mercoledì 6 maggio 2020

Se la US Navy diventa Made in Italy sèperiamo che arrivi lavoro anche a Castellammare di Stabia - artefice prima della cantieristica italiana

Se la US Navy diventa Made in Italy

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I militari americani, sarà per i film o per i racconti dei nonni che hanno fatto la guerra, hanno sempre destato, da noi, al sud soprattutto, una certa epica fascinazione.
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E la marina, soprattutto, con le portaerei da top gun dove chiunque da piccolo voleva salire per pilotare un F-16 contribuiva a rafforzare questa idea di un qualcosa di – quasi – invincibile.
Pensare di associare tutto questo all’Italia sembra non aver senso. Ma in realtà ce l’ha eccome: è di pochi giorni fa la notizia della vittoria della commessa US Navy da parte del gruppo italiano Fincantieri.
Il gruppo di Trieste, tra i principali gruppi di cantieristica navale al Mondo, ha vinto, attraverso la sua controllata americana Fincantieri Marinette Marine (FMM), la commessa del Dipartimento della Difesa USA per la progettazione e costruzione dell’unità pilota FFG(X), le fregate lanciamissili di ultima generazione della marina americana. L’affare prevede, inoltre, l’opzione per la costruzione di 9 ulteriori navi, oltre al supporto post vendita e all’addestramento degli equipaggi, che porteranno il valore complessivo a 5,5 miliardi di dollari per Fincantieri.
La US Navy prevede, inoltre, la costruzione di ulteriori 10 unità per un totale di 20.
Il Gruppo Presieduto da Giampiero Massolo, già capo dei Servizi italiani e numero uno della Farnesina, ha sottoposto al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America un progetto che è stato giudicato essere come il più avanzato e innovativo e ha scavalcato la concorrenza agguerrita dei numeri uno della cantieristica americana.
Il modello con cui Fincantieri ha vinto si basa sulla piattaforma FREMM, ritenuta migliore al mondo da un punto di vista tecnologico e base del programma di dieci unità della marina italiana che Fincantieri sta ultimando.
Molteplici sono i fattori che hanno potuto determinare questo risultato. Anzitutto, l’indiscusso prestigio globale che il Gruppo possiede in termini di know-how e track-record d’eccellenza; in secondo luogo l’efficacia della leadership e della diplomazia del Presidente Massolo con la sua rete strutturata di relazioni internazionali; e poi la tenacia dell’azienda di riuscire a costruire una relazione di fiducia anche con l’attuale Amministrazione di Donald Trump.
La notizia, presi come siamo nel continuo rimpallo del presente, ha avuto poca eco sui media nazionali. Ne ha parlato domenica 3 maggio Paolo Galimberti su Repubblica (“Fincantieri i segreti di un successo”).
In un momento in cui sembrano riemergere le divisioni  e gli immobilismi pre Covid-19, questa notizia merita di essere diffusa a tutto spiano perché rappresenta nella sostanza il valore del nostro Paese.
Così come la costruzione, finita, del Ponte Morandi, complice l’epidemia, sembra esser passata quasi in sordina,  questa notizia merita tutta la rilevanza possibile.
Non è consuetudine che un’azienda non americana diventi capocommessa in un appalto di fondamentale rilevanza strategica per gli Stati Uniti come la Difesa e in particolare la Marina.
Se qualcuno, come appunto Fincantieri, riesce nell’impresa, significa che si tratta di un grosso attestato di stima all’affidabilità e all’eccellenza che l’azienda rappresenta non solo in Italia e in Europa ma nel Mondo.
Siamo troppo presi dalle nostre piccolezze, provinciali, da tralasciare le notizie che concretizzano la storia di quello che siamo. Siamo un paese che è capace di produrre grandi, immense, eccellenze a livello mondiale. Riuscendo, al meglio, in quello che da autolesionisti quali siamo crediamo di esser peggiori.
La vittoria di Fincantieri rappresenta la risposta a tutti quelli che pensano che l’Italia sia un paese mediocre fatto da persone mediocri che non sanno fare imprese e nemmeno sanno essere precisi e parlare inglese.
Una lezione per tutti quanti noi che, dopo l’emergenza della quarantena, stiamo cominciando a mettere piede fuori casa. A volte si tratta, soprattutto, di una questione di prospettiva: siamo il Paese fallimentare con il debito pubblico tra i più alti al mondo e, guarda un poco, siamo il Paese dove sono nati alcuni dei Gruppi aziendali più influenti al mondo e simbolo della creatività e dell’ingegno made in Italy. Non si può essere troppo contraddittori, prima o poi occorre stemperare e provare a direzionare la barca, appunto, da un’altra parte.
Il tempo dell’emergenza sta per finire e abbiamo di fronte una grande occasione: quella di provare a ri-costruire un paese leggermente differente da quello che c’era prima troppo distratto nelle sue beghette per pensare allo sviluppo di opportunità per i suoi cittadini.
L’epidemia, con le sue vittime e la crisi immensa che sta per arrivare tra capo e collo, ci da l’opportunità per svegliarci: proviamo, adesso, a non sprecarla.
Poi, non sarà colpa dei politici ma di tutti quanti noi che, ringraziando dio, in democrazia li abbiamo scelti, votati e investiti della (ir)responsabilità di governarci.

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