venerdì 3 ottobre 2014

LIMARZI - Le radici e le ali




BENE ARRIVATI!Ciao a tutti.Il viaggio è stato lungo, lo so. Lo è stato anche per me.
Eppure i nostri nonni sono tutti partiti dallo stesso posto: una piccola, minuscola
contrada di un piccolo borgo della Calabria del '700.

Siamo i Limarzi appunto.

Chi si è connesso a questa pagina lo ha fatto da qualche angolo dell'Italia, dell'Argentina,
del Canada o degli Stati Uniti dopo che il suo sangue ha seguito il destino, le peripezie e l
e peregrinazioni dei nostri avi.

Ma, ora che ci si può incontrare qui, sarà bello dare un caloroso benvenuto a tutti quelli
che vorranno partecipare! Perchè riscoprire le nostre radici ci aiuterà a fare quello che
abbiamo sempre fatto: guardare avanti.SILVIO
Ah... dimenticavo! Quella minuscola contrada del borgo di Rogliano si chiamava
"Contrada Li Marzi" ed ora è sempre lì: un paese di nome Marzi nel profondo della Calabria.

 Prima o poi ci andrò...


sabato 2 novembre 2013


INDICE

LE ORIGINI DELLA NOSTRA FAMIGLIA

- Nicolò Marzi (1705 - 1769)
- Vincenzo Marzi (1739 - 1772)
Pasquale Li Marzi (1769 - 1807) - Storia di un giustiziato
- Raffaele Limarzi (1805 - 1863)

Li Marzi o Limarzi? Considerazioni sul nostro cognome

FRANCESCO LIMARZI (1837 - 1908)

Brevi cenni biografici
Storia di Francesco e della sua Divina Commedia
Francesco e l'Unità d'Italia
L'inizio della poesia
La Divina Commedia - La traduzione e il commento
"Cronache estive di Castellammare" - Francesco in un romanzo
Francesco al processo al Brigante Musolino
Come ordinare una copia della Divina Commedia

La famiglia Limarzi a Castellammare
La moglie: Giovanna Altomare

I FIGLI DI FRANCESCO

MARIA LAURA LIMARZI (Marzi 1858 - ?)
Brevi cenni biografici

RAFFAELE LIMARZI (Marzi 1860 - Bologna 1942)
Brevi cenni biografici
Raffaele ed Antonietta

EUGENIO LIMARZI (Marzi 1862 - Buenos Aires 1948)
Brevi cenni biografici

EGIDIO LIMARZI (Castellammare di Stabia 1872 - Castellammare di Stabia 1872)

ADOLFO LIMARZI (Castellammare di Stabia 1873 - Castellammare di Stabia 1956)
Brevi cenni biografici

SILVIO LIMARZI (Castellammare di Stabia 1876 - Meldola 1950)
Brevi cenni biografici
Pia Limarzi Vollono
Laura: una scoperta inaspettata
Giuseppina Limarzi Vollono

UMBERTO LIMARZI (Castellammare di Stabia 1878 - Roma 1946)
Brevi cenni biografici


STORIE DI OGGI
Lontano ma non troppo - Il primo viaggio a Marzi
Una piccola "Reunion"
Dante Limarzi - L'ultimo arrivato - Benvenido al mundo!
E' nato Francesco Limarzi!


STORIE DI ALTRI LIMARZI
Marzi - Chicago viaggio di sola andata


martedì 22 ottobre 2013


FRANCESCO AL PROCESSO AL BRIGANTE MUSOLINO

"Il 15 aprile è cominciato alle Assise di Lucca il processo contro il brigante Musolino, che si prevede molto semplice: infatti il bandito ha confessato apertamente di avere ucciso dodici o quattordici persone per vendetta. E' difeso da dieci avvocati mentre uno solo rappresenta i genitori dei carabiniere Ritrovato, ucciso da Musolino, che si sono costituiti parte civile. E' interessante segnalare la presenza di un interprete, che traduce il dialetto calabrese dei testimoni."
(Da "La Domenica del Corriere" - Maggio 1902)




CHI ERA GIUSEPPE MUSOLINO?
Taglialegna di mestiere, la sua storia iniziò il 28 ottobre 1897 quando scoppiò una rissa rusticana nell'osteria della Frasca, a Santo Stefano in Aspromonte per una partita di nocciole: da un lato Musolino e Antonio Filastò, dall'altro i fratelli Vincenzo e Stefano Zoccali, oltre ad una terza persona mai identificata. Una rissa come tante: ma, il giorno dopo, in una stalla del paese (dove successivamente venne trovato il berretto di Musolino), qualcuno sparò a Vincenzo Zoccali che rimase ferito. Ben presto intervenirono i carabinieri che, dopo aver arrestato il Filastò ed un tale Nicola Travia, bussarono invano alla casa di Musolino che nel frattempo si era dato alla fuga. Di lì a sei mesi Musolino venne comunque rintracciato e arrestato dalla guardia municipale e tradotto a Reggio Calabria.

Primo processo

Il 24 settembre 1898 venne processato per tentato omicidio davanti alla Corte d'Assise di Reggio Calabria, che lo condannò (ingiustamente e con prove false secondo la leggenda) a 21 anni di carcere.
Sempre proclamatosi innocente, promise vendetta ai suoi accusatori ai quali avrebbe giurato che un giorno "avrebbe letteralmente mangiato il fegato e che ne avrebbe venduto la carne come animali da macello".

Carcere e latitanza

Venne condotto e recluso nel carcere di Gerace Marina, l'odierna Locri, ma dopo due anni, nel gennaio 1899, riuscì a fuggire iniziando così la sua latitanza durante la quale si rese responsabile di una lunga serie di assassini fra i quali quelli di coloro che l'avevano accusato e tradito.
I suoi rifugi furono le montagne, i boschi, e persino i cimiteri con il costante sostegno della gente del posto che lo vedeva come simbolo dell'ingiustizia in cui la Calabria allora versava. In totale nei primi 8 mesi dalla fuga si macchiò di 5 omicidi e 4 tentati omicidi oltre che di un tentativo di distruzione con dinamite della casa di Zoccali.
Iniziò così una rocambolesca caccia al brigante che vide costantemente Musolino sfuggire alla cattura.
La sua notorietà in poco tempo si sparse in tutta Italia grazie a lunghi articoli sulla stampa italiana e varcò i confini nazionali al punto che importanti giornali stranieri (The Times, Le Figaro) iniziarono a interessarsi della vicenda. La sua figura così divenne leggendaria e le sue gesta divennero uno spunto per racconti, leggende e canzoni popolari.
Nonostate gli importanti appoggi nell'area calabrese però, per Musolino la situazione stava diventando difficilmente sostenibile. Fu probabilmente questo che lo portò alla decisione di lasciare nel 1901 la Calabria animato dall'ambizioso progetto di a chiedere la grazia al nuovo re Vittorio Emanuele III.

La cattura

Il processo di Lucca in una tavola dell'epoca

Il suo viaggio verso nord si interruppe nell'ottobre di quel medesimo anno quando venne catturato per caso ad Acqualagna (in provincia di Pesaro Urbino) da due carabinieri ignari della sua identità  che si trovavano nella zona alla caccia di alcuni banditi del luogo: mentre stava percorrendo un viottolo di campagna alla vista dei militari, Musolino cominciò improvvisamente a correre credendo di essere l'obiettivo delle loro ricerche. Inseguito durante la sua fuga inciampò su di un filo di ferro di un filare di viti, cadde e venne fermato.

Da qui divenne famosa la frase:"Chiddu chi non potti n'esercitu, potti nu filu" (Quello in cui ha fallito un esercito, c'è riuscito un filo).
Nel pubblicare la notizia dell'arresto alcuni giornali stimarono che il governo avesse speso per la sua cattura la cifra, astronomica per l'epoca, di un milione di lire.

