venerdì 1 novembre 2019

N Bonito… anima di turco ( a cura del dott. Giuseppe Plaitano )




Bonito… anima di turco

( a cura del dott. Giuseppe Plaitano ) 

Autoritratto Bonito Galleria Uffizi
Giuseppe Bonito nacque a Castellammare il 1° novembre del 1707 da Saverio Domenico e da Anastasia Grosso. Terzogenito di ben 12 figli, il padre, notate le precoci manifestazioni artistiche del giovane e date le disagiate condizioni economiche determinate dalla numerosa prole, fu costretto ad inviarlo a Napoli con la speranza che il figliuolo sfruttando le proprie attinenze artistiche avesse potuto guadagnare il pane con quell’arte che allora era di gran moda e anche molto redditizia.
Sbalzato così tutto d’un tratto, dal modesto ambiente della casa materna (della sua città d’origine) nel vortice della grande città, fra gente nuova e visi sconosciuti, nel suo animo dovette rimanere assai triste e sconcertato. Come maestro del Bonito si fa nome soltanto del Solimena e poco si sa dei suoi primi anni di soggiorno a Napoli, permanenza la sua, certamente difficile e non tanto lieta se si pensa che Giuseppe dovette alloggiare nelle ristrette pareti di qualche modesta stanzetta mobiliata a pochi carlini al mese, ove la padrona di casa faceva nel medesimo tempo da domestica e da cuoca. Per forze di cose, dovette concentrarsi nello studio, dove sin da subito, si distinse per tenacia e volontà, per prontezza d’ingegno, per sveltezza nel capire ed imparare tutti i segreti della difficile tecnica pittorica. Il maestro prese a volergli bene ed a proteggerlo ed i compagni lo chiamarono con un grazioso diminutivo “Peppariello di Castellammare”.
Il Bonito aveva 23 anni quando per i chierici regolari di S. M. Maggiore (detta la Pietra Santa), ebbe il suo primissimo impegno lavorativo, eseguendo: “L’angelo custode” e “ L’Angelo Raffaele”, due quadri che seppur non esprimono la sua parte migliore gli furono di gran giovamento, perché lo fecero conoscere al pubblico, aprendogli nuovi orizzonti.
Era il tempo in cui, essendo ancora del tutto sconosciuta la fotografia, i ritratti costituivano una necessità ed un bene di lusso. Fu questo il secondo genere di pittura in cui esordì il Bonito con onore.
Il duca Salas di Montalegre, un “pezzo grosso” dell’epoca, volle tenere presso di se il giovane pittore, ricompensandolo lautamente, mentre Giuseppe gli eseguiva il “ritratto al naturale”.
La nobile arte si esercitava nei lavori di composizione di soggetti sacro-storico e mitologico, ma questi dei ritratti era sempre un genere secondario.

Particolare della statua del Bonito (foto Giuseppe Plaitano)
Quando Carlo III nel 1737 diede incarico di costruire il San Carlo in sostituzione del vecchio teatro San Bartolomeo, il Carasale, impresario dell’epoca vendette tutta l’attrezzatura del vecchio teatro ed ottenne d’innalzare nell’area dell’antica platea una chiesa, sorse così l’attuale chiesa di San Bartolomeo (o anche di Santa Maria Graziella, una delle chiese monumentali ubicata in via San Bartolomeo, nella zona di Rua Catalana), che il Bonito ebbe incarico di onorare di quadri. In detta chiesa dipinse con sacralità: “La vergine della Mercede” e “La Vergine che appare a San Carlo Borromeo”, ma il Bonito per la sua stessa natura voleva attingere in immediato contatto la realtà della vita, riportandola così com’era , senza falsità ed esagerazioni. E’ questo tendere al reale che poi diviene pratica ed arte, costituisce il principale merito del nostro artista, quello che gli diede la popolarità; il pubblico vedeva se stesso riprodotto sulle tele, scorgeva la propria immagine senza intermediari di false lenti e riflessi, da questo impulso scaturirono “ Il Maestro di scuola” e “Il Maestro dei ricami”, scene di vita intima, scene di ogni giorno.
E’ possibile scoprire sul volto di ciascuna persona i diversi intimi sentimenti, resi con semplice evidenza.
Parve così al Bonito di essersi imbattuto nella sua strada, infatti giammai vi fu più diretta corrispondenza tra l’indole dell’artista ed il gusto del popolo.
Così la fama del Bonito, mentre si allargava tra il popolo saliva alle sfere della corte. Nel 1741 venne a Napoli l’inviato del Sultano Mahmud I Hagi Hussein Effendi. Le onorificenze che gli fecero come disse il Croce, furono eccessive, ad ogni buon conto Carlo III, entusiasmato della figura simpatica di questo ambasciatore ne volle conservare il ritratto e fu chiamato Giuseppe Bonito per eseguirlo.
Chi visita il Palazzo Reale di Napoli, nelle sale dell’appartamento di rappresentanza, osserverà due grandi tele che lo colpiranno subito per la loro originalità, che ripresentano l’ambasciatore del Re di Turchia e il re di Tripoli Moustafà, venuti in Napoli il 18 dicembre 1742.

Ambasciatore turco alla Corte 1741 Olio su tela Museo Nacional del Prado (Madrid)
A tal proposito il De Dominicis, racconta il seguente curioso episodio: “Egli il Bonito dipinse naturalissimo tanto che quel barbaro non avendo veduto simile artificio di ritrarre si vivamente le persone, andava sovente a vedere dietro la tela ove osservato non esservi nulla, pieno di meraviglia disse al Bonito che egli sarebbe stato tenuto a rendere conto dell’anima di colui che dipingeva: al che il nostro pittore con evidenti ragioni si sforzò di fargli vedere esser colori fatti di terra e distesi sulla superficie di quella tela e non aver anima, nè spirito alcuno benché sembrassero vivi”.
Questi ritratti gli aprirono il varco per la nomina del pittore di corte, infatti, come dice sempre il De Dominicis, sono di quest’epoca alcune decorazioni del Palazzo di Portici andate perdute, per le ulteriori trasformazioni dell’edificio.
Sono ancora di quest’epoca le decorazioni della volta della chiesa di Santa Chiara, andate disgraziatamente distrutte dal fuoco nell’ultima guerra, di cui ci è rimasto il bozzetto “Dedicazione del Tempio di Salomone”(dell’opera, distrutta, resta un bellissimo bozzetto nel Museo di Capodimonte).
Al 24 luglio del 1755 risale la nomina a direttore d’Accademia del disegno e nudo, carica che coinvolse il Bonito nelle gelosie di corte a causa della venuta a Napoli di Raffaello Mengs con l’incarico di compilare una nuova riforma dell’Accademia Napoletana.
Nel 1761 il Bonito, viene poi incaricato da Carlo III di rappresentare sei soggetti scelti dal don Chisciotte di Cervantes che dovevano servire per la costruzione di arazzi nella sua camera da letto della reggia di Caserta, di questi lavori del Bonito e di altri artisti del tempo, così come dei dipinti, degli arazzi e di altre opere non si sa nulla, per cui a tal proposito, così scrisse il Cosenza: “Sarebbe ingenuità cercarli nelle regge di Napoli, di Portici, di Caserta o di Capodimonte”, perché verosimilmente furono portati via alla fine del XVIII secolo nel saccheggio operato dai francesi di Napoleone

Nessun commento:

Posta un commento

NON E' UNA RECLAME - Come togliere velocemente il ghiaccio dal vetro della vostra auto

  Come togliere velocemente il ghiaccio dal vetro della vostra auto Con un acquisto di pochi euro si risolve un problema piuttosto frequente...