioli e condite con sale, pepe, olio e origano. ( era detta “ricca” perche’ i fagioli venivano chiamati “la carne dei poveri”)
( Da qualche tempo mi capita di aggiungere a questa insalata le uova sode, o il tonno o il formaggio feta, e renderla cosi un piatto unico )




MARIA VOLLONO all'INSTITUT AUF DEM ROSEMBERG di Sangallo - Svizzera (GS in trasferta)


Sangallo











RASSEGNA DI FILOLOGIA GERMANICA


Premessa
Questa raccolta elenca gli studi concernenti la storia, le lingue e le culture germaniche antiche apparsi a cura di studiosi italiani tra il 2002 e il 20111, nonché alcuni lavori non compresi nella rassegna precedente I titoli sono suddivisi prima per ambiti culturali e poi in ordine cronologico e alfabetico.

Le miscellanee sono così citate:

970 ) Maria VÒLLONO, Plurilinguismo nell’Italia postlongobarda: considerazioni a
proposito della presenza longobarda e franca e suoi riflessi linguistici, in Il plurilinguismo
in area germanica, pp. 271-300.

971) Maria VOLLONO, Methodik und Probleme bei der Erforschung des
Langobardischen am Beispiel einiger juristischen Fachbegriffe: mundoald, launegild,
sculdhais, in Die Langobarden. Herrschaft und Identität , a c. di W. Pohl e P. Erhart
(Denkschriften. Akademie der Wissenschaften in Wien, Philosophisch-Historische Klasse,
329. Forschungen zur Geschichte des Mittelalters), Wien 2005, pp. 477-503.

974) Maria VÒLLONO, Lingua e tradizione: identità e ricerca di identità nel Ducato di

Benevento, in «AION-Sez. germ.», n. s., XVI,2 (2006), pp. 29-41.






martedì 17 dicembre 2013

CIR NA (Circolo Nautico Stabia)



CIRO FARFALLA editore di cartoline di Via del Gesù , 32 (Gente di Stabia)

Di Ciro Farfalla, editore di cartoline con immagini di Castellammare di Stabia con edizioni anteguerra e successive, oggi è rintracciabile soltanto su  ebay.it ad opera di quei collezionisti o pseudo tali che vanno alla ricerca di qualche euro da portare a casa.

Il suo negozio era in via del Gesù 32, come sta scritto dietro le cartoline che possiedo. Oggi  c’è una macelleria, come testimoniano le immagini di Google.

Nei miei ricordi rivedo un negozio che vendeva, se non vado errato, oggetti da regalare, prodotti vari che rendevano il negozio impenetrabile all’avventore che doveva soltanto chiedere.
Le facce di quelli che lo gestivano mi sembravano antiche e un po’ fuori dalla realtà anche se ti accoglievano con deferenza, con modi garbati.


Certo Internet è già qualcosa  per risuscitare i ricordi, ma non sempre chi raccoglie il messaggio è disponibile a mettere in piazza i suoi per dare un contributo al proprio villaggio alla ricerca della propria identità. .


Castellammare di Stabia - Via del Gesù, 32


Nota. 
E' di moda un tipo di collezionismo che tende a privatizzare quello che si è accumulato contrassegnando le immagini che vendono pubblicate con marchi di proprietà che rende le immagini illeggibili e non più godibili nell'aspetto storico e documentale.
Questi signori farebbero bene a non pubblicare quello che posseggono. Il loro tipo di avarizia vale in termini reali l'euro
che chiedono per poterlo cedere, mentre invece il loro atteggiamento guasta il senso della conoscenza e della convivenza del sapere.

lunedì 16 dicembre 2013

D'ANIELLO ENRICO - CN Stabia dal 2005



SCHISANO FRANCESCO. CN Stabia dal 2005


JUVE STABIA - NOVARA : 1 / 2




Nonostante l'impegno profuso da una buona parte dei giocatori la squadra continua a collezionare sconfitte e ad avvicinarsi al punto di non ritorno.

Quanta responsabilità spetterà a Pea alla fine di questa avventura non è ancora possibile quantificarla, ma sicuramente nella compagine ci sono elementi che non sono all'altezza del mestiere che fanno.

Qualcuno obietterà che ci sono società che possono spendere e altre che sopravvivono. Se la risposta ai mali della Juve Stabia è in questo assunto godiamoci le sconfitte al posto delle vittorie e visto che non è più tempo di Nazareni non aspettiamoci miracoli che il calcio è l'ultimo ad averne bisogno.

Anche nella partita di ieri c'erano i disattenti e qualche svogliato, ma questa squadra è come un pantalone ormai consunto che aggiustato da una parte cede dall'altra.


Monete presenti a Castellammare e nel Regno delle due Sicilie in epoca angioina ed aragonese.

Monete presenti a Castellammare e nel Regno delle due Sicilie in epoca angioina ed aragonese.