Il secondo processo e la condanna

Il processo inizia il 14 aprile del 1902 alla Corte d'Assise di Lucca. Musolino chiede di essere difeso dai migliori avvocati d'Italia del tempo (Corriere della Sera - 22/23 gennaio 1902) che comunque non gli evitarono l'ergastolo che incominciò a scontare nel carcere di Portolongone. La sentenza viene emanata l'11 luglio 1902.
Resta in carcere fino al 1946, quando gli verrà riconosciuta l'infermità mentale con il conseguente trasferimento presso il manicomio di Reggio Calabria dove muore dieci anni dopo il 22 gennaio 1956.
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A Lucca, nella primavera del 1902, non si tenne un processo qualunque. Al contrario e senza ombra di dubbio si trattava del processo al più grande ricercato che l’Italia unita potesse sino ad allora ricordare: il brigante Musolino. Giuseppe Musolino, nato in Santo Stefano d’Aspromonte (Reggio di Calabria) il 24 settembre 1876, di professione taglialegna, era divenuto, a ragione o a torto, una specie di Robin Hood della Calabria, un archetipo per le popolazioni del sud Italia che sentivano tradite le fragili speranze che il vento del Risorgimento aveva loro portato.

Su di lui si sprecarono e si sprecano ancora oggi fiumi di inchiostro per sgrovigliare la matassa della sua vita, sempre in bilico fra l’essere considerata quella di un eroico brigante, piuttosto che quella di un sanguinoso assassino. Del resto era questa la ragione del contendere che animava le opposte fazioni anche durante quel procedimento che, vuoi per l’atteggiamento istrionico tenuto dall’imputato durante le udienze, vuoi per la copertura impressionante che i giornali italiani e stranieri gli riservarono, diventò un vero e proprio evento accompagnato da dispute nei bar, ma anche di mondanità (“Le donne s’innamorano del brigante e gli alberghi erano affollati di forestieri che volevano seguire le fasi del processo”  - Corriere della Sera).

Ma, mentre infuriava la polemica per tanta mitizzazione di quello che molti consideravano un semplice assassino, in uno di quegli alberghi strapieni se ne stava Francesco. Era lui quell'interprete di cui parlavano gli articoli, indispensabile in un processo nel quale la lingua italiana, ancora sconosciuta a una grossa parte delle popolazioni del sud, finiva spesso soppiantata dal dialetto. Del resto non c'era altra strada (vista la gran mole di testi e testimoni calabresi chiamati a deporre) per fare in modo che giudici e avvocati potessero avere una adeguata percezione di quanto veniva detto in aula.

A tutto questo venne dedicato anche una intera pagina de "La Domenica Del Corriere" del 4 maggio 1902. Era da un po' che ricercavo la copia di questo settimanale, ma non immaginavo che, una volta rintracciata, vi avrei trovato dentro anche una foto di Francesco. E invece eccola qua: 











E’ del tutto evidente che, per essere chiamato sino a Lucca dalla sua Castellammare e per essere stato scelto per un compito così delicato (per di più sotto gli occhi dell’intera opinione pubblica italiana), Francesco doveva per forza essere considerato uno dei più validi custodi della lingua Calabrese vivente a quei tempi. Il tutto nonostante egli avesse lasciato la sua terra di origine da ormai quarant'anni.

Il processo inizia il 14 aprile del 1902 alla Corte d'Assise di Lucca. Musolino chiese di essere difeso dai due migliori avvocati d'Italia del tempo (Corriere della Sera 22-23 gennaio 1902). L'imputato si rifiutò, non senza vanità e per non dare una cattiva idea di sé all'opinione pubblica, di indossare gli abiti da carcerato, avrebbe detto secondo le cronache del tempo:
Ho un abito di sedici lire il metro, e lo voglio indossare! Io sono un uomo storico e non un delinquente qualunque bisogna perciò usarmi riguardo!". 

Alla fine del dibattimento pronunciò questa autodifesa:
"Se mi assolveste, il popolo sarà contento della mia libertà. Se mi condannaste, fareste una seconda ingiustizia come pigliare un altro Cristo e metterlo nel tempio. Eppoi, vedete, io non sono calabrese, ma di sangue nobile di un principe di Francia. Chi condannate? Un cadavere, perché io posso avere cinque o sei mesi di vita al più".

Parole che divennero celebri ma che comunque non gli evitarono l'ergastolo nel carcere di Portolongone e otto anni in segregazione cellulare. La sentenza venne emanata l'11 luglio 1902.

Nel 1946 ben 44 anni di prigionia gli valsero la grazia, ma non la libertà visto che la sua mente aveva da tempo ceduto alla follia. (vedi cinegiornale dell'epoca)


Come già citato nelle sue note biografiche venne per questo rinchiuso nel manicomio di Reggio Calabria ove passò altri 10 anni sino alla sua morte avvenuta il 22 gennaio 1956.

Nel frattempo l'eco della sua avventura di vita non mancò di ispirare decine di canzoni popolari e di poesie (fra le quali quelle di Giovanni Pascoli e di Totò) e un famosissimo film che ebbe per protagonisti, nel 1950, i due più importanti attori dell'epoca: Silvana Mangano e Amedeo Nazzari
Questo quindi è un altro pezzo della nostra storia al quale Francesco ha partecipato. Merito della sua riscoperta va a mio cugino Silvio e al caro zio Nino (Giovanni). Silvio infatti si è ricordato che Nino aveva visto, trasmesso dalla Rai un documentario sul famoso brigante e sul suo ultimo processo. Durante il programma venne più volte fatta menzione della presenza di un traduttore dal Calabrese. Ora, non so se per intuito o se perché sapesse già qualcosa, mio zio scrisse alla televisione di stato chiedendo quale fosse il nome del traduttore. La Raipuntualmente gli restituì una risposta che recava il nome di Francesco. 

La foto ce lo consegna molto invecchiato rispetto a quella più famosa scattata a Castellammare risalente a circa vent'anni prima (già pubblicata in questo sito). La barba bianca è divenuta ancora più lunga, ma Francesco, come si conviene all'evento, è elegantissimo con tanto di bombetta. E, ancora una volta con gli inseparabili occhialini che quasi tutti abbiamo ereditato in famiglia assieme ai suoi difetti di vista.




SILVIO LIMARZI

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martedì 1 ottobre 2013


MARIA LAURA LIMARZI

Maria Laura (sempre chiamata semplicemente "Laura") è la primogenita di Francesco Limarzi. Nasce a Marzi il 20/08/1858 nella casa di contrada Marella.


Il certificato di nascita di Maria Laura all'anagrafe di Marzi

Entrò in convento, presumibilmente giovanissima come usava in quegli anni e divenne suora. Di lei si conosce poco altro se non la sua triste e prematura fine, da sempre tramandata e raccontata in famiglia: un brutto incidente mentre stava prendendo un treno, una brutta ferita  o una frattura ad una gamba che poi, conseguenza frequente per casi del genere a quel tempo, degenerò in cancrena e ne causò la morte.

Oltre a questo racconto di lei ci rimane una foto con il velo che, ancora una volta, rivela tratti famigliari.

Foto ricevuta da Marco Limarzi



lunedì 10 settembre 2012


PASQUALE LI MARZI - Il nonno di Francesco

MARZI 1769 - COSENZA 1807

Pasquale Li Marzi a Marzi faceva il calzolaio. Lì si era sposato con Caterina che di cognome faceva Tucci. Non so esattamente quanti figli avessero, ma di sicuro il 19 giugno 1807 giorno in cui lui morì a Cosenza a casa scorazzavano almeno due bambinetti: Domenico di cinque anni e Raffaele che avrebbe compiuto i suoi primi due anni di lì ad un paio di mesi. Chissà se il piccolo  Raffaele, che sarebbe diventato il mio trisnonno, nella sua vita ha avuto memoria di quel padre che armeggiava con cuoio e pellami nella sua bottega. Marzi del resto era molto nota per l'abilità dei suoi artigiani: conciatori e lavoratori della pelle, calzolai, scalpellini e intagliatori le cui opere si conservano ancora oggi nelle chiese e nei palazzi del centro storico.  Ma, soprattutto, chissà cosa ha pensato quando, crescendo, ha avuto l'età per capire come è morto suo padre.

