domenica 4 settembre 2011

G.S. - Gioacchino Ruocco: poeta. - 11



Scusate la presunzione, ma credo di essere un poeta anch'io da quando son nato. Le mie prime poesie le ho scritte in napoletano quando incominciai a frequentare l'Istituto Nautico Nino Bixio di Piano di Sorrento.  Lo diventai ufficialmente quando Cilento Biagio, carissimo compagno di scuola, biricchino per natura, scanzonato fino all'insolenza, ardimentoso fino all'incoscienza, prese il coraggio a due mani il giorno che tenemmo lezione di italiano con il professor Giuseppe Iorio nell'aula di esercitazioni marinaresche e gli disse apertamente che scrivevo poesie. So soltanto che quel giorno non aveva voglia di far lezione perchè temeva una interrogazione.

Entrando il professore, dopo aver salutato com'era solito fare, disse: -Vediamo, vediamo cosa dobbiamo fare oggi. Biagio pensando che fosse una domanda rivolta a noi alunni, rispose:- Perchè non ascoltiamo le poesie napoletane che Ruocco scrive ?

Il professore che non aveva capito bene la proposta di Biagio chiese di sapere il nome di quello che aveva parlato.
Biagio nella sua incoscienza si levò dal banco senza pensarci un attimo e rimase ad aspettare la reazione del professore che non tardò ad arrivare.

Forse non hai voglia di far lezione ?  La risposta lo gelò di nuovo: - Perchè son belle. Il professore, che forse non si capacitava, aspetto ancora un attimo, si diresse verso la cattedra dove poggiò il registro e le altre cose che aveva portato con sè e sorpresa delle sorprese, in quanto era definito un professore dal carattere intrattabile, chiese di conoscere questo poeta che frequentava il nautico, invece di un liceo classico e che scriveva  le sue poesie, sentite, sentite, in dialetto napoletano.

Le mie rimostranze al suo invito furono inutili . Dovetti uscire dal banco e andare davanti alla lavagna come mi era stato intimato per dare dimostrazione delle mia effettiva conoscenza del dialetto.

La prova non rappresentò nessuna difficoltà in quanto le parole e le espressioni che mi chiedeva di trascrivere in napoletano erano per me di ordinaria amministrazione.

Superato il primo esame che lo meravigliò non poco, dopo aver spiegato com'ero arrivato ad acquisire la padronanza  dell'ortografia e delle regole grammaticali  mi chiese di ascoltare qualche mio verso.

Biagio saltò su e chiese che leggessi "Mariù" che avevo scritto qualche giorno prima mentre eravamo sotto il portico durante un intervallo tra un'ora e l'altra e "Quanno 'o sole sponte p''a rampa e santa Teresa" che invece era stata partorita un verso al giorno, mentre andavo e tornavo da scuola, facendo la strada di casa, ecc. ecc.

Al termine, senza farsi attendere, davanti a tutta la classe mi esternò il suo giudizio e mi dichiarò la sua amicizia con l'obbligo fuori della classe di chiamarlo per nome, mentre in classe restavo un alunno come gli altri.

Restai confuso, non sapevo cosa rispondere, fino al punto che al termine della lezione, fuori dell'aula, mi  prese sotto braccio e mi di disse di trascrivere le due poesie e qualche altra ancora che le avrebbe fatte pubblicare sul giornale "La voce di Stabia" che usciva con periodicità quindicinale, sul quale uscirono di lì a pochi giorni.

Il ricordo di questo avvenimento l'ho inserito nella mia biografia ogni volta che mi è stata chiesta anche per motivi di lavoro lontani dai miei interessi culturali.

Una volta diplomato persi di vista sia Biagio che il professore, ma il loro ricordo non mi ha mai abbandonato anche perchè l'episodio fece il giro dell'istituto e molti incominciaro a chiamarmi " 'o poeta", anche se non ero il solo a scivere poesie quell'anno nell'istituto.

La cosa mi attirò la simpatia della professoressa di storia Ricci, ma l'antipatia del professor Magliuolo che sostituì il mio caro amico professore nell'insegnamento di italiano al quaro ed al quinto anno. Fra i due c'era un abisso: tanto Peppe era preparato, tanto Magliulo era una capra, non per ignoranza che secondo alcuni che lo conosceva meglio, era soltanto un attegiamento in quanto ogni mattina arrivava da Napoli malvolentieri ed appariva stanco e depresso, forse, per problemi familiari

Ancora oggi scrivo e non ne posso fare a meno e ho pubblicato su diverse riviste. Forse una maggiore fortuna avrebbe facilitato il mio vivere, avrei avuto più tempo per dare libero sfogo a questo fiume di parole e sentimenti che mi attraversa e ancora non mi ha stancato.

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Mariù



Addore 'e festa ll'aria
e 'o core è na canzone,
Mariù fore 'o balcone
sta sulo a suspirà.

I' passo e spasso sotto,
'a guardo, m''a smicceo,
'o saccio ca s'è cotta
perciò me 'ncapuneo.

Essa fa 'a tosta e i' pure,
essa nun guarda e i' guardo,
m'appoio 'nfacci' 'o muro
e stongo fino a tarde.

Addore 'e festa ll'aria
e 'o core è na canzone,
stanno sott''o balcone
sento cantà 'a canaria.

E aspetto e sempe aspetto
speranno ca se molla,
c''o core lle se scolla
pe farme nu dispietto.


Addore 'e festa ll'aria,
tu nun te muove e i' pure,
m'appoio 'nfacci' 'o muro
e guardo sempe a te.


Piano di Sorrento 1956
La voce di Stabia – marzo 1956





Quanno 'o sole sponta ...


Quanno 'o sole sponta
p''a rampa 'e Santa Teresa
me metto 'nmanche 'e cammise
e t'aspetto.

Tanno é cchiù bello 'o sole,
'e llastre toie me parleno
dicenno sti pparole:
- Aiccanno, se sta lavanno 'a faccia,
se sta facenno 'e trezze,
mò vide che te caccia
stu mese 'e abbrile !

E arille arille
comme sò belle chisti capille,
che sò doie perle
chist'uocchie belle ?

E addure 'e rose
e anepeta nuvella
e 'o cielo te fa festa
quanno scinne
e i' c''o core
'ncantate rummanimme
sule a gurdarte
sule a te penzà.


Ruocco Gioacchino 









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