domenica 29 gennaio 2012

'O carrettone 'e Muntevergene



'O carrettone 'e  Muntevergene



Il carrettone, nei miei ricordi, aveva dimensioni più grandi di quello raffigurato nell'immagine fino ad ospitare una ventina di persona più i viveri necessari per il viaggio e qualche capo di biancheria per la cambiata. 

Nell'immagine appresso si vede il largo, com'è oggi, da dove prendeva inizio l'avventura della juta a Muntevergene programmata. Al posto della macchina c'era una fontana pubblica dalla quale attingevamo l'acqua che serviva per la giornata e davanti ad essa si fermava Fredinando 'o trippone col suo carretto un pò per abbeverare il cavallo e un pò per vendere la verdura che acquistava al mercato ortofrutticolo di Castellammare  ai clienti che incontrava  sul percorso che faceva per tornare a casa a Privati verso sera dove abitava con tutta la famiglia che era molto numerosa.

La partenza del carrettone avveniva dal  largo del Supportico sul quale si innestano ancora oggi il vicolo Sorrentino sulla sinistra, Via Mezzapietra, Via Monaciello e via Nuova Eremitaggio. 


Largo Supportico luogo di partenza e arrivo.

da Castellammare la strada per Montevergine è abbatanza lunga, ma per andare dalla Madonna, nel dopo guerra, la gente di Mezzapietra,  si organizzava  per tempo con il mezzo di trasporto più tradizionale che aveva a disposizione  ‘o carrettone  ‘e don Vicienzo che abitava nel palazzo della Braglia e lavorava trasportando materiali pesanti in giro per il comune che consisteva in un traino ‘ntuosto che corrispondeva  in realtà a un carretto di quelli utilizzati per trasporti di materiali particolarmente pesanti con piano di carico che poggiava direttamente sull’asse delle ruote e di stazza superiore al normale. Era tirato da un cavallo posto tra le stanghe e uno o due a “valanzino”.

A fare questo viaggio erano principalmente donne di una certa età che affrontavano un disagio fisico igienico e morale incredibile a raccontarsi per una novena di cui  nessuna di loro confessava mai lo scopo. Tra l’andata e il ritorno stavano fuori di casa, senza le comodità alle quali erano abituate, fuori dai loro letti e nel mese di settembre che era alquanto inclemente, tra i sette e i dieci giorni con appresso il minimo indispensabile per alimentarsi, qualche panno di ricambio e  un po’ di soldi in tasca per eventuali imprevisti .

Il viaggio veniva pagato prima della partenza, un po’ a settimana, o tanto al mese o come le disponibilità permettevano.

Il carro veniva attrezzato un pò come quelli che siamo abituati a vedere nei film western per assicurare i trasportati contro le intemperie che potevano verificarsi lungo il viaggio.
Sedevano sugli scanni posti in senso longitudinale lungo le sponde in modo da trovarsi faccia a faccia e spalla a spalla col solo imbarazzo di scegliere chi sedeva al loro fianco e il dirimpettaio.

L’unica della famiglia che affrontò questo viaggio diverse volte fu mia nonna Erminia che aveva un carattere determinato e una salute sicuramente di acciaio inossidabile tenuto conto che non ho mai saputo di un suo malanno o di acciacchi che abbiano limitato la sua capacità fisica.
Seguiva la figlia femmina, quando si fidanzò, in tutti i suoi spostamenti e quando prendeva la decisione di fare qualcosa il nonno non riusciva mai a farla recedere dai suoi propositi. 




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Tra le varie che le accompagnavano c’erano alcuni strumenti musicali come le tammorre e ‘o tricche ballacche per accompagnare il canto che a volte partiva spontaneamente  da una delle viaggiatrici che si erano avventurate in questa novena che aveva dell’incredibile considerati i chilometri da percorrere e la poca affidabilità delle strade e la poco tutela dell’incolumità della gente specialmente nelle ore notturne.

Con le strade provinciali e comunali di oggi che, grosso modo, corrispondono a quelle del 1945, ma si trovano in condizioni migliori di manutenzione, i chilometri da percorrere sono sempre all’incirca una settantina all’andata e altrettanti al ritorno con un percorso impervio non soltanto negli ultimi chilometri ma fin dall’inizio dovendo passare attraverso paesi e paesini di zone non sempre tranquille ed accoglienti checché se ne dica del carattere di noi campani.