Perché questa non è la consueta triste storia di genitori o di figli che muoiono troppo presto "perchè un tempo era normale così". Pasquale morì  a 38 anni, decisamente troppo presto è vero, ma di una morte che non era normale, in un posto che non era il suo, lontano da tutti quelli che gli volevano bene. Lontano da tutti meno che uno: al suo fianco c’era suo fratello Stefano di appena due anni più grande. Morirono entrambi perché si erano ribellati ed è per questo che li hanno giustiziati.

A un certo punto, infatti, nelle loro terre e nella loro vita erano calati dei nuovi occupanti che avevano rotto ogni equilibrio utilizzando ogni mezzo e ogni forma di violenza per impadronirsi del territorio: i francesi.
Non che prima con i Borboni la vita fosse un granché, per carità! Anche quella era pur sempre una dominazione, ma perlomeno si era riusciti a raggiungerlo quell'equilibrio che, sia pure precario e del tutto relativo, rendeva non così opprimente e pesante la loro presenza. Ora invece c'erano questi nuovi stranieri che erano arrivati, trattando tutti da bifolchi e sottosviluppati, con la volontà di imporre i propri sistemi e le proprie leggi senza fare leva sulla loro bontà e utilità (che pure in qualche caso non mancava), ma semplicemente applicandole con la forza. Il tutto senza nemmeno che le popolazioni comprendessero la loro lingua.

Quel Napoleone, che stava conquistando l'intera Europa, aveva spedito il fratello (Giuseppe Napoleone) a sbrigare la pratica del sud Italia nominandolo re di Napoli e di Sicilia. Ma, soprattutto in Calabria, aveva un po’ sbagliato i suoi conti. Ovunque c'erano focolai di rivolta, e forse il termine "focolaio" è riduttivo. Città intere si ribellavano e le truppe francesi erano costantemente impegnate in durissime battaglie con continui capovolgimenti di fronte. Alla fine i francesi ne risultarono vittoriosi, ma non si poterono mai dire completamente padroni della regione. Nel gennaio 1807 posero sotto assedio Amantea incontrando una durissima resistenza e pagando a carissimo prezzo l'entrata nella città.
Nei successivi mesi del 1807 l'esercito francese riesci a domare in qualche modo le numerosissime insurrezioni e rivolte dei “briganti” calabresi, ma non raggiunsero mai, di fatto, il pieno controllo del territorio.

Anche a Marzi e nella vicina Rogliano quel vento di rivolta era passato e fra i promotori c'erano il nostro Pasquale e il nostro Stefano. Detto per inciso, se da un lato Pasquale faceva il calzolaio, dall'altro non è che di suo nemmeno Stefano alle spalle avesse propriamente il curriculum del rivoluzionario, visto che era un semplice mulattiere. Eppure nel luglio 1806 decisero di prendere le armi e assieme cercarono di organizzare l'insurrezione per contrastare quel nemico calato da chissà dove. Ma non funzionò. La rivolta venne soffocata nel sangue, Marzi venne inserito fra i paesi “sedati” e, circa un anno dopo, il destino presentò il conto ai due. Inizialmente non sapevo che rapporto c’era fra di loro (nulla risulta dagli atti del procedimento), ma so che il 18 giugno 1807 si trovavano a Cosenza , al palazzo dell’Intendenza “liberi e senza ferri, accompagnati dal loro Avvocato Ufficioso”ad affrontare un processo sommario che sapevano già come sarebbe andato a finire. La commissione militare che doveva giudicarli li interrogò sulle loro generalità e

“Dopo di aver palesato a’ pervenuti i fatti a suo carico, di avergli interrogati per l’organo del Presidente e, di aver inteso separatamente li testimoni a’ carico, li quali sono stati pubblicamente confrontati; Udito il relatore nel suo rapporto, e conclusioni, e gli occupati ne’ mezzi di difesa tanto da loro medesimi, che dal loro Avvocato Ufficioso, ed avendo gli uni, e li altro di non avere altra cosa da aggiungere; il presidente ha domandato a’ membri se avessero delle osservazioni da fare, e sulle loro risposte negative ha ordinato agli occupati, ed all’Avvocato di ritirarsi; quelli sono stati ricondotti per scorta nella Prigione….”

La Commissione Militare deliberando a porte chiuse ha proposto la quistione seguente:
Li denominati Stefano Li Marzi e Pasquale Li Marzi, accusati come di sopra, sono eglino colpevoli?
Le voci raccolte, cominciando dal grado inferiore, il Presidente avendo posto la sua opinione ultima, la Commissionedichiara all’unanimità che sono colpevoli.

…condanna all’unanimità li denominati Stefano Li Marzi e Pasquale Li Marzi alla pena di morte… Incarica al Capitano Relatore di leggere questa sentenza a’ condannati in presenza della Guardia riunita sotto le armi, di farla eseguire tra 24 ore….”


LA SENTENZA







Pasquale e Stefano morirono, decisamente troppo presto, vittime di quell’ennesimo popolo straniero che aveva deciso che la Calabria era cosa sua e non di chi ci viveva. Vennero impiccati, il giorno stesso o più presumibilmente il giorno dopo, il 19 di giugno del 1807 nella stessa Cosenza in quella che prese (non a caso) il nome di Via delle Forche Vecchie. Spero almeno che abbiano avuto il tempo di salutarsi per l’ultima volta.
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VIA DELLE FORCHE VECCHIE
(Attualmente tratto iniziale di via XXIV Maggio) La zona fu per anni luogo di esecuzione, per impiccagione (forca) e per fucilazione, di briganti e banditi. Durante l'occupazione francese, dal 20 agosto del 1806, quotidianamente, da nove a dieci condannati vi vennero impiccati o fucilati. Allorché, nel 1821, ritornati i Borboni, si volle mutare il luogo delle esecuzioni, il Decurionato cittadino protestò presso il Procuratore Generale della Gran Corte Criminale di Calabria Citra per aver interrotto la consuetudine. Inutilmente: le forche diventarono... vecchie.
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Sulla morte di Pasquale c'è un documento che ci racconta tante cose:
"...morì sospeso nel patibolo innanzi al Convento dei Conventuali,
ed il cadavere di lui fu sepolto dentro la chiesa dello stesso
monistero, sotto il titolo delle Grazie...."

Si tratta di un certificato reso, nel 1823, dal Parroco della Chiesa della Sanità di Cosenza contenente la trascrizione dell'atto di morte di Pasquale. Il tutto in occasione del matrimonio a Cropalati del suo primogenito Domenico che, trovandosi per ovvi motivi impossibilitato ad avere il consenso del padre alle nozze (cosa assolutamente obbligatoria per l'epoca), ha dovuto dimostrarne il decesso.
Domenico Limarzi, per la cronaca, morì a Cropalati (sua nuova terra d'adozione) come "custode delle carceri": non male per il figlio di un brigante.....

La salma di Pasquale, quindi, venne per carità cristiana raccolta dai monaci dell'adiacente convento e, certamente seguendo il destino di tanti altri giustiziati, sepolta nella loro chiesa.

