mercoledì 27 novembre 2013

Ll’arganattore: tintore di panni). (antichi mestieri)




E’ un mestiere che ho visto praticare a livello familiare in quanto nel dopoguerra si era soliti, per far fronte alle scarse risorse economiche che anche uno stipendio sicuro portava in casa, non si potevano fare spese pazze per ammodernare l’abbigliamento ogni anno o in caso di lutto che richiedeva, per le consuetudini in uso, l’adozione categorica del colore nero nel vestire dentro e fuori casa per testimoniare il dolore che il lutto aveva provocato o il dispiacere che la morte del congiunto portava con sè.

Soltanto qualche anno appresso, per gli uomini, si passò alla fascia nera al braccio e successivamente un nastrino nero all’occhiello della giacca o del cappotto o ancora più esemplificativamente all'adozione di un bottone metallico di misura rilevante, ricoperto di tessuto nero appuntato sulla giacca o con una spilla da balia o su uno degli spigolo del collo della giacca..

Generalmente per il recupero di un abito si adottava prima la tecnica del rivoltarlo, ma non sempre era possibile, quando le stoffe presentavano disegni che venivano stampati solamente su una sola faccia.

Le donne di casa dopo i primi tentativi su indumenti meno importanti erano diventate delle vere esperte arganattrici o tintore per cui si andò avanti negli anni per diverso tempo fin quasi alla soglia degli anni sessanta.

Non era difficile organizzarsi in quanto le donne, se gli uomini sono bravi e non vanno a insidiare le vicine di casa, si danno sempre una mano per

Per fissare il colore serve il calore e un pentolone di 10 o venti litri all’epoca si trovava in quasi tutte le case. Quelle che non ne erano provviste godevano dell’assistenza della vicina che al momento dell’acquisto aveva dichiarato la sua disponibilità anche alle vicine di casa.

Certamente ogni tessuto voleva le sue accortenze, ma questo si verificò quando arrivarono sul mercato gli indumenti realizzati con filato sintetico.

I capi adoperati dalla gente del popolo era generalmente costituiti da fibre naturali e prima di essere cuciti le stoffe venivano bagnate per evitare il fenomeno del restringimento al primo e anche al secondo lavaggio.
Dopo la tessitura le stoffe venivano inamidate per conservale fino alla vendita e anche per farle sembrare più belle e allungarle nelle loro dimensioni effettive.

Le buste col colorante si acquistavano nei negozi che vendevano colori o presso le stesse  lavanderie che praticavano la coloritura per conto terzi.

Si riempiva il pentolone per tre quarti e quando l’acqua bolliva lo si toglieva dal fuoco appoggiandolo per terra in modo da averlo a portata di mano in prossimità di aperture per areare il locale o addirittura all’aperto. Qualcuna, prima di procedere, vi immetteva delle striscioline di stoffa per saggiare l’intensità del colore che era stato disciolto nell’acqua. 

Se il risultato era gradito si procedeva con il vestito da tingere lascindovelo per il tempo consigliato dalle istruzioni scritte sulla busta dal fabbricante del prodotto che forniva anche le istruzioni per il lavaggio successivo alla fissazione del colore.

Non tutte si rendevano conto a primo acchitto che l’abito era stato tinto. Se ne rendevano conto quando incominciava a scolorire sprecando le risatine di compianto.

Nel tempo la cosa andò a finire senza clamori e ancora oggi qualche lavanderia, il cui primo nome fu quello di tintoria, continua a farlo come pratica inversa della smacchiatura operata ormai con prodotti che nel tempo sono stati resi più sicuri per i risultati attesi.

I pentoloni, quelli di rame, sono rimasti come ricchezza delle famiglie e quelli in alluminio, se erano di buona qualità in quanto a spessore, vengono adoperati per bollire piccole quantità di conserve imbottigliate o alloggiate nei barattoli di vetro di risulta di altre conserve familiari o industriali che capita ancora di comprare.


Scrive l’amico Raffaele Bracale che la sostanza inizialmente adoperata era l’alcanna volgarmente détta arganetta (adattamento e diminutivo di arcanne= alcanna); da arganetta si trasse il nome del mestiere. L’alcanna è un arbusto perenne con fiori profumati e foglie ovate (fam. Borraginacee), da cui si ricava una sostanza usata in tintoria e nella confezione di cosmetici e medicinali.

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