Attraverso Google ho percorso buona parte del tragitto, che ricordavo soltanto in parte, specialmente nella fase finale, prima di Ospedaletto e da Ospedaletto al Santuario formulando un giudizio di incoscienza  totale su queste donne che si avventuravano in un viaggio che poteva apparire senza fine, impossibile, estenuante, incredibile eppure al ritorno erano più intrepide e pimpanti di quando erano partite.


Madonna di Montevergine

Il canto intonato che ancora ricordo almeno in parte diceva: 

Simme jute
e simme venute
quanta grazie
c’avimme avute.


Ma quali grazie avevano chieste ed ottenute lo sapevano solamente loro che continuavano con la complicità nella quale il viaggio le aveva accomunate a lanciarsi sguardi e sorrisi che rimandavano senz’altro al superamento dei momenti più difficili del viaggio, alle schermaglie che c’erano state per trovare un’intesa che alla partenza non c’era,  al disagio di una vicinanza sopportata solamente in nome della Madonna e di una mortificazione necessaria al raggiungimento dello stato di grazia per chiedere l’intercessione di una entità che stava al culmine di un percorso di redenzione per tornare rinnovate e sicure alla propria casa con la forza necessaria per andare avanti un altro anno,
per affrontare le incertezze che ogni giorno le mettevano in crisi.

Quando capitò a me  ci andai con i familiari di mia madre nel cassone di un camion attrezzato per trasportarci. Il viaggio fu estenuante anche se i compagni di viaggio, grandi e piccoli, si adoperavano per renderlo meno pesante con offerte di leccornie, di frittelle, di scherzi, di battute e di lazzi. Ricordo la salita ad Ospedaletto come una salita infinita, interminabile assieme agli ultimi chilometri che dovemmo percorrere a piedi perché il piazzale antistante il Santuario era intasato di macchine.

Altri ricordi li ho persi per strada confusi in ricordi che sono più prepotenti. Certo è che quel numero esiguo di donne che al ritorno dalla loro novena invase il largo del Supportino creando un momento di risveglio della realtà nell’abitato intorno, nei familiari che le aspettavano, negli amici e conoscenti desiderosi di sapere com’era andata fu per qualche giorno un avvenimento che tenne desta l’attenzione e la curiosità di molti.

Tutti volevano sapere, ma era un desiderio che aspettava l’atto liberatorio di queste donne che pur desiderose di raccontare non si concedevano tanto volentieri alla curiosità degli altri. Dovemmo aspettare qualche giorno in più, quando si sentirono quasi messe da parte per riconquistare l’attenzione che stava scemando.




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Funicolare


Vecchio dormitorio



Il vicolo si rianimò e diventò quasi un palcoscenico e dalle finestre, dai balconi i volti e le orecchie erano tutti tesi per non perdere una virgola di quel racconto che di lì a poco avrebbe preso l’avvio, un’atmosfera, un ammiccamento, una sottile annotazione che voleva forse sottintendere quello che le orecchie dei bambini non potevano sentire.

Intanto incominciavano a progettare il viaggio per l’anno successivo e la conquista di un posto era spasmodica fino a quando il carrettone non fu sostituito dagli autobus che nel giro di una giornata esaurivano la carica esistenziale dei partecipanti e la frenesia religiosa che tornava a casa senza più quella complicità degli anni precedenti e in buona parte frutto di un dopoguerra che aveva aiutato tanta gente a ritrovarsi in una nuova dimensione di vita e di tenore economico che il tempo permetteva.

La “juta a Montevergine” non era sentita solamente a Mezzapietra, ma è un appuntamento che, ancora oggi, si ripete ogni anno all’inizio del mese di settembre.
Leggo  su Positano news che esiste una manifestazione annuale arrivata alla XI edizione che viene  organizzata dalla Pro loco di Ospedaletto  con il patrocinio del Comune, della Comunità montana e  dalla Provincia durante la quale sfileranno macchine, traini, cavalli addobbati a festa per onorare la “Mamma Celeste”. Leggo ancora che la tradizione vanta 8 secoli di storia e di folklore, fede e festa con le quali convivono elementi sacri e profani nutriti di preghiere, canti, balli che concorrono a rendere più viva la fede mariana verso la Madonna di Montevergine comunemente definita "Mamma schiavona". 

Un tempo quando le trasferte, come quella ricordata, richiedevano  un tempo più lungo i fedeli giunti ad Ospedaletto, venivano ospitati nelle case dai residenti bendisposti per poi riprendere il giorno dopo il cammino a piedi verso il Santuario di Montevergine.


Vecchia strada con la via Crucis


Tratto di strada in prossimità del santuario




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