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MONASTERO DEI CARMELITANI
Nei pressi della vecchia Stazione ferroviaria, edificata su un precedente Monastero dei Carmelitani, la Chiesa dedicata alla Madonna del Carmelo affianca l'ex Convento dei Carmelitani in piazza XX Settembre. L'Ordine dei Padri Carmelitani dell'Antica Osservanza giunse a Cosenza sotto l'Arcivescovo Fantino Petrignano.. Durante il presulato dell'Arcivescovo Alfonso Castiglion Morelli (1643-1649), per beneficienza di Lelio Donato, essi fondarono la loro Chiesa, annessa al Monastero. 
Il Monastero venne soppresso nel 1783 e l'Ordine abbandonò Cosenza, rientrandovi nel 1796. Dopo la definitiva soppressione, avvenuta nel 1809, il Monastero venne adibito a sede della Guardia Provinciale. Nel 1814 la Chiesa fu concessa all'Ospedale Civile dell'Annunziata, in quel tempo sito in via Rivocati; nel 1825 la censualità della Chiesa venne concessa, in cambio di un canone annuo, al Comune di Cosenza. Nel 1855 il Monastero fu ceduto dal Comune al Consiglio Generale degli Ospizi, perchè venisse adibito ad ospizio di trovatelli. Dopo il 1860 fu adattato ad ufficio militare e in seguito a sede del Comando dei Carabinieri. Attualmente è sede della Caserma dell'Arma intitolata a Paolo Grippo .

Negli anni immediatamente successivi ai fatti il monastero venne soppresso e tutti i registri vennero trasferiti alla Chiesa della Sanità. Questo spiega la provenienza del manoscritto

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Ai giorni nostri il monastero ha preso quindi ben altre destinazioni, mentre la chiesa è ancora aperta al culto sia pure pesantemente restaurata e "modernizzata". Impossibile trovare alcuna traccia della salma del nostro antenato che però di sicuro giace ancora lì, "sotto il titolo delle grazie" probabilmente assieme a quella di tanti compagni di sventura e sicuramente al  fianco di quella del fratello Stefano.
Che Pasquale e Stefano fossero fratelli non era peraltro scontato, visto che non si desume da alcun atto processuale. Ma di questo ho trovato conferma dalla trascrizione di un manoscritto marzese contenuto nella biografia di un notabile del luogo (Giovabattista de Gattis). In questo manoscritto si parla con amarezza di tanti “onesti cittadini” di Marzi condotti al patibolo a seguito di delazioni fatte ad opera di un compaesano senza scrupoli, Domenico Tano, allo scopo di aumentare ulteriormente la propria influenza sul paese. Influenza che, sempre secondo il manoscritto, gli derivava da una certa connivenza con gli occupanti francesi. Era proprio grazie a questi suoi torbidi rapporti con i potenti di turno che Domenico Tano si era progressivamente ritagliato una posizione di potere nella propria terra.
Ma il contenuto del manoscritto si spiega da sé:

“Se si vorrebbe oggi giudiziariamente dimostrare, si troverebbe che  Pasquale e Stefano Li Marzi fratelli germani, Fortunato Garofalo, Matteo Mannella, Stefano e Giuseppe Costanzo, Pasquale Tucci, Domenico Tucci, Domenico Filosa, Vincenzo Scaglione di Vercillo, i fratelli Costanzo alias ‘Pitazzo’ e tanti altri della Comune di Marzi ….(omissis – seguono altri nomi di cittadini di altri paesi limitrofi) …che formavano la miglior gente del Paese e Circondario vennero menati alle forche come briganti e defensori del nostro Augusto Sovrano.
Per cui ne restò gemente, oltre agli altri paesi del Circondario, la nostra Comune di Marzi.
I beni di coloro, immediatamente sequestrati, si percepivano dal Tano, senza darne conto a chicchessia, e le vedove,  ed i pupilli dei disgraziati andavano mendicando per la Patria.
Verità notorie che la Comune de’ Marzi offre di provare a sue spese; oltre a ciò, qualsiasi persona che ne sarà domandata, non sarà che per affermarlo, essendo noto a tutti.”

Il manoscritto è redatto tra il 1829 e il 1830 quando al potere erano già da tempo ritornati i Borboni.
Pochi giorni dopo l’esecuzione di Pasquale e Stefano infatti, il 15 luglio 1807 Gioacchino Murat viene nominato re di Napoli al posto di Giuseppe Bonaparte, divenuto re di Spagna. Ma non sarebbe durata a lungo. Ben presto sorse in Calabria la Carboneria, la società segreta di insurrezione che presto si diffonderà in tutta Italia ed in Europa che di fatto finì per agevolare il ritorno dei Borboni stessi. Il 7 giugno 1815 Re Ferdinando di Borbone rientra in Napoli e si proclama re delle Due Sicilie col nome di Ferdinando IV di Napoli e, il 13 ottobre 1815 aPizzo, Murat venne fucilato.

Questa testimonianza storica così diretta ha il merito di ricordarci che per la famiglia di un condannato a morte la sofferenza per una così tragica e terribile perdita di un congiunto non era abbastanza. C’era da mettere in conto anche l’emarginazione sociale e la perdita economica di tutti i beni.
Ma la famiglia di Pasquale seppe uscire da questa difficile condizione. Sia Domenico che Raffaele, pur senza il padre crebbero e misero su famiglia.  
Raffaele arrivò anche ad essere prima decurione e poi, sia pur solo per qualche mese, sindaco supplente di Marzi. Di certo non poté fare a meno di provare una profonda inquietudine quando il suo giovane figlio Francesco si ritrovò, appena mezzo secolo dopo, nella stessa situazione di quel padre che aveva potuto abbracciare solo per poco. Garibaldi stava arrivando e anche Francesco aveva davanti a sé, esattamente come suo nonno, le classiche due scelte: una facile ed una difficile. Seguendo quella facile se ne sarebbe lavato le mani o addirittura, come Domenico Tano, avrebbe aspettato di vedere da che parte tirava il vento per poi cercare di sfruttare e compiacere il potente di turno per il proprio tornaconto personale.
Ma ce n'era anche un'altra, quella più difficile: tentare cioè di costruire un mondo migliore. E Francesco come Pasquale lo voleva un mondo migliore, lo voleva per sé e per i propri figli e  non esitò anche lui a prendere le armi per provare a costruirlo. Il momento di liberarsi anche dei Borboni era arrivato, in nome di un’Italia unita e, soprattutto, più libera.
Meno male che, stavolta, l’epilogo fu diverso dal precedente.

La storia certamente si sarebbe compiuta anche senza il sacrificio di Pasquale e Stefano o il coraggio di Francesco, ma a me piace pensare che un pur piccolo, minuscolo  mattone di quel mondo libero nel quale, solo per fortuna e senza alcun merito, mi sono trovato a vivere, ce l’hanno messo Pasquale e Stefano con il loro sangue e Francesco con il suo ardore.


SILVIO LIMARZI

venerdì 13 luglio 2012


AGGIORNAMENTI

MARZI - CHICAGO VIAGGIO DI SOLA ANDATA

La storia del viaggio di Luigi e Palma Limarzi verso il nuovo mondo si arricchisce di altri particolari e dettagli. Il post è stato integrato con:

- UN EPISODIO: MARZI 13 FEBBRAIO 1881 - ASSALTO AL MUNICIPIO -
- UNA FOTO: FRANCESCA E CARMELA LI MARZI (un grazie a Fabrizio Perri) -
- UN DOCUMENTO: GIUSEPPE E MARIA SPOSI A CHICAGO -

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venerdì 30 marzo 2012


UNA PICCOLA "REUNION"

Ed ecco finalmente qualche foto di gruppo dei giorni nostri!
Il mese di marzo è stato un mese estremamente doloroso e complicato per la nostra famiglia, in particolare per me e per i miei genitori. Lo è stato talmente tanto che non sono in grado di parlarne serenamente qui. Forse lo farò più avanti, chissà...