Nome
Località
Tipologia
Materiale
Peso/gr
dinastia
Conio
Dal
 Fin a
Carlino
Cavalli
Ducato
Grani
lire
Quattrini
Tornesi
Valuta
Carlino
Napoli
Moneta
Oro

Angioina
1278

1784



10
0,4368

20

Carlino
Napoli
Moneta
Argento



1784
1814


  1/10

0,4249



Cavallo
Napoli
Moneta
Rame

aragonese

1472
1814



  1/12




Cavallo
Napoli
Moneta
Rame

aragonese


1814



  1/10




Cavallo
Napoli
Moneta
Rame

aragonese


1784




0,0036



Cavallo
Napoli
Moneta
Rame

aragonese

1784
1814




0,0035



Centesimo
Napoli
Moneta










1/100



Doppio
Napoli
Moneta
Oro
5,869






4

18,3200



Ducato
R2S
Moneta
Argento




1865
10


100




Ducato
RD'Italia

Moneta




1865





4,2500



Grano
Napoli

Moneta




 1784


12


0,0437
3,0000
2

Grano
Napoli

Moneta




1784
1814




0,0425


€ 30,00
Lira
Napoli

Moneta
Argento





2 e 34/100







Grana / soldo
Napoli

Moneta
Argento

aragonese


1813

12




2

Grana / soldo
Napoli

Moneta





1814

10






Tari
Napoli
Moneta


araba






20
0,8737

40

Tornese
Napoli
Moneta






  1/20
6

 1/2




Tornese
Napoli
Moneta




1784
1814




0,8497



Zecchino*
Napoli
Moneta
Oro
2,907

1284











* Moneta veneziana in oro, ma valida anche nel Regno delle due Sicilie.
Con il doge Francesco Venier (1554 – 1559) la moneta si chiamò, per la prima volta, zecchino anche pubblicamente.
In questo periodo valeva 7 lire e 12 soldi.
Furono emesse sia frazioni da mezzo e da un quarto di zecchino, che multipli da 2, 3, 10, 12, 100 zecchini.
Dopo la caduta della Repubblica ci furono alcune emissioni effettuate dagli Austriaci, a nome dell'Imperatore Francesco II.
Il dritto mostrava il doge inginocchiato davanti a San Marco, il rovescio l'immagine di Cristo.
Il contenuto in oro dello Zecchino veneto varia leggermente a seconda del periodo ma era pari a 3,494-3,559 grammi d'oro
 praticamente puro (997‰).
All'inizio del XVII secolo a Venezia fu coniato uno Zecchino d'argento dal valore di 10 lire


Carlino o Saluto


Cavallo

Cavallo


Il più noto tornese coniato in Italia è il tornese napoletano. Fu una moneta di rame emessa dagli Aragona a Napoli alla metà del XV secolo e battuta fino al 1861.
Le prime monete emesse recavano l'immagine del re seduto di fronte sul trono e la croce di Gerusalemme al rovescio. Furono emessi anche in altre zecche del regno: BarlettaGaeta,CapuaCosenzaIserniaLecce ecc.
Valeva 1/20 di carlino o 6 cavalli.
Il sistema completo era così articolato:
ducato = 5 tarì
tarì = 2 carlini
carlino = 10 grana
grano = 2 tornesi
1 tornese = 6 cavalli.
Il tornese di Carlo di Borbone (1734-1759) recava al rovescio le scritta "HILARITAS" su tre righe. La moneta da tre tornesi era chiamata anche "Publica" per la scritta "PVBLICA LÆTITIA" che recava al rovescio.
La moneta da tre tornesi di Ferdinando IV aveva invece la scritta "PVBLICA COMMODITAS". Sulla moneta da un tornese era scritta l'indicazione del valore "TORNESE CAVALLI VI" su quattro righe. Furono coniate anche monete da 10, 8, e 5 tornesi, tutte di rame.
Durante la Repubblica Napolitana del 1799 furono coniate due monete da 6 e 4 tornesi. Entrambe recavano al diritto il fascio consolare sormontato dal berretto frigio.
La seconda monetazione di Ferdinando IV (1799-1805) presenta monete da 6 e 4 tornesi. Sulla moneta da un tornese c'era l'indicazione del valore in cavalli.
Durante i regni di Giuseppe Bonaparte (1806-1808) e di Gioacchino Murat (1808-1815) non furono emessi tornesi.
Con il ritorno al trono di Ferdinando e con la sua terza monetazione, quelle del 1815 e del 1816, furono coniate monete da "OTTO TORNESI" e da "CINQUE TORNESI".
Con la quarta monetazione, emessa dopo il 1816, quando Ferdinando riunì i due regni e prese quindi il nome di Ferdinando I, furono emesse monete da dieci, otto, cinque e quattro tornesi. La moneta da un tornese fu emessa solo nel 1817 ed era la moneta di minor valore coniata.
Francesco I (1825-1830) emise solo le monete da 10, 5, 2 tornese e quella da "TORNESE UNO", mentre Ferdinando II (1830-1859) coniò quelle da 10, 5, 3, 2, 1 1/2 da 1 e da 1/2 tornese. Su tutte le monete il valore era espresso in lettere.
L'ultimo Borbone di Napoli, Francesco II (1859-1861), durante il breve regno, coniò monete da 10, 5 e 2 tornesi.


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