lunedì 2 settembre 2013

L’arriffatore o arriffatrice

La riffa era un piccolo gioco come quello del lotto. Permetteva di vincere qualche premio che po- teva variare dal cibo all’abbigliamento, dall’uovo di Pasqua o dai prodotti per il cenone natalizio o di capodanno o alla Befana importante per i figli dei clienti e a chi la conduceva di acquisire un po' di soldi per la propria sopravvivenza fatto salvo il capitale impegnato da riutilizzare per la successiva.

Chi la proponeva lo faceva in prossimità di feste, di momenti economici un po’ difficili, in prossimità del periodo degli sposalizi o delle comunioni o quando i prodotti messi in palio avevano prezzi che non potevano essere abbordati se non per piccole quantità.

Era l’arriffatore a proporre il premio ed era sempre qualcosa che finiva con l’interessare di più le donne che gli uomini.

Girava per il quartiere dove era conosciuta e stimata per la sua serietà nel condurre la riffa dalla quale escludeva i parenti  per non dare adito in caso di vincita a chiacchiere che avrebbero compromesso le proposte future.

Il vincitore restava sempre contento per la qualità dei prodotti che vinceva. Venivano acquistati presso negozi rinomati per i prodotti che vendevano.

Il costo del numero era rapportato al valore dell’oggetto o dei prodotti che costituivano il premio, per cui le riffe che costavano di meno offrivano un  premio che consisteva in un decimo o in un quinto dei soldi raccolti.

L’arriffatore che dava poco in cambio dei soldi raccolti aveva vita breve per cui erano le donne, per il loro equilibrio morale e la loro fermezza nel condurlo le più adatte per questo mestiere che veniva abbinato o all’estrazione settimanale del lotto o, se si trattava di prodotti freschi, come verdura, carne, pesce,  veniva effettuata nel luogo indicato non appena i novanta numeri erano stati esauriti.

Certe volte erano gli stessi partecipanti alla lotteria a suggerire le cose da mettere in palio per cui si poteva vincere dell’olio extravergine di oliva o dell’ottimo vino prodotto in zona, un abito un scialle, un oggetto d’oro che doveva essere molto appariscente più che pesante.

I numeri venivano tirati fuori dallo stesso Panariello utilizzato per giocare a tombola. L’arriffatrice con una voce squillante,e anche in questa era una maestra, dopo aver girato e rigirato il Panariello e aver fatto vedere che nelle mani non aveva numeri già estratti dopo aver pronunciato la frase di rito: ‘amano è libbera e ‘o nummero è fore, rovesciava sulla mano sinistra il numero che diventava il primo estratto che recitava a voce alta da farsi sentire da quasi tutto il vicinato tanto la sua voce era robusta, ferma e squillante e assegnava il premio più importante a chi lo possedeva..

Quando il primo premio era un po’ fiacco venivano aggiunti altri premi fin dove era possibile spendere senza rinunciare al proprio guadagno e l’estrazione proseguiva fino ad esaurirli.
Quando i vincitori erano presenti i premi venivano consegnati subito altrimenti si provvedeva a farli avvisare per procedere alla consegna. Mai un premio veniva dimenticato anche se il valore non raggiungeva quello del primo.

I prodotti erano tutti di buona qualità in particolar modo quelli alimentari e quelli che erano destinati a durare nel tempo.

Quando l’arriffatore usciva dal proprio quartiere al cliente veniva dato un biglietto mentre sulla matrice era annotato il nome e cognome in quanto di maria e concettina, annarella ecc. ce ne erano tante e non si poteva questionare per una cosa seria ma stupida a un contempo.

Nel dopoguerra c’erano donne che procuravano alla famiglia un guadagno consistente che permetteva di vivere degnamente per una buona parte dell’anno fino a quando si poteva ricorrere ad altri mestieri anch’essi ambulanti e stagionali senza quel fascino che la riffa portava con sé.

                                                                                                            Gioacchino Ruocco

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