Ma, proprio nella famiglia e grazie ad essa, abbiamo trovato la forza e la voglia di tornare a sorridere in un pomeriggio romano. Lo abbiamo fatto stringendoci al fianco di mia nipote Elena, figlia di mia sorella Laura, che ha scelto di diventare suora missionaria.

Rivedendo queste foto mi sento fortunato ad avere attorno a me i miei splendidi cugini. E vale non solo per quelli che si vedono qui, ma anche per quelli che non c'erano, ma che in questi giorni ci sono stati. Merito di quello che ci hanno trasmesso i nostri padri che, come noi, magari si vedevano poco ma, quando era necessario, si sarebbero tirati nel fuoco l'uno per l'altro.
Onore a loro e a come ci hanno insegnato con la semplicità, la generosità e l'esempio che cosa vuol dire essere dei Limarzi.


Da sinistra: Marco, Silvio, Elena, Ornella, Silvio, Assunta, Maurizio, Federica, Francesca, Sofia, Ilaria
 

ROBA DA UOMINI....

Marco Limarzi - Maurizio Limarzi - Umberto Limarzi - Silvio Limarzi - Silvio Limarzi

Umberto, mio padre, è la memoria storica della famiglia ed è l'ultimo nipote vivente di Francesco Limarzi, il nostro capostipite. Sembra quasi di fare un salto nel tempo: in pochi possono raccontare di avere un nonno, nato nel 1837, poeta, garibaldino che ha vissuto prima dell'Unità d'Italia e che ha combattuto per essa. Lo "scavalco" generazionale è semplice: Umberto è nato nel 1933. Suo padre Silvio aveva 57 anni ed era a sua volta nato nel 1876 quando Francesco di anni ne aveva quasi 40. In tutto fanno 175 anni condensati in 3 generazioni.
E' unicamente grazie a lui e ai suoi ricordi ancora vivi, appassionati e puntuali che questo sito è potuto nascere.

....E DA DONNE!

Sofia - Ilaria - Federica - Francesca

Vabbè... e basta con roba del 1800!! Ecco qua un esempio di cosa i Limarzi sanno fare. Questo è un piccolo pezzettino della nostra penultima generazione (ce n'è già una ancora più nuova che scalpita!). Merito di Marco Limarzi e della sua Elena (per Sofia e Ilaria) e di Ornella Limarzi e del suo Alfredo (per Federica e Francesca).

martedì 24 gennaio 2012


LA DIVINA COMMEDIA ORDINABILE IN ITALIA

FINALMENTE COPIA DELLA TRADUZIONE DELLA DIVINA COMMEDIA E' ORDINABILE CON FACILITA' ANCHE IN ITALIA

Come abbiamo visto l'originale del volume della traduzione della Divina Commedia di Francesco Limarzi è reperibile, con relativa facilità, in tantissime biblioteche d'Italia. Questo, ovviamente, per la sola consultazione dell'opera.
Reperirne una copia in vendita è, per contro, impresa piuttosto complicata. Con un pò di fortuna sono però riuscito ad entrare in possesso di un originale che ho acquistato in una libreria antiquaria di Catania. Si tratta di un esemplare in ottimo stato (senza alcuna nota che ne dia conto della provenienza) del quale vado molto fiero.
Per chi fosse interessato ho anche una copia digitale in PDF che posso inviare, su richiesta, via mail. Ricordo che non ci sono problemi di copyright visto che sono decorsi gli anni necessari per porre l'opera in libera circolazione. Del resto non è che ci sarebbero stati grossi problemi, visto che il discendente diretto più prossimo a Francesco ancora in vita è.... mio padre.

Ci sono però ottime notizie per chi è a caccia della ristampa della traduzione della Divina Commedia di Francesco. Una casa editrice americana, la Nabu Press, ha provveduto a rendere disponibile una riproduzione del volume con il sistema print on demand (stampa su richiesta) e a distribuire l'opera in tutto il mondo e, quindi, anche in Italia. Qui in particolare, il sito INMONDADORI.IT è particolarmente affidabile ed efficiente: occorre registrarsi e utilizzare il mezzo di pagamento che si desidera. Io ho utilizzato la carta di credito (ma è possibile anche pagare in contrassegno o Postepay). Il volume arriva con corriere al prezzo di € 16,14 maggiorato di € 2,90 per la spedizione che si possono eliminare se l'ordine supera i 19 €. L'ordine effettuato la sera del 5 gennaio (prima di 3 giorni di festa) eppure il volume è arrivato comunque velocemente, la mattina del 13 gennaio.

Anche questa è una riproduzione del libro originale la cui provenienza è americana. Rispetto a quella di qoop.com l'edizione appare più accurata e, soprattutto, il formato delle pagine rispecchia quello originale (cosa che non avveniva in precedenza).



Come vedete la copertina è palesemente posticcia, ma sempre meglio che quella grezza e appariscente dei  volumi ordinati negli Stati Uniti. Sfogliando le prime pagine comunque compare subito quella dell'edizione del 1874. L'interno è quello solito, anche se non ci sono scritti, timbri o marchi che possano lasciare intendere la provenienza del volume originale. Nel  retro copertina una nota specifica che il libro non è protetto da diritti d'autore.


CLICCARE QUI PER ORDINARE
Se la specifica del volume non compare direttamente digitare nella casella di ricerca "Limarzi"

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Inoltre, i veri appassionati, possono ordinare nel medesimo sito alcune altre opere edite da "gente di famiglia". Si tratta di:


FORZA ITALIA - The Italian Triumph in the 2006 World Cup
Scritto da Tony Limarzi (pronipote di Adolfo Limarzi ed ex calciatore professionista del DC United) che celebra la vittoria della nazionale italiana di calcio ai mondiali di calcio del 2006.
Tony fa parte del foltissimo ramo americano del mio albero genealogico che è stata avviata da Giuseppe "Peppino" Limarzi trasferitosi nel dopoguerra all'Ambasciata Italiana a Washington.




FINGER CROSSED, LEGS UNCROSSED e MAKING DEAD ENDS MEET
Scritti da Jen LiMarzi che fa parte dell'ancor più foltissimo ramo americano dell'albero genealogico al quale appartiene Bruno Li Marzi avviato da suo nonno Giuseppe Li Marzi, emigrato negli Stati Uniti e trasferitosi a White Plains (New York) nel periodo fra le due guerre mondiali.




Analoghe considerazioni si possono fare riguardo al sito DEASTORE.COM anche se, in verità, la copertina con la quale viene fornito il volume di Francesco, è piuttosto discutibile.



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sabato 3 dicembre 2011


GIOVANNA ALTOMARE LIMARZI

(Rogliano, 20/10/1837 - Castellammare di Stabia, 28/04/1904)
Giovanna Concetta Altomare, sposa di Francesco Limarzi, era la mia bisnonna.
Le sue origini erano di Rogliano Calabro paese la cui vita politica, sociale e amministrativa, a causa di una stretta vicinanza geografica,  si è sempre intrecciata con quella di Marzi. Qui nacque qualche mese dopo Francesco e precisamente il 20/10/1837.

Suo padre Luigi, orefice, era venuto a Rogliano da San Sisto Dei Valdesi, e qui nel 1835 prese in moglie Elisabetta Mazzeisecondogenita di una famiglia di benestanti del luogo. Elisabetta il giorno del matrimonio doveva ancora compiere i suoi sedici anni.
Un orafo, una benestante e una sposa bambina: difficile allontanare, il sospetto di trovarci di fronte ad uno dei tanti matrimoni combinati che, all'epoca, erano diffusissimi fra le famiglie più abbienti di quelle zone che se ne stavano sempre impegnate alla ricerca di un "buon partito" per la propria prole. Ciò doveva servire a preservare nel tempo e, se possibile, a moltiplicare le ricchezze di famiglia.
Di sicuro c'è che Elisabetta era una giovane poco più che adolescente quando partorì la nostra Giovanna, la quale oltretutto non era nemmeno la sua primogenita. L'anno prima, infatti, era nato Antonio, di lei fratello maggiore; successivamente invece arrivarono Giovanni, Marianna e Tommaso.

