giovedì 2 giugno 2016

La realtà si vede meglio dalle periferie e non dal centro cittadino

Castellammare. La realtà si vede meglio dalle periferie e non dal centro cittadino

Castellammare. La realtà si vede meglio dalle periferie e non dal centro cittadino

Sovrano è chi segna il confine tra centro e periferia
a cura di Carmine Cascone
Siamo al traguardo del silenzio elettorale imposto dalla legge, i candidati a sindaci si sono affrontati in diverse incontri “face to face” dando l’impressione più di essersi messi d’accordo che sferrare attacchi contro l’avversario politico di turno.
Ci sono state domande imbarazzanti più delle risposte, tranne qualche timido accenno di proposte serie e percorribili, tutta tracima in un lutulento stagno dell’ovvietà.
Qualche campagna elettorale fa, si parlava di periferia, di riqualificazione, di vivibilità di quel confine posto al margine del centro cittadino; una sorta di divisione tra centri imperiali e periferie coloniali, adesso neanche quello. Si era arrivati per sino a pensare con claim da spot televisivo “ a ciascuno il suo quartiere” una sorta di circonferenza mediatica fra dentro o fuori il perimetro di appartenenza.
Invece in questa teatralizzazione della campagna elettorale, le periferie sono apparentemente tagliate fuori, se non per i luoghi dove si accumulano sofferenze, povertà nel segno dell’esclusione.
Una lezione di decentramento è rappresentata proprio dal cristianesimo, religione periferica per nascita. Gesù era un periferico figlio della Giudea, lontana provincia romana, cresciuto a Nazareth, nella Galilea a sua volta periferica su scala ebraica. Questo per dire cosa, che solo in alcuni casi l’appartenenza sembra essere legata al luogo, ove le cosiddette terre di nessuno, nelle quali anche lo Stato fatica a penetrare, poi i voti escono e fanno pesare il loro valore. Protocollare questa istanza politica, così fatta evidenzia la mancanza di reificazione, ossia di quel processo mentale mediante il quale si da concretezza all’oggetto di una esperienza astratta.
In altre parole, la periferia così costituita, una volta espresso il proprio candidato di riferimento dovrebbe completamente sopprimere l’economia del vicolo, incanalandosi verso quel lembo di legalità che il centro cittadino impone. Tra le similitudini che tornano al ricordo, possiamo cogliere proprio quella di Max che avverte: “Il valore dell’uomo e del suo lavoro, sono le merci che produce”; la domanda è – a Castellammare che si fa? –
Oramai, e questa è la cosa più triste, ci troviamo di fronte ad operanti verbali, candidati a gestire una città difficilissima, si affrontano con un buonismo stantio, e con la totale mancanza di idee.
Perfino, non in casi isolati, le “ostetriche lavoratrici” che sono tra le prime a prendere il frutto di un processo iniziato mesi addietro e culminato con la nascita di una candidatura, sembrano non crederci. In sintesi una relazione di referenza, asservita solo allo spettacolo, all’arte proditoria ove l’assenza della politica è evidente.
Di certo più interessante, sarebbe stato un contatto diretto con i quartieri soprattutto periferici, almeno si sarebbe evitato uno spettacolo liturgicamente preparato, vuoto, fatuo, senza il vero contraddittorio rappresentato dai residenti, dalla gente, senza essere mediato da alcunché.
La città il 6 giugno avrà una parte della popolazione che si sentirà vittima, un’altra che sarà complice, di quella che probabilmente sarà l’assise più breve della storia di Castellammare; per poi ritrovarsi da li a poco, improvvisamente tutti d’accordo, nel confine degli oppressi.
Nonostante la infausta previsione di scioglimento anticipato, il mio sincero augurio è quello di sbagliarmi; perché questa tragedia sarebbe ancor peggio di aver votato senza raziocinio, o di non essere andati a votare.


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