Pochi mesi dopo la nascita di Tommaso però, quella madre che aveva bruciato tutte le tappe della vita se ne andò prematuramente. Accadde a soli 25 anni, nel febbraio del 1844. Giovanna ancora bambina rimase quindi senza mamma e così fu per i suoi quattro piccoli fratelli. Chi si occupò di crescerli è difficile sapere: ho cercato riscontro all'ipotesi che Luigi si fosse risposato, ma non l'ho trovato.

NOTA: non ci sarebbe stato da stupirsi della cosa considerato che, all'epoca, accadeva spesso che i giovani uomini rimasti vedovi si risposassero velocemente per poter dare al più presto una madre ai giovani figli rimasti. Ma così pare non sia accaduto.
L'unica cosa che mi fa un po' pensare è che nel certificato di morte di Giovanna verrà poi indicata come sua madre "Bettina Nicoletti". Errore grave per un anagrafe, ma soprattutto: chi era Bettina Nicoletti? Poteva essere la sua madre "adottiva"? Nessuna traccia nemmeno di questo.

Comunque, al di là del fatto che questo fosse o meno combinato, la famiglia che nacque dal matrimonio di Luigi ed Elisabetta ebbe il sicuro merito di assicurare a Giovanna e ai suoi fratelli una giovinezza, almeno sotto il profilo economico, agiata e privilegiata rispetto a tanti loro conterranei. Quanto felice, però, non è dato sapere.

Fatto sta che quella bambina, una volta divenuta giovane donna, conobbe un ragazzone marzese fresco dei suoi studi da perito geometra. Si chiamava Francesco (Francesco Limarzi per l'appunto) e faceva il verificatore metrico nel circondario. Suo padre Raffaele era ben stimato e conosciuto a Marzi e in più lui, nonostante l'età, svolgeva di già un mestiere ambito e considerato. Questo deve essere stato determinante affinché il padre di Giovanna acconsentìsse al matrimonio. Luigi Altomare accompagnò infatti di buon grado la sua figliola sull'altare della Chiesa di San Pietro a Rogliano in quel fatidico giorno in cui Francesco la prese in sposa. Era una domenica d'estate, il 19 luglio 1857; testimoni del rito furono "don" Fortunato Sicilia e "don" Nicola Gabrielli di Rogliano.

(dall'Archivio di Stato di Cosenza)


I due ragazzi sull'altare avevano tutti e due vent'anni ed una vita davanti da affrontare assieme. Francesco si portò la sua Giovanna a Marzi e qui andarono a vivere nella casa di Contrada Amarella. La stessa casa in cui videro la luce i loro primi tre figli: Maria Laura (1858), Raffaele (1860) e Giuseppe Eugenio (1862).

Il resto è storia già raccontata perché, di fatto è quella di Francesco (vedi pagina "Storia di Francesco e della sua Divina Commedia"): la storia, cioè, di una moglie che ha seguito il proprio marito sino alla fine dei suoi giorni. Probabilmente il caos di quegli anni (che portarono Francesco a combattere per l'Unità d'Italia e chissà cos'altro) determinarono una temporanea separazione della coppia, ma i due si si ricongiunsero e ricostruirono la loro vita assieme nella nuova terra di Castellammare di Stabia.
Qui Giovanna partorì non più ragazza , ma donna matura, altri quattro maschi: Egidio (1872), Adolfo (1873), Silvio (1876) e Umberto (1878). E qui morì, a 67 anni, il 28/04/1904.



SILVIO LIMARZI




UNA CURIOSITA':

L'atto di nascita di Giovanna a Rogliano reca la firma di un testimone particolare: Vincenzo Gallo detto "U Chitarraru" in quanto appartenente ad una dinastia di fabbricanti di chitarre (anche questo era un mestiere nella Calabria dell'800..).
Il nome di Vincenzo Gallo è spessissimo accostato e citato assieme a Francesco Limarzi. Entrambi poeti, entrambi considerati espressione del "vero" dialetto calabrese ed entrambi alle prese con la traduzione in calabrese della Divina Commedia. Se Francesco infatti tradusse l'intera cantica del Paradiso, Vincenzo Gallo fece lo stesso con sei canti dell'Inferno.
Insomma... la Divina Commedia era già impressa nel destino di Giovanna sin dal giorno della nascita!
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giovedì 10 novembre 2011


L'INIZIO DELLA POESIA

E' il gennaio 1872. Francesco finalmente ricompare.
L'avevamo lasciato nel pieno dei tumultuosi eventi a cavallo dell'Unità d'Italia e poi, per dieci lunghi anni, più nulla.
Una miriade di poeti calabresi in questo decennio hanno percorso la strada che li ha portati a Napoli capitanati da quel Bonaventura Zumbini che, qualche anno dopo, ritroveremo con una copia dell'opera di Francesco fra le mani. (clicca qui per approfondire)
Ma, prima di arrivare alla traduzione dell'intero Paradiso Dantesco, lo stesso Francesco si cimentò, in punta di piedi e con un certo timore reverenziale,  nella traduzione di tre canti. Quasi un esperimento.
E fu il grande riscontro di critica che ottenne con questa pubblicazione che lo spinse ad andare oltre.




Ora questo libretto, edito a Salerno, è estremamente difficile da rintracciare e molto più raro della famigerata edizione completa del 1874. 



Qui ritroviamo condensati, nell'introduzione dell'autore, l'amore per la Calabria e la volontà di condividere con l'intera Italia da poco unita la ricchezza del suo dialetto. Finito il tempo dei fucili in tanti avevano deciso che era il momento di usare la cultura per unificare la Nazione.



Dove sia stato e cosa abbia fatto Francesco in quei dieci anni che vanno dal 1862 al 1872 (da lui stesso citati in questo testo) rimane arduo da scoprire. Di sicuro sappiamo che, qualsiasi cosa sia accaduta, lo ha trasformato in un poeta.







lunedì 29 agosto 2011


CONSIDERAZIONI SUL NOSTRO COGNOME

Limarzi o Li Marzi?

A nessuno sarà sfuggito che anche in questo blog si è riproposta con insistenza l'ennesima diatriba che ha costellato (e costellerà sempre) la vita di chi porta il nostro cognome. 
Ma Limarzi è scritto attaccato o staccato?
E' la domanda che arriva immediata quando dobbiamo dettare il nostro cognome a qualcuno. 
Non si tratta di un semplice cavillare sull'ortografia e nemmeno di metterci a dare la caccia a quali e quanti errori hanno compiuto gli impiegati delle anagrafi con le quali i nostri avi hanno avuto a che fare negli ultimi 300 anni. Fosse per questo non varrebbe la pena di applicarsi troppo e, magari, la potremmo risolvere come molti Li Marzi americani che hanno scelto una via mediana attaccando il cognome e lasciando contemporaneamente due lettere maiuscole (LiMarzi).

L'argomento è di tutt'altro spessore e riguarda le origini del nostro cognome e come esso si è modificato al modificarsi della storia della nostra famiglia.

Intanto partiamo da qualche un punto fermo:

ORIGINI COMUNI - il mio viaggio in Calabria ha fortemente rafforzato un mio pensiero del quale ero già profondamente convinto: l'origine delle due varianti del cognome  è la medesima, non esistono due distinte famiglie con due diversi cognomi. Chiamarsi Li Marzi, quindi, di per sé non certifica l'appartenenza a una origine diversa rispetto a quelli che si chiamano Limarzi.

IL MIO RAMO - un altro dato di fatto è che il mio ramo è riuscito a preservare l'uniformità del cognome, scritto unito, in tutti i quasi 100 Limarzi discendenti da Raffaele (nato nel 1805)  fino agli ultimi arrivati (Dante e Francesco del 2011). Eppure il padre di Raffaele, Pasquale, di chiamava Li Marzi...
FINE '700 - il paragrafo di cui sopra ci porta alla considerazione successiva: alla fine del '700 il cognome era staccato per tutti. Non esiste traccia in quelle epoche di nessuno con il cognome attaccato. Non fa eccezione Pasquale certo, ma non fa eccezione nessun altro.

DAL 1806 A FINE '800 - con l'arrivo degli occupanti francesi, nel 1806, e con la contemporanea istituzione da parte loro delle anagrafi presso i comuni, si assiste al fenomeno inverso. Nell'anagrafe di Marzi, a partire dai primi dell'800 sino alla fine del secolo non esiste alcun "Li Marzi" scritto staccato. E questo risulta anche in tutte le firme autografe in calce a questi atti.

DA FINE '800 AI GIORNI NOSTRI - da fine '800 sino ad oggi il cognome ha ricominciato a staccarsi più che altro per errori nelle anagrafi salvo forse il caso del ramo di Bruno (secondo una sua ipotesi che approfondiremo poi) nel quale si può pensare anche ad una volontà espressa di ritorno alle origini (vedi anche il suo intervento fra i commenti di questo post).

E PRIMA? - quello che è accaduto prima è ancora tutto da scoprire. Nel catasto onciario di Marzi redatto nel 1753 al fine di censire (e di tassare) tutti i beni appartenenti alle famiglie del Regno c'è un solo "li Marzi" (Pietro, scritto con la "l" minuscola) e diversi "Marzi" (Domenico, Carmine, Francesco e Nicolò) con numerosi figli. Per contro nell'anagrafe del paese dall'800 ad oggi non c'è praticamente traccia di questo cognome: dove sono andati a finire tutti? Possibile che, appena 50 anni dopo tutti i Marzi siano tutti spariti e assieme a loro tutti i rispettivi discendenti? Impossibile. Secondo me la risposta è una sola: non sono spariti, ma sono tutti diventati "Li" Marzi (e Limarzi poi).
E' estremamente probabile, quindi, che ai primi del '700 il nostro cognome fosse semplicemente "MARZI". 
 


CHE COSA E' SUCCESSO ALL'ARRIVO DEI FRANCESI?

Scorrendo questa cronologia risulta comunque chiaro che qualcosa ad un certo punto deve essere successo. Ed è successo in tutta evidenza, in coincidenza con l’arrivo dei francesi.
Da qui partono tanti ragionamenti anche se nulla di certo si può dire. Nulla se non che un cognome, o meglio il cognome di un’intera stirpe, non si modifica a caso o per convenzione.
A testimonianza del fatto che il problema non sono certo l’unico ad essermelo posto, c’è da dire che l’idea che il nostro cognome fosse mutato in conseguenza di un evento più o meno tragico circola da sempre in famiglia. Il tutto fra l’altro in diversi rami della stessa senza che questi avessero comunicato fra loro. E’ evidente che quest’ultima considerazione non faccia altro che avvalorare l’idea stessa.


IPOTESI DI ELEONORA
A casa di Eleonora si tramanda da sempre il fatto che il nostro cognome fosse mutato da Li Marzi a Limarzi per sfuggire ad una non meglio precisata persecuzione dei Borboni.
Ma perché i Borboni avrebbero perseguitato la famiglia? In fondo i nostri avi Pasquale e Stefano si sono fatti persino giustiziare dai Francesi che erano in lotta contro di loro!
L’esperienza però insegna che in tutte le cose tramandate, anche solo oralmente, c’è sempre un fondo di verità, magri distorta o alterata, ma c’è sempre.
Potrebbe essere che i persecutori fossero i Francesi e non i Borboni.


IPOTESI DI BRUNO
Secondo Bruno i Li Marzi erano di religione ebraica, religione che professavano liberamente nel paese e per la quale erano conosciuti. Può essere successo che per questo motivo fossero stati malvisti dai potenti di turno e che questi avessero voluto, unendo il cognome, sradicare un po’ la famiglia dal luogo di appartenenza. “Li” Marzi in calabrese sancisce inequivocabilmente un’appartenenza a un luogo (in italiano “di” Marzi). Unire il cognome rende, senza dubbio, meno evidente questa appartenenza.
Questa tesi, paradossalmente, potrebbe essere non in contrasto con quella riportata da Eleonora.  Una persecuzione da parte dei Francesi infatti non sarebbe stata plausibile in considerazione del fatto che fu proprio la Rivoluzione Francese ad accordare, in tutta Europa, maggiore libertà e tolleranza agli Ebrei. Ritornerebbe d’attualità la tesi di una persecuzione borbonica anche se, a quanto ne so, nemmeno i Borboni ebbero atteggiamenti particolarmente ostili nei confronti di chi professava questa religione.
Tutti gli avi di Bruno, comunque, erano dei Limarzi, compreso suo padre Vincenzo Limarzi nato nel 1903. Poi il cognome è tornato a staccarsi. La cosa però potrebbe non essere casuale, ma piuttosto sembrerebbe frutto del desiderio di ristabilire in famiglia la verità storica del cognome.


IPOTESI DI SILVIO ‘51
Alla fine l’ipotesi che io accredito di più è quella che mi ha riportato mio cugino Silvio che, fra le storie ascoltate in famiglia in passato, ha ripescato quella della condanna a morte di un fantomatico nostro avo.
La cosa mi ha stupito davvero tantissimo anche perché di fatto vuole dire che la storia della triste fine di Pasquale non si era persa nel tempo, ma è stata tramandato verbalmente per 200 anni, sino ad arrivare alle sue orecchie nei racconti di zio Armando e di quelli, coloritissimi del caro zio Eugenio.
Entrambi sostenevano che questo nostro avo fosse riuscito a scampare alla condanna a morte, ma che in conseguenza della stessa fosse stato costretto cambiarsi il cognome da Li Marzi a Limarzi.
Purtroppo non solo la trascrizione della sentenza, ma soprattutto l’immediatamente successivo certificato di morte ci raccontano che Pasquale non riuscì a scampare al proprio destino, ma è estremamente plausibile che il cambio di cognome fosse dovuto a tale accadimento. A favore di questa tesi depongono tre fattori:

- l’assoluta coincidenza temporale. Il nostro cognome infatti è mutato fra il 1806 e il 1807;

- il fatto che le colpe del condannato venissero poi fatte ricadere anche sulla sua famiglia di provenienza e addirittura, qualora venissero provate complicità e connivenze, sul paese di provenienza. in questo contesto l'imporre a tutta una stirpe di mutare il cognome è ipotesi plausibile;

- il fatto che esiste un ramo della famiglia che si spostò, in un’epoca che non sono ancora riuscito a ricostruire, nella vicina Montalto Uffugo. Ebbene qui il cognome è sempre rimasto immutato in Li Marzi. Questo ramo quindi, non essendo più di Marzi si sarebbe salvato dalla persecuzione francese.



LO SVILUPPO DI QUESTE IPOTESI CONTINUA NEI COMMENTI 
- CLICCARE QUI SOTTO PER ACCEDERE -

martedì 23 agosto 2011


NOVITA' DALLA CALABRIA

Come previsto dal mio viaggio a Marzi ho riportato indietro un sacco di scoperte nuove sulle origini del ramo della famiglia al quale appartengo e al quale appartiene Francesco. Inevitabilmente, in conseguenza di questo, diversi post di questo sito vanno aggiornati o addirittura eliminati perché da considerare superati. Lo farò piano piano. Nel frattempo cerco di riepilogare per sommi capi le cose salienti riservandomi di approfondire le quelle, fra di esse, di maggiore importanza.

1) PASQUALE LI MARZI (Marzi 1769 - Cosenza 19/06/1807)
La lunga caccia a ritroso alla ricerca dei nostri avi ha finalmente fatto un altro passo indietro nel tempo e si è spinta sino al 1769.

Sino ad ora ero arrivato a Raffaele, il padre di Francesco, ma non avevo idea (a parte qualche ipotesi poi rivelatasi non corretta) di chi ci potesse essere prima. Però sapevo di avere in mano un paio di buone carte da giocare: sapevo ad esempio che Raffaele era morto a Marzi il 18/09/1863 e che il certificato di morte doveva recare per forza, come da prassi, i nomi di entrambi i genitori del defunto. Inutile dire che, quando con Bruno mi sono recato all'anagrafe di Marzi, il primo libro che ho consultato è stato quello del 1863. Ed ecco il risultato:




Raffaele quindi era figlio di Pasquale Li Marzi e di Caterina Tucci. Il tutto è stato confermato anche dal contenuto del certificato di matrimonio di Raffaele dove sono indicati i medesimi genitori dello sposo ed in più si può trovare la professione di Pasquale: calzolaio (anzi "calzolajo" come si scriveva un tempo).

Potevo anche essere contento così ma, ad un certo punto, a Marzi ho conosciuto Fabrizio Perri, un giovane autore di alcuni libri sulla storia di Marzi che si è offerto di accompagnare me e Bruno all'Archivio di Stato a Cosenza. Qui, allegato  ad ogni atto di matrimonio, si può trovare, ben conservato, un fascicolo relativo agli sposi e alla loro famiglia (il cosiddetto "processino").
All'epoca, infatti, per poter contrarre matrimonio occorreva il consenso dei genitori e, nel caso questi fossero deceduti occorreva dimostrarlo. Ed è per questo che nel processino relativo al matrimonio di Raffaele e Maria Rosaria Costanzo (Marzi 12/07/1828) abbiamo trovato (scritto interamente a mano metà in latino e metà in italiano e a cura del parroco della Chiesa della Sanità di Cosenza) l'atto di morte di Pasquale, morte avvenuta il 19 giugno del 1807 a Cosenza. Ma si trattava di un atto strano, redatto in maniera diversa da un consueto atto di morte. E poi perché a Cosenza? Il motivo c'è e lo vedremo poi... Vedremo poi anche di provare a spiegarci perché Pasquale si chiamava Li Marzi e suo figlio e tutti i suoi discendenti diretti si chiamarono e si chiamano Limarzi.


2) RAFFAELE LIMARZI (Marzi 12/08/1805 - Marzi 18/09/1863)

- Sempre dall'archivio di stato di Cosenza una rettifica alla data di nascita di Raffaele che è nato il 12/08/1805.

- Anche la data di nascita della moglie Maria Rosaria Costanzo va rettificata, in contrasto con quanto annotato nel suo atto di morte a Castellammare di Stabia e va riportata, secondo l'atto di matrimonio, al 1806.

- Raffaele aveva un fratello maggiore che si chiamava Domenico Limarzi nato circa nel 1802 e che ebbe, a mia conoscenza 5 figli. Fra di essi il primogenito maschio (scomparso a poco più di un anno di età nel 1830) battezzato, come di consueto, con il nome del suo defunto nonno Pasquale.
Non si hanno notizie di altri fratelli di Domenico e Raffaele anche se è molto probabile che ne siano esistiti.

- Raffaele è stato decurione a Marzi (l'equivalente di un nostro amministratore comunale) negli anni immediatamente preunitari (dall'aprile 1856 al maggio 1859) e ha anche ricoperto la funzione di sindaco (surrogandosi al sindaco in carica probabilmente indisponibile). Il tutto per un breve periodo e precisamene negli ultimi mesi del mandato dal gennaio al maggio 1859. (fonte il libro UN PAESE DI CALABRIA CITRA TRA EPIDEMIE E RIVOLTA - MARZI 1830/1860 di F. Perri).

Una considerazione a parte merita quel Pietro Limarzi che è andato a denunciare il decesso in comune di Raffaele e la cui firma ritroviamo sul certificato. Appartiene ad un altro ramo dei Limarzi, quello di Bruno. Non so quale rapporto ci sia fra i due rami, ma certo c'era contiguità. C'e anche un caso inverso: Raffaele compare come testimone nella morte della piccola Francesca (a sua volta del ramo di Bruno) e viene citato come "affine". Tale contiguità, del resto non ha bisogno di particolari certificazioni visto che una copia della famosa foto della famiglia di Francesco a Castellammare veniva conservata a Marzi dal nonno di Bruno stesso a testimonianza del fatto che, dopo trent'anni di lontananza, le famiglie erano ancora in contatto.


3) FRANCESCO LIMARZI (Catanzaro 03/02/1837 - Castellammare di Stabia 19/03/1908)

- Finalmente l'esatta data di nascita di Francesco, nato il 3 febbraio 1837 a Catanzaro. Copia dell'atto di nascita era nel processino del suo matrimonio. Anche questa era una cosa assolutamente insperata visto che tutto immaginavo fuorché trovare questo atto di Catanzaro a Cosenza! Il padre viene riportato con un significativo "don" Raffaele che sta ad indicare il suo stato di benestante. La data di morte era già certa, essendo io in possesso dell'atto di morte di Castellammare. Ciò ci consente di certificare che gran parte delle biografie conosciute rechino delle date errate, così come è errata (cosa non fondamentale per carità!) la tabella di Via Francesco Limarzi a Marzi che colgo l'occasione per pubblicare. Come in precedenza ricordato ci sono evidenze che la famiglia, già tre anni dopo la nascita di Francesco, fosse rientrata a Marzi.



- di Francesco si trovano svariate tracce nel libro di Luigi Costanzo (altro autore e storico marzese) "Dal manoscritto di Francesco Maria De Bonis - MARZI".  Qui viene indicato nello spazio dedicato alle professioni dei marzesi prima come "perito giometra", poi come emigrato a Castellammare e infine come ispettore di pesi e misure. Rimane un mistero dove abbia svolto i propri studi e cosa lo ha indirizzato verso gli stessi che, all'epoca, non erano poi così consueti. Ancora una volta poi viene da chiedersi quale percorso abbia portato un "perito giometra" a diventare un letterato e un "Dantista".

- Francesco si è sposato a Rogliano, città di origine della sua Giovanna Altomare e precisamente nella Chiesa di San Pietro. Il padre di Giovanna era orafo. Gli Altomare ancora oggi esercitano tale attività a Rogliano il cui centro abitato dista solamente 3 o 4 km da quello di Marzi. 

- Dagli atti  risulta il nome di una sorella maggiore di Francesco sin qui sconosciuta: Caterina nata nel 1834. La mancanza del suo atto di nascita a Marzi (è presente solo l'atto di morte) fa ipotizzare che anch'essa sia nata a Catanzaro. Caterina è nata ben sei anni dopo il matrimonio di Raffaele e Maria Rosaria: difficile pensare che sia la loro primogenita. Devono quindi con ogni probabilità essere esistiti altri fratelli di Francesco oltre a quelli conosciuti.


4) GIUSEPPE EUGENIO LIMARZI (Marzi 25/02/1862 - Buenos Aires 1943 o 1948)

- C'era un dubbio sulla esatta data di nascita di Eugenio. Il dilemma è sciolto dall'atto di nascita rinvenuto a Marzi ed è il 25 febbraio 1862.

- Anche se in famiglia è sempre stato conosciuto come Eugenio il suo nome di battesimo è GIUSEPPE EUGENIO. Giuseppe era un altro fratello di Francesco. Rimane mia convinzione che l'aggiunta del secondo nome sia stata fatta per onorare Eugenio Tano (su di lui si veda quanto scritto in precedenza nel post FRANCESCO E L'UNITA' D'ITALIA).


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